Per una mera coincidenza, la ‘stagione’ 2016-2018 del Metropolitan di New York (con Sir Simon Rattle sul podio ed un cast stellare – Nina Stimme, Ekaterina Gubanova, Stuart Skelton, René Pape, Evgeny Nikitin) e quella dell’Opera di Roma (il cui cartellone verrà probabilmente annunciato dopo le elezioni) vengono inaugurate con Tristan und Isolde di Richard Wagner uno dei capolavori assoluti che hanno cambiato la storia non solo del teatro in musica ma della stessa musica.
Senza la carica innovativa, il cromatismo e la dissoluzione della scrittura tradizionale – alcune delle caratteristiche di Tristan – non ci sarebbe la musica contemporanea, da Debussy alla dodecafonia; con circa mezzo secolo d’anticipo, l’opera apre il Novecento. E dire che Wagner aveva studiato composizione per solo sei mesi e non sapeva suonare decentemente nessun strumento (strimpellava male il piano)!
Tristan è opera di repertorio in Germania, in Europa centrale e negli Stati Uniti (anche se non tutte le esecuzioni sono all’altezza). Viene raramente messa in scena in Italia, a ragione delle grandi difficoltà sia orchestrali sia vocali. Il vostro chroniqueur ne ricorda una buona realizzazione a Bologna nella prima metà degli Anni Ottanta ed una ottima (in co-produzione con il Festival di Salisburgo) al Maggio Musicale Fiorentino nel 1999.
Negli Anni Novanta, ci furono, tra l’altro, un Tristan da non ricordare a Genova ed uno distrutto da una regia in chiave marxista ed omo-erotica a Bologna. Negli ultimi quindici anni ho un buon ricordo di produzioni di buon livello a Napoli, a Roma (in forma di concerto) all’Accademia di Santa Cecilia, e a Firenze. Meglio dimenticare quella con regia, scene e costumi di Pier Alli al Teatro dell’Opera di Roma nel 2006.
Tristan und Isolde si presta a molteplici letture: da filosofiche (Sinopoli ne esaltava il lato shopenauriano) a mitologiche (lo mettevano in rilievo Karajan e Fürtwangler), a erotico-sentimentali (Solti, Böhm), a decadentiste (Metha, Boulez). Scrivere unicamente per sfiorarne i misteri del confronto tra Isolde “wilde, minnige Maid” (selvaggiamente amante) ed il casto Tristan. Occorre ricordare che mai prima di Tristan und Isolde” (e raramente dopo) il teatro in musica è penetrato così a fondo nell’eros. Tuttavia, tra i due innamorati non c’è alcun rapporto sessuale (non che a Wagner mancasse l’esperienza di metterli in musica!).
Isolde è stata la donna di Moroldo ed è la sposa di Re Marco; Tristan non ha mai avuto donna (per quel che ne sappiamo); nella lunga notte d’amore del secondo atto – la prima ed ultima volta che si vedono (quasi) da soli dopo l’improvviso innamoramento – invocano la congiunzione tra eros e tanatos ma, fisicamente, si sfiorano appena, mentre la dama di compagna della protagonista, Brangania, vigila sulla coppia.
Il saggio per prepararsi alle produzioni inaugurali del Metropolitan (che speriamo si possa gustare in diretta HD nelle sale cinematografiche o in televisione) e a quella romana (che sarà concertata da Daniele Gatti) è stato appena pubblicato da Zecchini Editore: Tristan e Isolde: il Canto della Notte (pp. 198 € 19) di Adele Boghetich pianista, musicologa e germanista, nonché autrice di numerosi testi sulla musica tedesca. Il libro tratta il lavoro di Wagner come estrema apoteosi lirica, introspettiva e metafisica e soprattutto come un grandioso canto notturno di amore e di morte che rappresenta il testamento spirituale, non solo musicale, del Romanticismo. Adele Boghetich ne analizza le fonti: non solamente Schopenhauer, ma anche la mistica orientale,la lirica di Hafez, le visioni oniriche di Novalis, la storia medievale, e l’antico poema di Gottfried von Strassburg. Naturalmente , il volume contiene una dettagliata analisi drammaturgica e musicale della Aktion in tre atti (così la chiamò Wagner) ed una ricostruzione della relazione tra il poeta-compositore e Mathilde Wesendonk (con traduzione dei Wesendonk e lieder) e di parte del vasto carteggio.
Un libro, quindi, essenziale per gustare a pieno l’opera.