In queste settimane estive sono in scena varie edizioni di “Madama Butterfly”, una “tragedia giapponese” – così la chiamò l’autore – di Giacomo Puccini su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa. D’altronde si tratta di uno dei lavori più apprezzati e più popolari del compositore lucchese.
Di particolare interesse quella proposta a Roma alle Terme di Caracalla, dove è in corso sino all’8 agosto un vero e proprio festival pucciniano.
Include tre delle opere più note del compositore scadenzate in modo che si possano vedere in tre serate successive: Madama Bufferfly, Turandot, e Bohème. Il terzo spettacolo è una ripresa della semplice mainteressante messa in scena dell’anno scorso (regia Davide Livermore, maestro concertatore Paolo Arrivabeni): un gioco di specchi e proiezioni. Gli altri due sono nuovi allestimenti innovativi che fanno discutere. Lo schema funziona: i 3700 posti sono quasi sempre pieni (nei primi sei mesi del 2015 la biglietteria ha incassato tanto quanto tutto il 2016). I turisti possono godere tre opere in tre sere una dopo l’altra. Grazie alle facilitazioni per chi ha meno di 26 anni, l’anfiteatro è pieno di giovani.
Veniamo a Butterfly che ho visto ed ascoltato il 14 luglio (terza replica serale) al rientro di Aix-en- Provence.
Per molti aspetta è spettacolo più trasgressivo della Alcina di Händel vista a Aix e di cui ho riferito su questa testata il 15 luglio. Non che ci siano come in Alcina cantanti che svestono e vestono in scena, momenti di sesso esplicito e un pizzico di masochismo. Lo spettacolo è, sotto questo punto di vista, castissimo anche nell’amplesso che chiude il primo atto. E’ trasgressivo perché nella Roma ‘palazzinara’ ( o meglio deturpata dai ‘palazzinari’) non solo porta la vicenda ai giorni d’oggi ma trasforma Pinkerton in un ‘palazzinaro’ che va in Giappone alla ricerca di minorenni (Butterfly ha 15 anni nel primo atto e meno di 19 nel secondo) ma soprattutto per fare speculazioni edilizie.
Acquista in una collina nei pressi di Nagasaki, con la fanciulla, una casetta e un terreno agricolo che copre di palazzine che andrebbero bene a Corviale (o a Cinesello Balsamo). E’ molto più duro dello spettacolo creato da Damiano Michieletto nel 2010 e ripreso nel 2015, nonché visto nel circuito micro cinema e su RAI5 in televisione. Michieletto porta l’azione è ai giorni d’oggi (o quasi) in uno squallido ‘basso’ sottoproletario di Tokyo dove Butterfly (Amarilli Nizza) è poco più di una prostituta redenta dall’amore per Pinkerton (Massimiliano Pisapia) e non segue i consigli del console (Alberto Mastromarino). Molto più duro perché il dramma di una ragazza distrutta da un palazzinaro è più feroce di quello di una giovane indirizzata sin da bambina alla prostituzione.
La concezione generale dello spettacolo è de La Fura del Baus, il gruppo di avanguardia catalano; la regia di Alex Ollé, le scene (bellissime) di Alfons Flores, i costumi di Lluc Castello. Un cast giovane. Asmick Grigorian è una perfetta protagonista : voce spessa e tenera,volume grande, ottimo fraseggio e raffinata recitazione. Angelo Villari è un Pinketon tanto più sgradevole perché un bell’uomo: ottimo registro di centro. Anna Pennisi è una Suzuki dolcissima. Alessio Arduimni uno Sharpless raffinato. Buone tutte le parti minori. Ottima l’orchestra, concertata da Yves Abel, alle prese , all’aperto con una delle più difficili partiture rossiniane.
Un solo dubbio. Viene utilizzata si utilizza la partitura di riferimento – ossia la versione del 1906 approntata da Puccini per l’Opéra Comique di Parigi ed entrata in repertorio, con una serie di piccole aggiunte e ritocchi fatti successivamente dal compositore. L’anno scorso a Genova è invece in scena una vera e propria rarità: l’edizione che trionfò al Teatro Grande di Brescia nell’autunno 1904 dopo il vero e proprio tonfo a La Scala alcuni mesi prima. Puccini ritoccò poco tra la versione de La Scala e quella di Brescia (l’esito a La Scala è in gran misura attribuibile all’esecuzione). Mantenne l’opera in due atti, ritocco leggermente l’orchestrazione ed aggiunse l’aria ‘Addio fiorito asil’ per il tenore.
Mentre con una regia come quella de La Fura del Baus sarebbe stato preferibile utilizzare l’edizione del 1904 che di recente credo si sia ascoltata unicamente nel 2009 a Venezia a La Fenice. Il libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa ispirata dall’omonimo testo in un atto unico di David Belasco, che Puccini ebbe modo di vedere a Londra nel 1900: profondamente colpito dalla tragedia umana della protagonista, Cio-cio-san suicida per amore, e affascinato dall’ambientazione esotica di carattere giapponese, diede voce ad una delle eroine più famose della lirica. Puccini avrebbe voluto mantenere l’’atto unico’, allora di moda ma la gestione de La Scala preferivao due atti per la difficoltà di trovare una seconda opera in un atto con cui mettere in scena Madama Butterfly.
La versione milanese del 1904 mostra un Pinkerton gaglioffo e razzista. Tanto nella versione milanese quanto in quella bresciana, Cio-cio-san è una bambina consapevole però del suo ruolo; in un passaggio del primo atto dice che Pinkerton ha pagato per lei ben cento yen (una grande cifra) e quindi deve fare di tutto per fargli piacere. La versione milanese del 1904 è stata messa in scena negli anni Settanta dalla Boston Opera, ma in Italia è stata ripresa una volta, a Venezia e in un’altra occasione al festival di Torre del Lago. Con la sua crudezza mi pare più consona all’impostazione generale dello spettacolo.