La rimasterizzazione degli indimenticabili dischi dei Beatles offre l’occasione per ripercorrere l’opera dei Fab Four e osservarla, cogliendo la novità che rivoluzionò la musica di allora e che continua a influenzare quella del nostro tempo. In questa seconda puntata dello speciale “Ritorno ad Abbey Road” Francesco Chiari introduce i lettori de ilsussidiario.net all’ascolto di “With The Beatles” (1963).
Il contratto con la Parlophone-EMI prevedeva che i Beatles realizzassero un singolo ogni tre mesi e un album ogni sei mesi, per cui il gruppo iniziò le registrazioni del secondo album a luglio del 1963, meno di quattro mesi dopo l’uscita di Please Please Me: stavolta però le registrazioni, invece di concentrarsi in un solo giorno, si protrassero dal 18 luglio al 23 ottobre, naturalmente con frequenti intervalli per concerti e trasmissioni radiotelevisive.
Se pensiamo che i quattro mantennero questo defatigante ritmo produttivo fino a Rubber Soul nel dicembre 1965, dobbiamo inchinarci sia alla loro versatilità sia al fatto che non si ripeterono mai, nella musica come nel look.
Già la foto di copertina annuncia grandi cambiamenti rispetto al primo disco (e sì che il fotografo è lo stesso, Robert Freeman): non più quattro giovincelli che si protendono dalla tromba delle scale, ma quattro ragazzi dall’area seriosa i cui volti emergono da un fondale scuro.
Altro particolare importante è il maglione nero a collo alto, ossia nientedimeno che la “uniforme” degli esistenzialisti francesi; due anni prima, nell’ottobre 1961, John e Paul avevano trascorso una vacanza di quindici giorni a Parigi frequentando gli ambienti della Rive Gauche, e Astrid Kirchner, la fotografa tedesca amica del gruppo negli anni di Amburgo, aveva addirittura le lenzuola nere sul letto, tocco esistenzialista che sconcertò la fidanzata di John, la dolce Cynthia Powell.
Insomma, fin dalla confezione, i quattro chiedono di essere presi sul serio e non solo come fenomeno giovanilistico: già il brano d’apertura, It Won’t Be Long, giunge come una frustata con la sua atmosfera tesa, nervosa, con quell’inciso carico di cromatismi, e in generale con un clima più sanguigno e umorale, degno presagio di quanto arriverà. Gli spiriti più avveduti si sintonizzeranno presto su questa nuova lunghezza d’onda: Neil Young si esibì per la prima volta in pubblico, durante un concerto nella caffetteria del suo liceo, cantando proprio questo brano.
Lasciando scorrere la puntina, come si diceva poeticamente all’epoca, la sorpresa iniziale si tramuta in meraviglia per la ricchezza di soluzioni che trovano i quattro, e infatti al terzo posto della scaletta originale troviamo All My Loving, che qualunque artista con due grammi di cervello avrebbe immediatamente pubblicato come singolo, e che invece i Beatles potevano permettersi di confinare in un LP con logica del tutto anomala rispetto ai loro tempi. Con questo brano il gruppo aprirà l’esibizione televisiva allo Ed Sullivan Show il 9 febbraio 1964, quella che li imprimerà in maniera indelebile nella coscienza collettiva americana con tutto quello che ne seguì.
Subito dopo, altra botta con la prima composizione di George ad essere registrata, Don’t Bother Me, un brano modale, non tonale – riecheggia il modo dorico – e in minore, dall’atmosfera più cupa e tormentata del solito: siamo davvero lontani anni luce dal mondo spensierato del primo disco, e perfino la successiva Little Child, in apparenza il classico ballabile beat, si apre con l’armonica ruvida di John e si rivela essere non la classica dichiarazione dell’innamorato adolescente, ma la spudorata profferta del ragazzotto di strada, una mossa consapevole dei quattro per cercare di uscire dalla loro immagine pulitina.
Altro rock aggressivo, seppure elementare nella sua estrema semplicità di testo e melodia, è I Wanna Be Your Man, che i Beatles regalarono ai Rolling Stones per il loro secondo singolo, uscito nell’ottobre 1963, un mese prima di questo album, in una versione molto più viscerale di questa, pensata unicamente per far cantare Ringo, che, come disse George Martin con understatement tutto britannico, "non aveva certo la migliore voce del mondo".
Anche qui non mancano le cover, ma sono in minoranza, sei brani su quattordici, e non sono tutte memorabili: buona è Till There Was You, dal musical The Music Man, l’unico brano di Broadway inciso dal gruppo – che però seguiva la versione di Peggy Lee, non l’incisione originale in duetto – ma Please Mister Postman perde il confronto col ciondolante originale delle Marvelettes, e Devil in Her Heart, dell’oscuro gruppo femminile delle Donays, non convince appieno, per non dire della classica Roll Over Beethoven di Chuck Berry, che apriva la seconda facciata dell’LP sostituendo la potente rilassatezza dell’originale con una giovanilistica frenesia poco controllata (i Rolling Stones commetteranno lo stesso errore l’anno dopo riprendendo un altro classico di Berry, Carol, sul loro primo album).
Più azzeccata invece la riproposta di due classici Tamla-Motown: la sempre impagabile You Really Got A Hold On Me, frutto del genio di Smokey Robinson, stimola il lato R’n’B del gruppo, anche se la versione dal vivo alla radio svedese del 24 ottobre successivo vince ai punti, mentre Money, altro classico di Barrett Strong, chiude l’album su un tono di rabbia rock ad alto voltaggio, evocando davvero i Beatles dal vivo (essi però non strapperanno il brano all’autore com’era avvenuto l’anno prima con Twist And Shout, che in pratica oggi nessuno sa essere degli Isley Brothers).
L’amore per la musica nera, soprattutto il doo-wop corale, trama di sé brani come Not A Second Time, per il quale William Mann, critico musicale del Times, scomoderà in un articolo del 27 dicembre di quell’anno addirittura il Gustav Mahler di Das Lied Von Der Erde, che i Beatles non conoscevano affatto, in una delle più memorabili cantonate nella storia della critica musicale.
In America il disco uscì come "Meet The Beatles", con la copertina originale ma una scaletta diversa, mentre in Italia fu intitolato "I Favolosi Beatles" e portava in copertina una più "rassicurante" foto a colori di Dezo Hoffmann, scattata il 2 luglio intorno alla fontana dei Russell Square Gardens, riprodotta a pagina 51 del volume collettivo The Beatles London (Hamlyn, 1994)