PAT METHENY – ORCHESTRION PROJECT: Pat Metheny è in Tour per l’Europa con un progetto accattivante, Orchestrion, che dà il nome al suo nuovo album. E’ la realizzazione di un sogno che aveva sin da bambino, quando rimase folgorato del pianoforte automatico di suo zio. Impressionato da questo pianoforte che “suonava da solo” negli anni ha rielaborato quest’idea arrivando a realizzare un disco con un’orchestra di strumenti comandati da lui.
Carlo Viva ha seguito per ilsussidiario.net il concerto al Barbican Centre di Londra. (Pat Metheny Orchestrion Tour in Italia: 24 Febbraio a Bolzano, il 15 Marzo a Milano, il 16 a Firenze, il 17 a Roma, il 18 a Napoli, il 19 a Bari, il 21 a Palermo, il 22 a Catania).
La mia giornata al Barbican Centre di Londra comincia intorno alle 4 pm. Appena arrivato mi dirigo nella sala principale la Barbican Hall, 1949 posti esauriti da settimane. Sono ansioso di incontrare Pat Metheny e vedere finalmente l’Orchestrion. È una delle prime date del lungo tour europeo che lo porterà in Italia a marzo.
Il colpo d’occhio è di grande impatto, il bellissimo teatro fa da giusta cornice a questa macchina che, vista dal vivo, fa un grande effetto. È tutto un intreccio di strumenti: piano, batteria, campane tubolari, chitarre, marimba, bottiglie, vibrafono, tastiere, tutte collegate fra loro grazie al lavoro del suo inventore Eric Singer e della LEMUR (e che il grande maestro di cerimonie Pat Metheny piloterà con la sua chitarra e con il sistema Ableton).
Sul palco c’è solo Carolyn Chrzan intenta ad accordare le chitarre di Pat. Nel teatro oltre a me soltanto tre persone e David Oakes al mixer. Mi avvicino, lo saluto, giusto il tempo di scambiare quattro chiacchiere ed ecco che alle 4,27 p.m compare Pat. Quattro ampi sbuffi per scaldarsi le mani, poi si siede, prende la baritono e comincia il riscaldamento vero e proprio sulla chitarra, una decina di minuti abbondanti che passano in un silenzio quasi surreale, infranto solamente dalle sue note che riecheggiano timide nel teatro senza l’amplificazione.
David apre l’impianto e inizia il sound check. Pat è in completa tenuta jeans, in gran forma, appare rilassato mi fa un cenno di saluto e inizia a provare con grande attenzione tutte le sue chitarre.
«Can u strum» gli grida David e Pat inizia letteralmente a strimpellare da un mi maggiore, mai sentito un Metheny in versione così easy pop quasi “da spiaggia”. Pat è tranquillissimo e si fida ciecamente di David Oakes, con lui fin dagli inizi, gli chiede «What do u wanna do?» e David risponde dicendogli di provare l’attacco dell’Orchestrion. Mentre suona di tanto in tanto Pat si limitata a chiedergli: «Sounds good?» Alle sei, tutti contenti e soddisfatti; Pat esce di scena.
Me ne esco anch’io a osservare il lento afflusso della gente che, ora dopo ora, anima il teatro di un chiacchiericcio sopito, educato, mai sgradevole, che accompagna il consumo di piatti caldi, fiumi di birra e vino che vengono consumati all’interno del Barbican Centre.
Le 7,30 p.m. ora dell’inizio, arrivano in fretta, la sala è strapiena ed ecco che alle 7,42 p.m. Pat Metheny, completamente vestito di nero, sale sul palco accolto dagli applausi del pubblico londinese e imbraccia la baritono. I primi arpeggi sui bassi, foderano la main Hall del Barbican avvolgendola in un caldo suono; dopo un lungo intro Pat inizia un’incalzante parte ritmica suonata con il plettro per poi tornare al tema principale e chiudere con il pianissimo delle ultime note avvolte nel più completo silenzio della sala prima di sfociare nel primo lungo e caloroso applauso della serata. Entra in scena la Manzer Pikasso 42 corde, con Into The Dream, i purissimi suoni di questo strumento, che ancora oggi non finisce di stupirci, risaltano l’acustica del Barbican.
A questo punto Pat Metheny passa alla sua elettrica Ibanez e, a metà brano, qualcosa di strano inizia a muoversi sul palco ecco il suono di una sonagliera che porta il tempo e un piccolo piatto. Improvvisamente il rosso sipario viene alzato e l’Orchestrion fa la sua comparsa tra lo stupore generale, accolto da un lungo applauso. Pat è completamente a suo agio con l’imponente, bellissima e strabiliante orchestra meccanica. Suona e dirige il tutto con estrema naturalezza è tranquillo e si diverte il suo “giocattolone” sembra soddisfarlo parecchio…
Si succedono i brani del nuovo album "Orchestrion", riproposti in sequenza diversa rispetto, al disco ovvero Expansion, Spirit Of The Air, Entry Point, Orchestrion e Soul Search. Il pubblico è totalmente conquistato dalla straordinaria macchina musicale di Pat Metheny, i suoni sono stracurati, anche il più piccolo strumento viene azionato con gusto e misura.Gli applausi a fine pezzo sono sinceri, appassionati e interminabili. Pat interrompe anche un paio di volte il concerto concedendosi un po’ al pubblico, scherza riguardo alla “strana macchina” e confessa che deve ancora capir bene come farla funzionare…
Pat è un grande sperimentatore e lo dimostra anche in questa occasione quando imbraccia una strana acustica dal suono non proprio "Metheny standard" e improvvisa un brano (titolo provvisorio Angeli) con dei richiami folk, blues e rock, andando a far aprire nei cassetti della mia memoria delle ritmiche che mi hanno riportato a Pete Townshend degli Who.
Spazio a Offramp, è il momento del Pat Metheny più sperimentale e divulgativo che rende omaggio alla musica di Ornette Coleman. L’Orchestrion viaggia a pieno regime quasi “noise” e qui che si evidenziano i pregi di questa incredibile macchina. Nei pezzi “più Metheny” l’Orchestrion sembra peccare, impossibilitato a “replicare” il feeling delle note eseguite da Pat Metheny sulla chitarra come accade in Antonia tratto da "Secret Story".
Arriva il momento più coinvolgente dell’intera serata Pat si siede e l’emozione cresce quando con la baritono, avvolto da un morbido loop di archi, comincia a intonare la bellissima Dream of The Return (tratta da "Letter from Home"), la nostalgia prende il sopravvento, è uno dei grandi pezzi del leggendario Pat Metheny Group. Pat regala al pubblico londinese una versione da brividi anche senza la bellissima voce di Pedro Aznar.
Una volta terminati gli applausi il chitarrista del Missouri prende nuovamente la elettrica Ibanez e mentre sta dando il tempo all’Orchestrion qualcosa sembra non andare.
Eccoci, ci siamo “la macchina” non parte! Pat con grande mestiere si avvicina al microfono e dice «Ecco! Stasera per la prima volta è successo ciò che sarebbe potuto succedere ma che non doveva succedere! (ride)».
Il pubblico divertito scoppia in un lungo applauso. Pat Metheny prova ancora a impostare la macchina, il problema sembra rapidamente risolto, riprende a suonare, ma, all’improvviso dopo alcune battute il sistema si ferma di nuovo. A questo punto Pat, con tutto il suo sense of humor e con tempi da attor comico, davvero invidiabili, aggiunge «Ecco! Stasera è successo anche la seconda volta! (ride)». Il pubblico, divertito, capisce la situazione. Nonostante il problema tecnico (è stato forse un coupe de theatre?) si respira una gran bella atmosfera, distesa. Il concerto è stato molto bello.
«Ok ora c’è una sola cosa da fare» Pat Metheny senza esitare si siede e con la Baritone suona Stranger in Town (da "We Live Here").
Un’autentica standing ovation decreta la fine del concerto, tutto il Barbican è in piedi a osannare il genio di Metheny. A grande richiesta Pat risale sul palco e concede un solo bis, suonando in solitario Sueňo con Mexico tratto da "New Chautauqua". Nonostante gli imprevisti raccontati il successo e il consenso del pubblico londinese sono unanimi.
Finito lo spettacolo, mi dirigo in tutta fretta nei camerini, non vedo l’ora di rivedere e salutare Pat. Una decina di minuti ed eccolo sulla porta del camerino. È passato qualche anno da quando bambino gli mangiavo tutte le caramelle. Un lungo, affettuoso abbraccio, e un sorrisone Metheniano a 360 gradi, possiamo finalmente scambiare quattro chiacchiere. Pat è raggiante, soddisfatto del concerto. A questo punto inizia una informale e reciproca intervista. È lui il più curioso, mi chiede notizie del mio trasferimento a Londra. Gli racconto della difficile situazione della scena italiana nel proporre propria musica dal vivo. È contento quando lo informo delle prime date fissate a Londra e mi incoraggia dicendomi che il demo precedente era interessante.
A questo punto non esito a lasciargli i miei nuovi pezzi mentre gli chiedo notizie sugli inconvenienti tecnici con l’Orchestrion candidamente mi risponde: «Non ne ho idea Carlo, ma ora possiamo dire che è una macchina più “umana”… Va benissimo così, quando sei sul palco non puoi mai aspettarti ciò che succederà anche questo è il bello del mestiere!».
A questo punto cerco di farmi dire ciò che lo ha spinto a intraprendere un progetto così particolare: «Posso solo spiegarti come funziona l’Orchestrion! Ma per sapere il perché potrei dire che è una questione personale tra me e il mio lato più bizzarro!». È arrivato il momento dei saluti, un lungo abbraccio anche da parte di tutti i fan italiani che fra poco più di un mese lo vedranno in Tour in Italia.
Mentre ritorno a casa penso alla fantastica emozione vissuta. Pat Metheny è il Tim Burton della chitarra, ha finalmente creato il suo mondo magico, con un giocattolone strano, che condivide con lui il suo modo sognante, aperto, attento e geniale, di vedere la musica.
Se questo ti ispira Pat, siamo contenti tutti, perché ti porterà chissà dove, sempre accompagnato dal tuo genio, gusto e professionalità e, se qualche volta vuoi giocare Pat…se lo fai in questo modo… it’s ok with us!