“Mary and the Fairy” è il secondo album live dei Cheap Wine, che arriva a cinque anni esatti di distanza dal precedente “Stay Alive!”. Tante cose sono cambiate da allora: formazione leggermente rinnovata, con l’ingresso di un nuovo bassista, altri due dischi di studio di altissimo livello che ce li hanno confermati nuovamente come una realtà straordinaria, tra le migliori che abbiamo in Italia in termini di “Classic Rock” (sempre che sia giusto chiamarlo così). È proprio vero: in Italia questo genere di musica la si suona poco e soprattutto la si segue poco però quelli che la fanno, la fanno alla grande.
Registrato ad aprile al Teatro Sperimentale di Pesaro, loro città natale, “Mary and The Fairy” è molto di più di un semplice live album: innanzitutto perché il sempre curatissimo packaging è opera del pittore Giuliano Del Sorbo e questa nuova collaborazione tra musica e arte ha dato all’artwork dei Cheap Wine una vera marcia in più.
In secondo luogo, la tracklist di questo lavoro è decisamente molto particolare. Ma di questo abbiamo preferito discuterne con Marco Diamantini, cantante, chitarrista ritmico e ideatore assieme a suo fratello Michele, di un progetto che ha ormai passato il giro di boa dei vent’anni.
Lo abbiamo raggiunto per telefono quando mancavano pochissimi giorni all’uscita del disco, che abbiamo gentilmente avuto l’opportunità di ascoltare in anteprima.
Dato che le canzoni di questo live album sono tutte particolari e hanno tutte una storia dietro, mi piacerebbe che tu me le raccontassi una per una, dicendo quello che ti va, quello che secondo te i lettori di questa intervista dovrebbero conoscere… Ti va?
Beh, è sempre difficile parlare delle proprie canzoni, si hanno sempre delle remore, ogni canzone chi la scrive e chi la suona la percepisce di solito in modo diverso da chi la ascolta. Detto questo, va bene, cominciamo pure!
Bene, andando a memoria sulla tracklist, il primo brano è “Based On Lies”, che però non è quello con cui avete cominciato quella sera, vero?
No, perché la data faceva parte del tour di “Beggar Town”, abbiamo iniziato con un pezzo nuovo. Per prima cosa ti vorrei dire che mi sarebbe piaciuto molto includere tutto il concerto ma questo avrebbe comportato un cd doppio e molte più spese, per cui abbiamo deciso di limitarci al singolo. Abbiamo però scelto le canzoni da includere col criterio ben preciso di recuperare brani provenienti da dischi che da tempo sono fuori catalogo e che quindi volevamo in qualche modo rendere nuovamente disponibili, ma anche di documentarne altri che per noi sono importanti, che ci piace molto suonare dal vivo, ma di cui non esisteva ancora una documentazione ufficiale. Tornando a “Based On Lies”, è la canzone che ha dato il titolo al nostro disco precedente, per cui la consideriamo importante. Abbiamo deciso di includerla perché sia il messaggio ma anche la sua progressione strumentale ci sembravano interessanti, volevamo un po’ rimarcare questo valore, quindi l’abbiamo scelta per aprire il disco.
Il secondo pezzo in scaletta è invece “Dried Leaves”…
È una canzone a cui sono molto legato e che dal vivo, dopo l’arrivo di Alessio, che non aveva suonato la versione in studio, è stata arrangiata in maniera diversa, col pianoforte che fa da guida, l’armonica iniziale e con un’atmosfera molto mutata nelle sfumature, per cui era interessante includerla nel disco. Sai, una cosa che mi hanno fatto notare di questo lavoro le prime persone che lo hanno ascoltato è che quando uno pensa ad un disco live, pensa a un disco molto vivace, ritmato, con pezzi anche energici, mentre questo è particolare, privilegia le ballate, le atmosfere rarefatte… Ci piaceva fare una cosa di questo tipo, e questo è uno dei pezzi che meglio rispondeva a questi canoni…
A proposito di questo, permettimi un affondo sull’argomento: mi pare che, semplicemente, questo disco abbia il merito di documentare in pieno un aspetto del vostro sound che in realtà c’è sempre stato, sin dagli esordi. Dopotutto anche su “Stay Alive!” erano presenti episodi così…
Sì, assolutamente. Diciamo che da “Spirits” in avanti ci abbiamo tenuto a farlo vedere di più rispetto a prima, i dischi si sono indirizzati più verso queste atmosfere. Ora, il bello di questa band è che ha la capacità di rileggere i pezzi e di svilupparli strumentalmente in modi diversi. Non ci sono mai versioni definitive, ad ogni concerto succede sempre qualche cosa ed era quindi interessante fotografarlo in un disco live. È quindi un lavoro in cui c’è la stessa atmosfera ma poi ogni pezzo ha umori e sensazioni diverse. Chi ci segue spesso questo lato lo conosce già ma non tutti hanno la possibilità di vederci spesso. L’abbiamo fatto anche per noi, però, perché fa piacere riascoltarsi ed è una cosa che facciamo fatica a fare, non abbiamo i mezzi economici per poter registrare ogni nostro concerto. Abbiamo registrato solo in occasione dei dischi dal vivo che sono usciti, purtroppo. È importante che una band sia in continuo movimento, che i pezzi non siano mai uguali. Nel corso degli anni, se fosse stato possibile avere sempre registrazioni di ogni data, avresti visto che ogni pezzo è cambiato molto nel corso degli anni…
Ma non avete qualcuno dei vostri fan irriducibili che si sono organizzati per fare dei bootleg?
Sì, qualcuno lo ha fatto, in passato, alcuni me li hanno mandati, avevano anche realizzato delle copertine, era venuta fuori una cosa interessante, ce li ho ancora a casa…
Continuiamo con la scaletta: adesso c’è “Behind The Bars”…
Quello è uno dei pezzi cardine attorno a cui è stato costruito questo disco, gli altri due sono “Mary” e “La Buveuse”. Ha un arrangiamento molto diverso da quello della versione in studio, è un brano che per diversi anni era rimasto fuori dalle scalette, poi è stato recuperato perché un giornalista continuava a chiedermi di ripescarlo, visto che era il suo pezzo preferito. Ci abbiamo provato e vi abbiamo costruito sopra un arrangiamento molto diverso, che è piaciuto. Quindi, da brano quasi dimenticato è diventato uno dei cavalli di battaglia della scaletta attuale…
Poi viene “I Like Your Smell”: quello è il mio pezzo preferito, invece, e sono proprio contento di averlo sentito per ben due volte dal vivo…
Anche questa è stata arrangiata diversamente, visto che ci abbiamo messo la fisarmonica. È un’altra di quelle canzoni che ci chiedevano sempre, perché anche questa era da tanto che l’avevamo messa da parte. Quando abbiamo trovato questo diverso arrangiamento, però, abbiamo deciso di includerlo. Anche il testo si inserisce molto nelle tematiche degli ultimi due album, è un pezzo che possiamo ritenere attuale. C’è un aneddoto interessante di quando l’ho scritta: ad Alan, il batterista, sembrava una canzone d’amore mentre invece parla della pena di morte! Evidentemente l’atmosfera piuttosto triste e malinconica lo aveva tratto in inganno! Mi piace diversificare il testo dall’andamento della musica, è una cosa che ho fatto molto anche in “Based On Lies”, che forse è musicalmente il nostro disco più vivace ma che nei testi è quello più duro, come tematiche…
Parliamo de “La Buveuse”, adesso.
Come ti accennavo prima, è uno dei miei pezzi preferiti in assoluto, era rimasto fuori da “Stay Alive!” perché non avevamo a disposizione una registrazione ben fatta, se non ricordo male. Questa volta la volevo assolutamente recuperare anche perché l’arrangiamento è diverso e c’è questa atmosfera notturna, quasi jazzata, una cosa che mi piace tantissimo. Sono molto legato anche al testo, perché è nato alla visita al museo di Henry de Toulouse Lautrec, nella sua città natale. C’era questo quadro, intitolato appunto “La Buveuse”, che non conoscevo e che mi colpì immediatamente, anche se, paradossalmente, era situato in posizione non propriamente visibile. È una canzone che è ormai attaccata alla mia pelle, dal vivo purtroppo non è sempre possibile farla perché ci vuole un luogo adatto, come ad esempio un teatro e infatti lo Sperimentale di Pesaro per questo andava bene. Sai, una band come la nostra si trova a suonare in locali più rumorosi, di solito, che molto meno adatti per questo tipo di brani. Però ci sono legato, non potevo sopportare che non fosse documentata in versione live.
Ed arriviamo a “Mary”, che personalmente è una di quelle che più aspettavo. Ho ancora in mente una versione strepitosa suonata un paio di estati fa in un concerto dalle mie parti...
“Mary”, secondo me, è ormai una faccia dei Cheap Wine. “Ruby Shade”, il disco in cui è contenuto, è esaurito da tempo, ogni volta che la facevamo dal vivo la gente veniva al banchetto del merchandising è immancabilmente chiedeva il cd dove c’era su quel pezzo e a noi dispiaceva dire che non ce l’avevamo! Di conseguenza, quando si è trattato di pubblicare il live, capisci che era una di quelle che andava messa a tutti i costi! È un brano che ogni volta cambia, assume delle sembianze diverse: nell’assolo di chitarra ma anche nel mio modo di cantare, che a seconda delle volte può essere più o meno deciso nell’intenzione. Questa versione di Pesaro poi ci è piaciuta molto per cui è stato doveroso metterla. Alcuni potrebbero obiettare in realtà essa rappresenta solo la prima fase dei Cheap Wine, quella più psichedelica, ma in realtà credo che sarebbe potuta stare bene anche in altri dischi. Basta, è difficile dire altro: ci sono dei legami amorosi con i pezzi che scrivi, non si riesce a parlarne così liberamente!
Veniamo a “Waiting on the Door”: mi sono un po’ stupito di vederla inserita perché tra tutte quelle che avete scelto, mi pare quella più fuori posto dal punto di vista delle atmosfere, sei d’accordo?
Sai, sarebbe sempre meglio non parlare delle proprie canzoni, come ti ho detto. Però penso di non peccare di superbia se ti dico che, secondo me, questo è il più grande singolo che abbiamo fatto. Ha un appeal radiofonico eccezionale ma purtroppo la nostra mancanza di esposizione mediatica gli ha impedito di diventare molto conosciuto. Nonostante questo, io continuo a credere che abbia delle potenzialità commerciali enormi. Ricordo che quando è stato proposto per il disco aveva suscitato entusiasmo da parte di tutta la band. Per trovare il modo in cui cantarlo, poi, ci ho messo una vita! A suo modo è una canzone strana, forse non si direbbe ma di solito alle orecchie di chi ascolta arriva un altro tipo di lavoro, un lavoro che è già finito, per cui non ci si rende conto di tutta la fatica che sta dietro a certe soluzioni adottate. In questo caso, appunto siamo di fronte ad una canzone molto complessa che però ha una resa che è esattamente il contrario. Siamo molto orgogliosi, anche il testo è uscito molto in linea con quella che è la musica. Tornando alla tua osservazione: andava proposto perché, se da una parte è vero che sembra non c’entrare con le altre, è anche vero che una volta inserito, il legame poi è risultato evidente. Inoltre, come avrai potuto notare, questa versione è un po’ più lenta di quella che c’è sul disco…
Disco si conclude con “The Fairy Has Your Wings”: conosciamo già le motivazioni che vi hanno ispirato questo pezzo (la scomparsa recente di una persona molto vicina alla band NDA) per cui eviterei di farti raccontare ancora questa storia. Lasciami dire che anche questa la aspettavo perché me la ricordavo negli ultimi concerti e l’avevo trovata davvero meravigliosa.
Sì, questa sta diventando la canzone numero uno per i fan, quella più richiesta e applaudita. È un pezzo che effettivamente scuote molto a livello emotivo, non solo per le motivazioni che stanno dietro al testo ma anche per il modo in cui è suonata. Andava inserita nel disco anche per la parte finale strumentale, che è proprio un punto di forza dei nostri concerti, totalmente diversa dalla versione in studio. È una canzone che diventerà un classico per noi, immagino che non sarà facile in futuro, fare dei concerti senza suonarla. Anche i primi messaggi delle persone che stanno ascoltando il live sono molto incentrati su questo pezzo, pare che sia quello che sta piacendo di più. Poi è anche un brano del nuovo album, ci piaceva inserirla anche per quello. Ti dirò, avessimo avuto più spazio, avrei inserito qualche brano in più da “Beggar Town”…
Sappiamo che un disco dal vivo è fatto anche e soprattutto di esclusioni. Ecco, nella mia personale top list di outtakes figurano senza dubbio due brani, che mi è proprio spiaciuto non ritrovare. Il primo è “Temptation”…
Sì, per qualche anno è stato il punto focale del concerto dei Cheap Wine ma poi ad un certo punto l’abbiamo messo da parte. Ai fans piaceva ma questa band non si è mai fatta condizionare troppo dal successo delle canzoni: possono anche avere successo ma se qualcuno di noi si stanca di suonarle, allora non le facciamo più. L’avevamo ripescata un paio d’anni fa ma poi c’erano le nuove canzoni, siamo anche sempre indecisi sulla durata dei concerti, i dischi sono tanti e qualcosa deve rimanere fuori per forza…
La seconda è “Blaze in The Dark”… L’ho sentita l’anno scorso in trio e speravo proprio la riproponeste…
“Blaze in The Dark” era già stato uno dei brani più celebrati all’uscita ma è stato messo da parte soprattutto perché c’è qualcuno di noi che dice che ormai non suoniamo più in quel modo lì. Io, di mio, non sono sempre d’accordo ma, come ti dicevo, è giusto metterla da parte se qualcuno non è più contento di suonarla. È vero, recentemente l’abbiamo riproposta in trio ma non è particolarmente adatta, come veste. Non escludo che possa essere ripescato in versione elettrica nel prossimo tour, però ti posso dire che nessuno di questi due pezzi è mai stato preso anche solo in remota considerazione per il live. A posteriori, il disco va benissimo così anche se ogni tanto mi vengono in mente tante altre canzoni che ci sarebbero state bene. Ripeto: avrebbe dovuto essere un doppio!
Senti ma, visto che tanto ormai lo stanno facendo un po’ tutti, non avete ancora pensato di registrare un po’ di concerti e di metterli a disposizione dei fan per il download elettronico? Abbatterebbe i costi e darebbe la possibilità a chi vi ama, di seguire le vostre evoluzioni…
Ti dirò, a me queste operazioni non piacciono proprio, probabilmente è perché sono di un’altra generazione, ma io sono legato al supporto, vinile o cd. E poi comunque rimane l’ostacolo economico, visto che abbiamo messo tutte le nostre risorse nella stampa di questo cd. Tanto che , come sai, il vinile lo abbiamo realizzato grazie ai nostri fans, che si sono impegnati con il pre order. Siamo molto più prolifici, in realtà, se avessimo le possibilità economiche di cose ne uscirebbero tante, ovviamente, non stiamo mai fermi a livello mentale. Purtroppo, il fatto di essere limitati economicamente ci costringe a centellinare il numero delle pubblicazioni. Forse è anche meglio così: si screma di più, ci si inflaziona meno. Certo che, a pensarci, è vero che ci sarebbero tanti pezzi che meriterebbero una pubblicazione…
Tornando al tuo suggerimento… non ho il lettore mp3 o cd masterizzati. Sono legato all’oggetto fisico, sono operazioni che capisco che accontentino i fans però non sono cose che mi attirano tanto, non mi sembrano prodotti eccezionali, soprattutto se penso a quelli di Springsteen… invece, noi abbiamo curato sempre tantissimo sia l’aspetto del packaging, che la qualità sonora: se senti, il suono di questo disco è davvero fantastico! È una cosa a cui teniamo molto: prima di pubblicare, abbiamo innanzitutto verificato che il concerto avesse una buona resa sonora, in caso contrario non avremmo mai preso in considerazione l’ipotesi di pubblicarlo! Ma se esci con gli mp3, è evidente che non sarà mai la stessa cosa…
A breve partirete per l’ennesimo giro di concerti, davvero non vi fermate mai! Cosa dobbiamo aspettarci?
L’intenzione è quella di non fare mai un concerto uguale all’altro, di andare a rivedere alcuni arrangiamenti, di ripescare qualcosa che non facciamo da un po’… è fondamentale non annoiare e continuare ad emozionare, quindi penso che staremo attenti a questa cosa…