Norma di Vincenzo Bellini è la prima opera che il compositore catanese ebbe modo di programmare e comporre con calma. In accordo con il librettista Felice Romani, Bellini ambiva ad un lavoro che non fosse principalmente un’occasione per gli interpreti di dare sfoggio alle loro abilità vocali (con un’orchestrazione essenzialmente di supporto) ma in cui musica e narrazione si integrassero. Tratta da un dramma francese allora – si era nel 1830 – di grande successo, univa una tragedia personale di amori e tradimento con pulsioni rivoluzionarie nazionali. Per questo motivo, è uno dei lavori rimasti nei cartelloni durante il Risorgimento, quando il bel canto era stato soppiantato dal melodramma, prima donizettiano, poi verdiano. Sempre per questa ragione, sono possibili adattamenti moderni quali quello presentato l’anno scorso a Salisburgo che ha ottenuto l’Oscar internazionale della lirica per il 2013 e che situa la vicenda nella Francia occupata dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale.
La produzione Jossi Wieler e Sergio Morabito, rispettivamente sovrintendente e direttore artistico dell’Opera di Stoccarda, precede di circa un decennio quella di Salisburgo ed ha ottenuto l’Oscar della critica tedesca quando debuttò nel 2002. E’ stata ripresa più volte a Stoccarda e ha girato per altri teatri europei. E’ sbarcata il 17 giugno a Palermo dove resterà in scena sino al 25.
Norma è di casa a Palermo. Il programma di sala elenca circa 45 edizioni dal 1830. Mancava dal Massimo dal 2007 ed era molto attesa. Tuttavia, l’allestimento ha avuto la sera della prima un’accoglienza mista: applausi anche a scena aperta ai cantanti, all’orchestra e al corso, fischi (soprattutto dopo la prima parte) a regia, scene e costumi.
Nell’edizione nata a Stoccarda, Norma è una partigiana durante l’occupazione tedesca. La vicenda si svolge interamente in una chiesa spoglia, diventata rifugio di una cellula della resistenza. Ha avuto due figli da Pollione (capo degli occupanti) il quale vuole tradirla con la più giovane Adalgisa.
A mio avviso, l’ambientazione non inficia la drammaturgia, anzi le dona un tratto intenso e coerente: un paese occupato, la Francia come la Gallia, una protagonista femminile che cerca di affermare le ragioni della pace, ma fallisce. Probabilmente, sarebbe stato utile illustrare che lo spettacolo si inserisce nella ricorrenza dell’inizio della Grande Guerra, a cui è dedicato l’intero festival di Ravenna e il festival estivo di Salisburgo dedica due prime mondiale di lavori su donne contro e conflitti (una delle due riguarda la seconda non la prima guerra mondiale). In questo senso, pur presentando uno spettacolo concepito una dozzina di anni fa, il Massimo è all’avanguardia, rispetto non solo a Salisburgo ma anche alla Scala (il cui programma è stato presentato il 17 giugno e che ha calendarizzato per metà gennaio Die Soldaten di Zimmermann, opera pacifista su donne e guerra).
Di indubbio livello la parte musicale. Csilla Boross (che molti ricorderanno nel Nabucco diretto da Muti) ha un’estensione vastissima ed repertorio molto ampio; ha debuttato, a Palermo nel ruolo, dopo avere cantato, per anni, Verdi, Wagner e Puccini. Offre , quindi, una Norma drammatica di agilità con un volume generoso. Accanto a lei, l’Adalgisa di Annalisa Stroppa appare ancora più innocente, ma è senza dubbio alla sua altezza scenica e vocale. Accanto alle ‘due donne contro ‘ (una guerra interamente tra uomini o quasi), quasi scompaiono i protagonisti maschili (Aquiles Machado e Marco Spotti). La bacchetta di Will Humburg ha un piglio più wagneriano che belliniano. Di livello, il coro (altro protagonista) diretto da Pietro Monti.