Le regine, si sa, sono regali. E quando arrivano a Sanremo, dopo una vita all’altezza, sanno fare la loro figura. E se Rania di Giordania, regina magnanima, bella, moderna, elegante, umana e attivissima su YouTube, viene al festival per dimostrare che l’Islam ha un volto umano, noi tutti siamo in festa.
Lei si impegna nel sociale, è moderna, compassionevole. Noi ci dobbiamo accontentare di quel buon diavolo di Emanuele Filiberto, aspirante confesso al mondo dello spettacolo e buffone volontario per l’insolita beffa escogitata al festival da quel toscanaccio di Pupo (certo complice del noto complotto: “Per-i-150-anni-dell’-unità-d’Italia-sputtaniamo-definitivamente-i-Savoia”).
Antonella e la regina: il pezzo forte della seconda puntata del festival, uno spazio lunghissimo, disteso, celebrativo, popolare, con tanto di O sole mio dei tre tenorini a chiudere la festa. Italia pop, calda, affettuosa, poco regale ma certo sincera.
Poi il mito Moulin Rouge all’Ariston: cosce, gonnone e giarrettiere al vento. Però sapete qual’è la sua verità, in questo globalizzatissimo 2010? Che la signorine del Moulin Rouge sono tutte stangone australiane che dall’età di 5 anni (come le ballerine della Scala) crescono votate a una sorta di Università del Can can in quel di Melbourne per poi soddisfare, a Parigi, le voglie turistiche di comitive giapponesi e statunitensi. Professioniste perfette dell’allegria a gettone, atletiche, meravigliose: nei corridoi dell’Ariston si scaldavano con esercizi degni di un contorsionista.
Per il resto diario sanremese attendista e tranquillizzante. Antonella ha chiarito meglio la filosofia della sua conduzione pop, ad alta empatia con le casalinghe del pianeta. Si è persino trasformata nel suo buffo Avatar con tanto di orecchie animali e pelle verde, ha ballato il Can Can con un tùtù tricolore, ha fatto di tutto. Ma in fondo se l’é cavata egregiamente.
Vedremo (stamane dalle 10:10 in avanti) se anche senza il turbo Bonolis in testa spunterà il risultato.