Nota è la situazione attuale del canto gregoriano: estromesso dalla sua patria, la liturgia, il repertorio desta interesse in un vasto orizzonte che spazia dall’ambito della ricerca alle più diverse situazioni sociali, dagli studi accademici alle sperimentazioni new age.
Gli studi gregoriani sono affrontati da un numero assai ristretto di persone. È ancora viva, benché più debole che in passato, l’attenzione ai fatti semiologici che necessitano con urgenza d’essere inseriti in una più ampia e globale considerazione del fenomeno musicale e liturgico. Ci si dimentica, a questo proposito, che p. Eugenio Cardine si è rivelato sì un grande semiologo, ma la sua formazione e i suoi interessi per il canto gregoriano erano fondati e vissuti nel contesto della preghiera comunitaria celebrata ogni giorno a Solesmes e a San Girolamo in Urbe.
Una premessa
Chi si accinge a studiare il canto gregoriano deve conoscere l’imponente edificio dalle sue fondamenta che lo reggono, gli donano stabilità, lo radicano nel tempo della Chiesa. Questo “materiale” rimane perlopiù nascosto e perciò rischia di essere ignorato o sottovalutato: è la Parola di D-i-o. Il gregoriano è la Parola che può essere proclamata solo da cantori che assumono la funzione profetica dell’annuncio della buona novella. Parola che non può essere pronunciata invano, ma che deve trovare nel cantore le condizioni ottimali per essere accolta nel profondo del cuore, dove il suo seme potrà germogliare e portare frutto a tempo opportuno.
In parole più immediate: chi vuole cantare il gregoriano – e non limitarsi a eseguire melodie anonime della tarda antichità e del medioevo – prima di eseguire musica, è chiamato a leggere la Bibbia, e in particolare i salmi, a ruminare la Parola, a interiorizzarla, fino a quando questa stessa Parola diviene luce che illumina l’esistenza. Impegno non facile, anzi spesso difficile, soprattutto perché può succedere che la Parola, dopo i primi entusiasmi, sembra quasi ammutolirsi, non dire più nulla, suscitare forse ripulsione e disgusto. Nonostante tutto ciò, la Parola va accolta, custodita, accarezzata, in un ascolto orante che non si lascia distrarre da tante parole che appaiono più attrattive e seducenti. In parole ancora più chiare: chi vuole cantare il gregoriano deve, prima di tutto, fare un cammino di fede, meditando ogni giorno le Scritture.
Il contesto esperienziale e culturale
Duplice è il contesto in cui s’inseriscono gli studi gregoriani. Estremamente importante è il contesto esperienziale: la celebrazione liturgica vissuta secondo i ritmi della Chiesa, con passione e fedeltà, lasciandosi guidare dalle dinamiche dell’anno liturgico, abbandonandosi a quanto le differenti azioni (Messa, lodi, vespri …) di volta in volta suggeriscono ed esigono. Assai istruttiva per il cantore gregoriano è la celebrazione in canto di tutta una giornata liturgica, esperienza che andrebbe ripetuta con una certa frequenza senza pretendere che il singolo cantore o interi cori ricostruiscano quotidianamente una giornata monastica. In questo modo si evitano assai discutibili soluzioni ideologiche a problemi concreti come il ritmo, la velocità esecutiva, la respirazione, l’emissione della voce…
Sul piano culturale si approfondiranno le discipline strettamente legate al repertorio liturgico, quali la storia del canto, la scelta dei testi letterari, gli sviluppi delle notazioni, la semiologia, l’estetica gregoriana con lo studio delle forme… senza trascurare alcune discipline ausiliarie, quali la bibliologia liturgica (la storia dei libri liturgici con e senza musica) e l’agiologia (la storia del culto dei santi). Anche altre discipline potranno essere utili, quali la storia delle istituzioni sociali ed ecclesiastiche, la paleografia testuale etc. etc.
Uno studio comparativo dei vari repertori (vergleichende Choralwissenschaft) è più di una cornice al cui interno si muove lo studio del gregoriano.
Le peculiarità del canto gregoriano emergono dal confronto con altri repertori. In particolare sono da considerare il canto (paleo-)beneventano, quello romano(-antico), quello milanese (ambrosiano),quello ispanico (mozarabico), le melodie delle tradizioni cisterciense e domenicana, i canti dell’universosiriaco e bizantino … Anche in questa prospettiva è necessario non fermarsi al solo fatto musicale, ma chiedersi quale messaggio di fede è in atto, quale linguaggio e quale peculiarità espressiva connotano la testimonianza di fede delle varie comunità ecclesiali sparse nel territorio (europeo) nell’arco di un buon millennio (600-1900).
Una conclusione
Il canto gregoriano è certo un fatto musicale, ma la sua realtà profonda, essenziale è di un’altra natura. Esso è preghiera vissuta dalla Chiesa e nella Chiesa in ascolto della Parola. La docilità alla Parola rende il cantore profeta che s’impegna a cantare con cognizione, mettendo in gioco tutte le sue forze spirituali e fisiche (ma non necessariamente si deve cantare forte!).
La voce del cantore diviene soffio dello Spirito. È Epifania della Parola che scuote, rinnova e ri-unisce, crea com-unità. Nell’attenzione reciproca, nel farsi carico delle necessità altrui. Con la leggerezza del canto che sale e trascina con sè quanti si lasciano condurre dallo Spirito.