E’ morto così, il “re delle jam session”. Durante il concerto più bello, quello organizzato in suo onore per festeggiarne il settantesimo compleanno. Il “colonnello” Bruce Hampton si è dolcemente accasciato, mentre la band, inizialmente ignara di ciò che stava accadendo, continuava a suonare. E nell’era degli smartphone, dei social network e delle informazioni che arrivano come pioggia battente che ci cade addosso senza bagnarci mai, la morte è stata inquadrata ancora una volta in diretta.
Nei filmati di YouTube si vede Bruce girare sul palco felice ed eccitato, assistere all’assolo di armonica di John Popper e dopo incitare Brandon “Taz” Niederauer a farsi avanti con la sua chitarra. Brandon, che all’inizio sembra quasi timido, impacciato come può essere un ragazzino di 14 anni, ma che dopo prende gusto e si lancia in un assolo che non finisce mai. Bruce pare quasi inginocchiarsi davanti a lui, poi scivola, poco a poco, lungo le assi del palcoscenico. Nessuno si rende conto di quel che accade, tutti pensano ad una trovata scenica, e continuano a suonare.
Ci sono Warren Haynes e Derek Trucks, con le loro chitarre, c’è la moglie di Derek, Susan Tedeschi – insieme formano la Tedeschi Trucks Band, uno dei gruppi di southern rock più straordinari in circolazione – che canta ed invita il pubblico a seguirla. Solo quel ragazzino si gira, a tratti, come se, primo fra tutti gli altri, percepisse che qualcosa di strano sta succedendo. Poi, finito il pezzo, si avvicinano i tecnici e tutti sono finalmente intorno a Hampton. I telefonini cessano di filmare ed iniziano ad organizzarsi i soccorsi, che, purtroppo risulteranno vani, così come il trasporto al Emory University Hospital Midtown, dove verrà constatato il decesso.
Musicista ed anche attore (aveva recitato, tra il resto, nel film “Lama tagliente” di Billy Bob Thornton, vincitore di un Oscar), Bruce aveva fondato negli anni sessanta la Hampton Grease Band, ma, a fronte di una carriera personale di scarso successo, aveva comunque sempre collaborato con svariati musicisti, diventando alla fine una vera e propria icona delle jam band, sino a quell’ultimo tragico evento organizzato da tutti i suoi amici: il “70th birthday concert celebration” al Fox Theatre di Atlanta.
“La musica di oggi è orripilante”, aveva dichiarato poco tempo fa Hampton. Eppure l’ultimo suo gesto, poco prima di morire, è stato indicare dolcemente quel ragazzino, come a dire che invece non è vero che la musica è finita, così come l’ultima parola di questa vita sarà sempre la speranza, nonostante tutto. E proprio quel ragazzino è l’unico che, in mezzo a tutti gli altri musicisti, sembra accorgersi che qualcosa sta accadendo. Perché i ragazzi sono così.
Anche se contestano e mettono in discussione il mondo in cui stanno crescendo, continuano a guardare gli adulti, cercando in essi i testimoni di un senso dell’esistenza, alla ricerca del quale sono costantemente a caccia. Scrisse un giorno don Luigi Giussani che “nella musica, nel panorama della natura, è a qualcosa d’altro che l’uomo rende il suo omaggio. Il suo entusiasmo è per qualcosa che la musica, o tutto ciò che è bello al mondo, ha destato dentro. Quando l’uomo “pre-sente” questo, immediatamente piega l’animo ad attendere l’altra cosa: anche davanti a ciò che può afferrare, attende l’altra cosa; afferra ciò che può afferrare, ma attende un’altra cosa”.
Quell’ultimo gesto di Bruce e quegli attimi in cui il ragazzino sembra cogliere qualcosa sembrano dirci proprio questo. Raccontano di una tensione, di uno sguardo che, tentativamente e tenacemente, ci ostiniamo tutti a conservare. Forse il rock’n’roll, come lo conosciamo, è davvero morto. E forse la musica di oggi è davvero incapace di scrivere pagine come quelle ultime che un David Bowie o un Leonard Cohen ci hanno consegnato lo scorso anno, con l’ultimo loro disco, quasi fossero i sigilli di un’epoca. Ma la speranza, insieme alla musica che, in qualche modo, andrà avanti ancora, è destinata a non morire. Vive nell’ultimo gesto di un uomo e nel timido sguardo di un ragazzino con la sua giovane chitarra in mano. E continua a vivere dentro il nostro cuore. Nell’attesa di “un’altra cosa”.