La stagione lirica de La Fenice è stata inaugurata la sera del 4 novembre con un’opera commissionata dalla Fondazione: Acquagranda di Filippo Perecco (noto animatore del cantiere di musica contemporanea ‘L’Arsenale’ di Treviso) su libretto di Roberto Bianchin e Luigi Cerantola. La direzione musicale della produzione è affidata alla bacchetta di Marco Angius alla testa dell’Orchestra e Coro del Teatro La Fenice, mentre Damiano Michieletto cura la regia dell’allestimento con le scene di Paolo Fantin, i costumi di Carla Teti, le luci di Alessandro Carletti e i movimenti coreografici di Chiara Vecchi. con la regia di Damiano Michieletto ed artisti per lo più veneziani.
La notizia è una novità in quanto sino agli anni sessanta era quasi prassi aprire una stagione lirica con a ‘prima assoluta’ di un’opera commissionata per l’occasione oppure, ove non fosse possibile, della ‘prima italiana’ di un’opera rappresentata con successo in teatri stranieri.
Era un modo non solo per esaltare la musica contemporanea ma anche e soprattutto per tenere il teatro lirico in sintonia dei nuovi gusti del pubblico e per attirare i giovani a teatro. Ricordo ancora quando alla prima di Boulevard Solitude di Hans Werner Henze al Teatro dell’Opera di Roma (nel 1954; avevo 12 anni) si venne addirittura alla mani tra giovani e gruppi di ‘nostalgici’ del Ventennio.
Tuttavia l’opera commissionata da La Fenice ha caratteristiche speciali in quanto viene messa in scena, a cinquant’anni esatti dall’alluvione del 1966 (che distrusse diverse regioni italiane, anche se si ricordano specialmente i danni che arrecò a Firenze) e per puro caso avviene subito dopo che un terremoto ha devastato una parte importante dell’Italia centrale. Quindi da ricorrenza specifica (da ricordare non solo ai contemporanei ma anche ai nostri figli e nipoti) assume un significato più vasto di difesa dell’uomo nei confronti di forze naturali che possono essere ‘matrigne maligne’.
Ambientata a Pellestrina, una delle zone più colpite e danneggiate dalle inondazioni, l’opera di Perocco vede protagonista Ernesto Ballarin, che all’epoca aveva venticinque anni e che insieme alla famiglia e ad altre tremila persone fu costretto ad abbandonare le loro case e la loro isola, sommersa dalla forza del mare che aveva travolto i Murazzi.
L’azione è molto semplice ed i personaggi non hanno un vero e proprio sviluppo psicologico. Ernesto, un pescatore, e la sua famiglia assistono impotenti all’alluvione, rifugiandosi sui tetti delle loro case sino a quando la marea si calma e torna il sereno. Non c’è una vera e propria drammaturgica ma, come nel teatro greco, un coro di uomini a destra ed uno di donne a sinistra, situati dal palcoscenico all’inizio della platea, commentano gli eventi, partecipando alla tragedia dell’alluvione.
Sotto questo aspetto Acquagranda ricorda lo Oedipus Rex di Cocteau e Stravinskij e ne ha l’asciuttezza tragica. Interessantissima l’orchestrazione, concertata con grande maestria da Marco Angius: fa percepire il contrasto tra uomo e forze naturali con un organico piccolo, molto timbrico supportato da elementi stereofonici elettronici. La parte vocale è composta in gran misura da declamato e Spregensang (che non si adatta particolarmente bene alla lingua italiana) ma non mancano duetti, terzetti ed anche un’aria di coloratura delle protagonista.
Bravi tutti i solisti Andrea Mastroni nel ruolo di Fortunato, il padre di Ernesto; Mirko Guadagnini in quello di Ernesto; Giulia Bolcato in quello della moglie Lilli; Leda interpretata da Silvia Regazzo e Nane da Vincenzo Nizzardo; Luciano da William Corrò; infine Cester, il carabiniere di servizio a Pellestrina incarnato da Marcello Nardis .
Di grande livello la regia di Michieletto che con una vasca in scena ed acqua sul palcoscenico riproduce con efficacia l’alluvione. Una sola nota ai costumi di Carla Teti: difficile capire perché le due soliste femminile vestano in una famiglia di pescatori mises eleganti anni sessanta.
Grande successo con 15 minuti di ovazioni dopo gli 80 minuti di musica.