Si è fatto un gran parlare, negli ultimi anni, del fatto che la musica sia in crisi a causa delle nuove tecnologie, che permettono la registrazione di un disco a prezzi notevolmente inferiori di quelli di uno studio di registrazione, una resa sonora competitiva e una diffusione molto più agevole grazie a youtube, Facebook, Bandcamp e altre piattaforme di questo tipo.
In poche parole, da anni ci sarebbe troppa offerta mentre l’ampiezza della domanda, bene o male, sarebbe rimasta la stessa di quando il cd era ancora il supporto più utilizzato per l’ascolto. Qualcosa di vero c’è di sicuro, almeno per quanto riguarda il maggior numero degli artisti in circolazione. Ma sono discorsi che lasciano sempre il tempo che trovano perché alla fine, quello che conta davvero è la passione e la bravura di chi suona. Anche perché di buona musica oggigiorno ce n’è in giro tantissima e non è neanche così difficile andarla a scovare: uno bravo lo si riconosce subito, anche in mezzo a mille e passa mestieranti.
Ettore Cappelletti lo avevo incontrato tre mesi fa a Cantù, quando aveva aperto per Malcolm Holcombe, suonando una manciata di brani da quello che sarebbe di lì a poco diventato il suo primo disco in studio, registrato sotto il monicker di “Ettore Cappelletti Trio”. Un disco di cui oggi, finalmente, riusciamo a parlare. È stato registrato alla fine del 2013 ma è uscito solo ad aprile, si chiama “Colours” ed è un lavoro che definire bello è dir poco.
Si tratta del primo lavoro da solista per lui e la band che lo accompagna ma non si tratta certo di un artista alle prime armi, dato che può già vantare una lunga lista di collaborazioni con musicisti italiani e stranieri, gente come Thomas Figueroa, Silvio Lopez, Andy Just, Les Guetrez.
Stessa cosa per quanto riguarda i suoi compagni di avventura: Marco Mariniello è tra i bassisti più richiesti in Italia. Attualmente suona in pianta stabile con Malika Ayane ma in passato ha avuto collaborazioni anche con Zucchero e Bocelli. Il batterista Cristian Daniel, vanta anche lui una serie di collaborazioni a tutto tondo, in Italia e all’estero, nell’ambito del jazz e del soul.
Ma che tipologia di disco hanno tirato fuori questi tre? Iniziamo subito col dire che non si tratta di un lavoro dedicato esclusivamente agli amanti del soul. C’è molto, moltissimo rock nei solchi di questo cd e anche uno come me, che non ha certo dimestichezza con la musica cosiddetta “black”, avrà la possibilità di apprezzare a dovere.
Si parte in quarta con la title track, una ballata acustica ritmata e gioiosa, impreziosita da una splendida linea di basso ed è già un’ottima occasione per far conoscenza con la voce di Ettore, ottima da un punto di vista timbrico, per nulla “Italiana” nella pronuncia e nell’inflessione (non ci sarebbe nulla di male se lo fosse, ma in questo modo incontra maggiormente i miei gusti). Uno stile di canto che mi ha ricordato non poco Eric Martin dei Mr. Big (che, non a caso, in questo genere rimane uno dei migliori sulla piazza) e in effetti anche alcune delle altre composizioni possono a tratti ricordare il periodo più soul di questa band, quello di “Hey Man”, tanto per intenderci.
Con la successiva “The river” i toni si fanno più accesi e si vira verso l’elettrico. Un brano che si caratterizza per un grande solo di chitarra nel quale Ettore fa davvero capire quello che sa fare. Anche il testo è interessante, pur andando a riprendere la classica immagine del fiume come metafora di redenzione e salvezza, presente in tutta la tradizione gospel.
Molto bella anche “Overcome”, forse l’episodio più soul di tutto il lavoro. Malinconica, struggente, con una splendida interpretazione vocale e un gran lavoro di chitarra solista nella parte centrale per un brano che, pur nella sua vena di tristezza, esorta a non arrendersi mai nella battaglia della vita.
Gli animi si accendono nuovamente con “Fire”, episodio a metà strada tra funk e blues con un ritmo davvero trascinante.
“Back Home” è invece uno standard blues, anche nella costruzione del testo, che riprende il tema del ritorno a casa, seppur non in chiave esistenziale bensì, semplicemente, come possibilità di riabbracciare il proprio amore dopo una rottura. È breve e coinvolgente ma è uno di quei pezzi che, siamo sicuri, dal vivo risulterà una delle più coinvolgenti.
Chiude “I ain’t got the time”, un’altra ballata dal sapore soul, impreziosita da lunghi soli di chitarra che però non risultano mai fuori posto.
Se aggiungiamo a tutto questo ben di Dio una produzione di ottimo livello, curatissima, che fa esplodere letteralmente il tutto in una danza di colori (giustamente, visto il titolo!), si può capire che abbiamo tra le mani un disco davvero splendido, che merita di essere comprato e ascoltato a fondo. Magari andando a vedere dal vivo Ettore Cappelletti e il suo trio, visto che al momento sono impegnati in un bel po’ di date in giro per la penisola…