La scomparsa di Claudio Rocchi mi ha colpito al cuore, in quel luogo in cui si nascondono i fatti e i ricordi dell’adolescenza, del crescere, del formarsi, dell’incuriosirsi. Le prime canzoni di Rocchi le ho ascoltate quando avevo 14 anni, insieme agli amici con cui si provava a diventare grandi o per lo meno si tentava di lasciare l’età infantile, con mille idee assurde, mille desideri incomprensibili, mille scoperte più o meno innocue da fare.
All’inizio di questa mia storia personale di uomo e giornalista ci stanno le canzoni di Rocchi, cantautore milanese che aveva da poco lasciato una formazione iperpoliticizzata, gli Stormy Six, per dar voce ad un universo di anima e di canzoni insolite per l’Italia di quei tempi. I suoi primi dischi, “Viaggio” e “Volo magico nr 1”, sono gli album italiani che piùmi hanno “avviato” alla musica. Nel primo, soprattutto, c’e una canzone, La tua prima luna, che ha il potere di fotografare l’incerto cammino di una generazione cresciuta tra voglia di libertà e desiderio di fuga:
Questa è la tua prima luna che vedi
fuori di casa sapendo di non ritornare
Oggi sei uscito e ti sei domandato
ma dove sto andando e che cosa farò
Sei finito in un prato mangiando una mela
comprata passando dal centro
dove i tuoi amici parlavano ancora
di donne e di moto e tu ti fumavi
la gioia di essere riuscito a fuggire di casa
portandoti dietro soltanto la voglia
di non ritornare
Certo non è mai stato un “cantautore famoso”, eppure in quegli anni Rocchi si circondava dei migliori musicisti della scena milanese e italiana: Alberto Camerini e Ricky Belloni, Elio d’Anna e Mauro Pagani, girovagando tra i primi festival di musica alternativa e improvvisate sale concerto. In una scena rock italiana che vedeva l’emergere delle esperienze della Pfm e degli Area, di Battiato e del Banco, delle Orme e di Eugenio Finardi, Rocchi svettava per introspezione, ricerca sonora, impostazione progressive e misticismo, producendo nel ’71 quella suite di “Volo magico nr. 1” che chiunque sia dotato di senso musicale dovrebbe considerare tra i capolavori della musica italiana: diciotto minuti di pura estasi folk-rock, un brano che nasce splendidamente acustico, che si sviluppa come un mantra ed esplode in un fenomenale e trascinante brano di puro ed autentico rock giocato in un purissimo dialogo tra chitarra elettrica e pianoforte. Subito dopo, il musicista milanese se ne va in India (ci andavano in molti, dai Beatles in poi), ma lui se ne torna con tante suggestioni, tanta musica e tanta filosofia. Esce “Essenza”, altro disco sbalorditivo, con suoni e rumori, mellotron e piccole diavolerie elettroniche, sussurri ed esotici suoni indiani e himalayani. La sua produzione si dirada dopo “Il miele dei pianeti” perché – mi disse una volta – molto più concentrato sul flusso della vita che sul flusso della musica.
L’ho incontrato tante volte. Prima da ragazzino che lo avvicinava dopo i suoi concerti, poi da giornalista. Poi quando ha abbandonato la comunità arancione in Toscana di cui era diventato “priore”. Una volta ho avuto pure anche la bizzarra avventura di averlo come “collega”: abbiamo intervistato insieme Robbie Robertson all’uscita di “Contact from the Underworld of Redboy”. Il mio legame con lui è stato di tipo affettivo, oltre che musicale, visto che ci sono cresciuto. Aveva una personalità unica e onnivora verso le cose che gli pareva conducessero l’uomo a comprendere il suo mistero. Le filosofie e religioni induiste, le musiche indiane, i tabla e i sitar: gli altri avevano il vezzo modaiolo, ma poi si rifugiavano nella comoda vita europea. Lui no: Claudio abbraccia l’induismo e come Paolo Tofani degli Area (insieme i due hanno inciso uno sbalorditivo “Un gusto superiore”) vi si immerge anima e corpo. Assetato e affamato, simpatico e sereno, Rocchi non ha mai fatto le cose a mezzo servizio. Mai fuori dalla righe, vulcanico e creativo, ha scritto film, ha diretto programmi radiofonici, ha fondato una radio in Nepal, ha registrato dischi con musicisti di tutto il mondo. E quando mille malattie l’hanno costretto sulla sedia a rotelle, l’ha presa e l’ha raccontata come l’ultima delle sue infinite vite, lui che credeva nella reincarnazione.
Il suo ultimo prodotto discografico è il progetto “Nulla e’ andato perso”, sperimentazione realizzata con Gianni Maroccolo. Dentro c’è la sua ultima canzone, Rinascere, realizzata con Franco Battiato e Alessandra Celletti al pianoforte. Una canzone scritta mentre Claudio era già colpito da malanni gravi, che pure affrontava con serenità. Nella canzone si parla di rinascere in una terra diversa, senza orrori e brutture, senza odi e superficialità. Qualcuno può dire che non è stato un cantautore fondamentale per la nostra canzone. Di sicuro è fondamentale che chi ama la musica migliore scopra la sua produzione. Sarà una scoperta sorprendente.