Se avete in mano l’ultimo disco di Springsteen, vedrete il grande Bruce sbandierare come al solito in copertina una Telecaster. È il nome della chitarra che Leo Fender, uno dei più famosi liutai d’America – che diede poi il nome alla grande azienda che tutti conoscono – creò nel 1951, con l’idea di venire incontro ai teen-ager proponendo loro una chitarra semplice, quasi spartana, dal costo di pochi dollari. Ma se avete in mano un disco di Eric Clapton, lo vedrete imbracciare una Stratocaster, il modello più evoluto che Leo creò nel 1953, ideando una forma che è rimasta inalterata fino a oggi e copiata da molti altri costruttori, perché ritenuta perfetta per ergonomicità e musicalità. Rispetto alla Telecaster ha un numero maggiore di pick-up e soprattutto la leva del vibrato. E se state guardano un disco di Sting lo vedrete alle prese con un Precision Bass, altra grande invenzione che Leo studiò per i bassisti.
Da queste prime note si capisce che Leo Fender è uno dei personaggi che ha fatto la storia della chitarra moderna, insieme a Orville Gibson, che aveva iniziato a costruire mandolini e che, nel 1952, mise in concorrenza con la Telecaster la solid body disegnata da Les Paul. Entrambi diedero vita a due grandi aziende, leader nel campo degli strumenti musicali, che pur con alterne vicende, sono ancora oggi sul mercato, e sono in grado di far venire gli occhi lucidi a generazione di musicisti e anche di collezionisti.
Nel 1965, per una serie di problemi di salute, Leo Fender vendette la sua fabbrica alla CBS per 13 milioni di dollari. Ma nel 1979 si rimise sul mercato insieme al suo vecchio amico George Fullerton fondando la G&L, dove rimase fino alla sua morte avvenuta nel 1991.
Le prime chitarre costavano poche decine di dollari, ma se ne possedete una degli anni Cinquanta o Sessanta avete in mano una piccola fortuna (tipo 30-40 mila dollari), in quanto si tratta di strumenti prodotti con cura artigianale in numero limitato, fatto che ne accresce notevolmente il valore.
I non esperti non sanno che il suono di una chitarra, ancorchè elettrica, dipende dall’insieme di tre elementi: il manico, la cassa, e i pick-up. Questi tre elementi formano un sistema di risonanze che possono variare ampiamente a seconda del tipo di legno, del tipo di assemblaggio e dell’avvolgimento del filo di rame all’interno del pick-up (il microfono che raccoglie il suono delle corde pizzicate, che è di fatto una bobina con molte spire di filo di rame).
Oggi i pick-up vengono avvolti a macchina, ma gli appassionati ritengono che un pick-up avvolto a mano da Abigail Ybarra, una delle prime operaie di Leo Fender, ancora viva e vegeta, suona assai meglio di uno di quelli fatti a macchina. La Fender lo sa, e alcuni suoi modelli in tiratura limitata possono spuntare un prezzo particolare perché montano pick-up avvolti a mano da Abigail.
È indubbio che con il tornio elettronico (soprattutto nel caso di casse con tavole piene) oggi si è in grado di costruire in serie chitarre di ottima qualità. Ma è anche indubbio che strumenti degli anni 50 e 60 (i cosiddetti “vintage”) possono presentare caratteristiche superiori (ma anche inferiori…) proprio per la grande importanza dell’intervento del liutaio nella costruzione: ho potuto personalmente valutare due Stratocaster del 1964, scoprendo grandi differenze di musicalità tra l’una e l’altra, dovuti alla scelta dei legni e certamente alla differente fattura dei pick-up. Per i collezionisti, le chitarre costruite dal 1965 in poi, quando il laboratorio artigiano diventò una delle tante fabbriche della CBS, hanno molto meno valore, anche a causa di scelte ondivaghe non sempre azzeccate da parte dei diversi management che si sono susseguiti. Nel 1985 la Fender fu riacquistata dai propri dipendenti, distribuendo la produzione – oltre che negli Stati Uniti – in Messico, Giappone, Corea, Vietnam, a seconda del livello di qualità produttiva.
Particolare innovazione fu costituita dalla creazione del Custom Shop, laboratorio di liuteria artigianale adibito alla costruzione di modelli in tiratura limitata, su misura o addirittura in copia unica, spesso decorata da grandi artisti. Di particolare successo fu l’invenzione delle “Relic”, vale a dire i modelli ricostruiti esattamente come quelli usati da grandi chitarristi come Steve Ray Vaughan, Rory Gallagher, Muddy Waters, Eric Clapton e molti altri, riproducendo maniacalmente anche i segni dell’usura, le bruciature di sigaretta, le scrostature di vernice provocati dall’artista in questione. Bella invenzione di marketing che però si è sempre accompagnata a una selezionatissima scelta di legni e di elettroniche: sono chitarre esattamente uguali a quelle dell’artista in questione e che suonano esattamente allo stesso modo.
Oggi la Fender è una grande azienda che ha acquisito nel tempo altri famosi marchi (Charvel, Squier, Jackson, Guild, Gretsch), e che ha deciso da pochi giorni di quotarsi in borsa, assistita da JP Morgan. Con gli oltre 200 milioni di dollari che si ritiene di poter raggranellare, si punta innanzitutto a ridurre un debito che ammonta più o meno alla stessa cifra.
La società nel 2011 ha prodotto un utile di 17 milioni di dollari, ma ha visto rallentare le vendite in America ed Europa, mentre sono cresciute quelle in Asia. Ed è lì che si punta, contando anche sul fatto che già oggi è azionista della Fender con il 14% il distributore giapponese Yamano Music.
Ma che succederà dopo la quotazione in borsa? Si punterà ai margini abbassando la qualità, o si continuerà nella diversificazione cercando di accontentare tutti i differenti target? Vedremo. Intanto, se avete una pre-CBS… tenetevela ben stretta: varrà ancora di più!