Sono i primi mesi del ’93. Il sottoscritto è un adolescente (per fortuna non brufoloso ma comunque piuttosto sfigato) che da pochissimo si è avvicinato al mondo del rock e dell’heavy metal. In particolare, nell’estate precedente aveva letteralmente perso la testa per i Queen, allora sulla bocca di tutti dopo la prematura scomparsa di Freddy Mercury e la quasi obbligatoria uscita del secondo volume del loro “Greatest Hits”, la cui cassetta veniva febbrilmente scambiata e copiata tra i miei compagni di classe di allora.
Pochi mesi dopo, fu la volta dei Guns n’ Roses. “Use your Illusions”, il monumentale doppio album che li avrebbe definitivamente consegnati alla storia e che avrebbe anche purtroppo segnato l’epitaffio di quella meravigliosa line up, era uscito da poco più di un anno ma la sua eco non era ancora scemata. Erano passati dall’Italia per una sola data, allo stadio Delle Alpi di Torino, nell’estate del 1992 ma ovviamente non me ne ero accorto.
Adesso, nell’urgente bisogno di rifarsi delle spese folli del tour precedente, organizzano un altro giro di concerti europei, la cui tappa italiana è prevista per il 29 giugno allo stadio Braglia di Modena. Inutile descrivere la reazione mia e del mio compagno di banco quando lo venimmo a sapere. Adesso, la cosa più difficile era convincere i miei genitori a lasciarmi andare e, solo in un secondo momento, capire come recuperare i biglietti.
Per fortuna questa mia insana passione per la musica non è mai stata ostacolata a casa: il permesso fu accordato in maniera decisamente rapida, addirittura con mio padre che si offrì di accompagnarci.
La questione biglietti, che è poi il motivo per cui sto scrivendo queste righe, merita invece qualche parola in più.
Mio padre promise che si sarebbe informato presso alcuni misteriosi conoscenti appassionati di musica e qualche giorno dopo tornò con una notizia spaventosa: tutto esaurito. Al mio incredulo sgomento rispose sciorinando una teoria cripto complottista per cui tutti i biglietti disponibili se li sarebbero accaparrati fantomatici dj di altrettanto fantomatiche radio, musicisti, gestori di locali e in generale tutti coloro che in un modo o nell’altro bazzicavano il mondo della musica.
Non ho mai saputo se mio padre si fosse bevuto questa colossale bufala o se pure (come ogni tanto sospetto) se la fosse inventata per distogliermi all’ultimo momento dall’impresa. In ogni caso, che volete fare? Ero giovane, totalmente ingenuo, ci credetti al volo.
Io e il mio amico, in un tentativo al limite della disperazione, andammo addirittura da un ragazzo di quinta, che sapevamo avere un gruppo con cui suonava saltuariamente in bettole di infima categoria, per chiedergli se lui, essendo nel nostro immaginario un personaggio legato al mondo della musica, avesse per caso qualche canale per procurarci dei biglietti. Deve averci guardato come dei malati di mente.
Ad ogni modo, per farla breve, qualche giorno dopo venni a scoprire per vie traverse che i biglietti non solo non erano finiti, ma che neppure erano stati messi in vendita.
Chiarito l’equivoco, riottenuto l’assenso dei miei, mi limitai ad inviare nel più vicino punto di prevedendita un’amica di famiglia che abitava a Milano e nel giro di pochi giorni i famigerati tagliandi erano nelle mie mani.
Fu il primo concerto della mia vita e fu solo il primo di una lunga, lunghissima serie. Vidi decine e poi centinaia di concerti, da artisti oscuri ad altri molto più celebri ma mai, dico mai, neppure quando si parlava di eventi attesissimi con richieste molto alte, feci la benché minima fatica per trovare i biglietti. E la stessa cosa, lo posso dire chiaramente, accadde ad amici che seguivano cose diverse dalle mie: gli ormai leggendari show degli U2 e dei Pink Floyd in quel di Torino videro decine di amici e conoscenti presenziare immancabili e non mi risulta che nessuno sia rimasto fuori.
Se sto scrivendo questo pezzo è solo perché oggi qualcosa è cambiato. Negli ultimi anni, chi voglia andare a vedere un concerto deve semplicemente augurarsi che l’artista di turno non sia troppo popolare. Oppure, in alternativa, di essere dotato di una buona connessione internet.
Il nuovo tour degli U2, annunciato qualche mese fa e che passerà da noi a settembre, è già completamente sold out. Due sole date in Italia, entrambe a Torino, sono state bruciate in pochi secondi. In rete, i post di felicità di chi era riuscito a recuperare qualcosa, quasi scomparivano di fronte alla rabbia e alla frustrazione di chi era rimasto senza.
Settimana scorsa, all’apertura delle vendite per le due date italiane di David Gilmour, in programma a Verona e a Firenze, abbiamo assistito alla stessa scena. Biglietti bruciati in modo talmente rapido che veniva da chiedersi se fossero stati realmente messi in vendita, e un sacco di gente che sfogava la frustrazione con post esplosivi.
Ci sarebbero tantissime attenuanti, in realtà: gli U2 suoneranno in un palazzetto, che è notoriamente meno della metà di uno stadio; David Gilmour manca da nove anni in Italia e anche lui suona in due posti piccoli. Inoltre, stiamo parlando di artisti popolarissimi, forse tra i più famosi in assoluto nel mondo del rock. Che la domanda superi l’offerta è quantomeno scontato. I sold out a tempo di record ci sono sempre stati, mi si dirà. Quante persone sono riuscite ad andare a sentire i Beatles a Milano, nel loro celebre tour del 1965? E quante persone fecero la fila per sentire Springsteen nel 1996, quando decise di andare in giro da solo per teatri piccolissimi?
Tutto vero, per carità. Ma lo ribadisco, qualcosa è cambiato. La differenza, ricavata dalla semplice esperienza personale di anni e anni di militanza concertistica, è semplicemente questa: fino a pochi anni fa, chi voleva i biglietti per qualche evento importante, doveva, banalmente, solo organizzarsi per tempo. Ci si informava sul giorno e sull’ora dell’apertura delle vendite e si faceva in modo di essere nelle condizioni di poter fare l’acquisto. Il telefono era off limits perché le linee si intasavano? Stessa cosa, anni dopo, per internet? Nessun problema: bastava recarsi al negozio di fiducia, dare i soldi al commesso e ritirare il biglietto.
Certo, bisognava anche avere la voglia e la possibilità di aspettare ore e ore in coda, a volte anche di trascorrere una notte all’aperto (il sottoscritto per certi concerti di Springsteen l’ha fatto più volte) ma se ci si organizzava per tempo e se non si era particolarmente sfortunati, rimanere senza era praticamente impossibile.
Oggi tutto questo è saltato. Potere e volere non bastano più e neppure basta avere un modem più veloce degli altri. Oggi si è semplicemente appesi a un filo. Le vendite nei negozi ci sono ancora, certo, ma per diversi concerti sono completamente inutili: aprono con almeno un giorno di ritardo rispetto a quelle online e a quel punto è già troppo tardi.
Niente, oggi va così: ti metti davanti al computer, provi a fare qualche clic e preghi di essere tra i fortunati. Vincere alla lotteria potrebbe essere più semplice, forse.
La domanda a questo punto è obbligatoria: che cosa è cambiato?
Verrebbe facile rispondere che la colpa è di TicketOne. L’azienda in questione ha ormai monopolizzato in toto il meccanismo di vendita dei biglietti per qualsiasi tipo di spettacolo, non solo musicale. Non importa quale agenzia di promozione organizza il concerto: se vuoi i biglietti devi passare da TicketOne. E TicketOne, ormai, vende solo tramite internet (in alternativa, esiste anche una linea telefonica). Il sistema è unificato, centralizzato, spersonalizzato. Tutti i biglietti disponibili sono venduti nello stesso luogo, alla stessa ora: logico che l’acquirente non abbia più il controllo di quel che fa, non abbia modo di capire che cosa sta succedendo. È una corsa al più veloce, dove però non si ha modo di vedere contro chi si sta gareggiando e come stia andando la gara. Per i concerti nei teatri, non ti viene neppure permesso di scegliere il posto, devi comprare quelli che il computer decide di darti.
Ma fin qui, si potrebbe tranquillamente dire che è colpa della tecnologia che annulla l’individuo, che rende facile certi processi mentre ne impedisce altri. Si potrebbe fare questo ragionamento, fare un po’ di discorsi nostalgici su come era bello prima, e finire qui.
E invece, siccome siamo maligni, siccome sotto sotto, la teoria del complotto ci piace, proviamo a farci una domanda: cui prodest? A chi giova tutto questo?
Anche qui, il sottoscritto non può dare risposte, non ne sa nulla, non conosce nessun retroscena. Si limita, banalmente, ad elencare certe cose che vede.
Punto primo. I biglietti, puntualmente esauriti su TicketOne, compaiono con disponibilità più o meno illimitata su altri siti di compravendita tipo Viagogo, giusto per citare uno dei più noti. Ovviamente, a prezzi più che raddoppiati. Un esempio? Attualmente risultano disponibili una trentina di tagliandi per i concerti degli U2 di settembre. I prezzi partono da 200 euro.
Oppure, eventinbus.com, che offre pacchetti completi viaggio/biglietto da diverse città italiane. Se volete servirvi di loro, da Gilmour a Verona ci andate senza troppi problemi. Pagando il triplo, ovviamente, ma questi sono dettagli.
Punto secondo. I bagarini. Di loro si sa pochissimo. O meglio, so pochissimo io. Chi sono? Da dove vengono? Da chi comprano i biglietti? Non ne ho la più pallida idea. L’unica cosa certa è che loro li trovi sempre. Sono quei personaggi fastidiosi che ti accolgono fuori dalla venue, a qualunque ora arrivi, sventolandoti sotto il naso mazzi di biglietti i cui prezzi sono ovviamente direttamente proporzionali alla richiesta.
Punto terzo. I costi di prevendita. Da quando esiste solo TicketOne e da quando questa vende praticamente solo online, le percentuali sulle prevendite e i costi delle varie commissioni sono aumentati a dismisura. Per fare un esempio, su un biglietto da sessanta o settanta euro, i costi aggiuntivi possono tranquillamente arrivare a dieci-dodici euro, vale a dire il prezzo medio di uno show di una band del circuito indie all’interno di un club di piccole e medie dimensioni.
Punto quarto. I prezzi differenziati per settore. Nel 2003 vidi Springsteen a San Siro e c’era un biglietto unico (tranne la tribuna) con il quale ci si poteva sistemare in qualunque punto dello stadio. Inutile dire che lo comprai senza il benché minimo problema, a più di una settimana dall’apertura delle vendite, ma a quel tempo l’artista del New Jersey non era ancora diventato una moda. Oggi, quando il concerto è negli stadi o nei palazzetti, esistono una quantità enorme di settori, ciascuno con un costo diverso. Questo aumenta le spese e, ovviamente, fa sì che i posti migliori non vengano più occupati da chi arriva prima ma da chi è disposto a pagare di più ed è anche stato fortunato abbastanza da rimediare qualcosa.
Punto quinto. Le date annunciate con un anticipo esagerato, in alcuni casi addirittura un anno prima. Ora, è vero che alla fine uno i soldi li spende lo stesso, ma siamo sicuri che tutta questa fretta, unitamente all’aumento dei prezzi, non abbia a che fare col desiderio di mettersi dei soldi in tasca il prima possibile e farli fruttare notevolmente in banca?
Io non ho risposte, come già dicevo, e non ho che la mia esperienza su cui basarmi. È dunque abbastanza normale che questo pezzo sia pieno di errori e di imprecisioni. Una cosa è certa, tuttavia: dieci, venti anni fa, andare ai concerti, qualunque concerto, non era un problema. Oggi, riuscire ad esserci quando suonano certi nomi è un’impresa disperata.
Sarebbe interessante che qualcuno che vuole e che può, ci spieghi quello che sta succedendo. Nell’attesa, noi continueremo a farci venire il dubbio che ci sia sotto qualcosa di losco. Chi potrebbe biasimarci, dopo tutto?