“Il diluvio universale” con cui Annalisa partecipa al Festival di Sanremo 2016 lancia una sfida immediata all’ascoltatore che potrebbe intendere un richiamo biblico e di conseguenza misurarsi con le proprie reminiscenze. Di fatto già dalla prima strofa si intuisce un fraintendimento. L’amore non è una colpa/non è un mistero/non è una scelta/non è un pensiero.
Con tale dissonanza il titolo potrebbe essere inteso in senso meteorologico e avere comunque una valenza apocalittica. Dopo il secco di questi mesi un diluvio deve preoccupare la protezione civile e noi poveri innocenti per le conseguenze. Ma una domanda sorge spontanea: come avvicinare il diluvio universale al significato dell’amore? Un quesito di non facile soluzione anche perché la cantante esordisce con una raffica di negazioni non allineate metricamente (mistero-pensiero contro colpa-scelta).
Queste negazioni ci introducono all’andamento binario del testo poiché la colpa e il mistero possono appartenere al mondo biblico e spirituale mentre la scelta e il pensiero a quello secolare, mondano. Da una parte l’insondabile e la predestinazione, dall’altra il libero arbitrio e l’autodeterminazione, ma chi vuole può anche interpretare questo spirito come predisposto alla doppiezza. In questa fase non possiamo escludere del tutto l’ipotesi metereologica ma rimaniamo in ascolto. L’amore quello dei film/l’amore del “che segno sei?”/c’è affinità, un aperitivo, chissà se mai/magari qualcosa, qualcosa succederà.
In questa strofa assistiamo a un cambio di scenario, anche se l’amore rimane l’argomento centrale. L’ascoltatore viene precipitato nella dura realtà dei giovani che, a parte avere già tanti problemi a trovare un lavoro che li renda indipendenti, devono barcamenarsi e passare da un bar a un altro per rimorchiare qualcuno. Gli aperitivi hanno sostituito le agenzie matrimoniali ma necessitano di grande energia, disponibilità economica e tempo. Un secondo lavoro con un’elevata percentuale di rischio (chissà se mai … qualcosa succederà) anche perché se qualcosa succede non è detto che sia la cosa giusta, come si deduce dalla strofa successiva.
L’amore di questa notte/non conta niente/anzi, sia maledetto/e maledettamente/io non tornerò.
Ecco è successo, l’aperitivo ha funzionato ma per rendere accettabile l’idea al pubblico nazional-popolare, o creduto tale, ecco che al posto della parola sesso Annalisa ricorre alla parola amore. Ma l’ascoltatore smaliziato capisce che si tratta di un piccolo inganno non solo lessicale ma anche sentimentale. L’amore è troppo nobile per svelarsi nel corso di una notte, anche nelle canzoni. Il fallimento è esplicitato con odio (sia maledetto … io non tornerò) e l’atteggiamento ottativo espresso poc’anzi viene brutalmente azzerato. Dalla speranza si passa all’insuccesso nel giro di pochi versi e qualche ora notturna. Di positivo c’è che ancora non piove né tira vento, il che depone bene per il resto dell’umanità che non ascolta Annalisa. Bisogna però dare a Cesare quel che è suo perché in un mondo in cui nessuno si assume le proprie responsabilità Annalisa ci tiene a mettere in chiaro il perché.
Perché non hai futuro/e io ho già poco tempo per me stessa/figuriamoci per gente come te.
Così scopriamo che la ragazza ha un potere non da poco, prevedere il futuro (ma non che tempo farà). Questo lui non ha futuro, ha un calendario brevissimo e già ci vengono i brividi per una sorte così avversa nella quotidianità di una donna evidentemente molto impegnata. Ritorna utile l’ipotesi fatta all’inizio di una predisposizione alla doppiezza perché una persona che si scinde fino a non avere tempo per se stessa, e lo ammette, vale la pena di essere studiata.
E intanto prendo questa metropolitana/l’unica che sorride è una puttana/e allora io preferisco sognare/perché è così io lo so/che mi lascio andare.
Se l’ascoltatore di Sanremo non può essere esposto alla parola sesso deve però sorbirsi la parola puttana, forse per la facile rima con metropolitana. E viene da chiedersi perché essere così moralista nei confronti di una persona che ti ha pure sorriso soprattutto se, cara Annalisa, hai passato la notte con un semi sconosciuto con i giorni contati. Il riferimento al mondo onirico come unico luogo di abbandono vale come parziale ammissione del suo sdoppiamento rinforzato dalla strofa successiva.
E tu che resti l’unico al mondo/come una stanza da rifare/resti immobile all’altare/sei una canzone che non ho mai saputo cantare.
Quindi da una parte la donna con la sfera di cristallo e senza cuore che butta fuori il malcapitato prima che scada il suo tempo, dall’altra la donna che del malcapitato ammette l’unicità. A questo punto siamo sottoposti a un arrotolamento concettuale: quanti di noi ritengono una stanza da rifare unica? E quanti di noi la associano a un essere umano? Questi interrogativi rimangono senza risposta perché il mistero si infittisce. Pur nella sua unicità l’uomo deve aver commesso un errore anche con la parte buona di Annalisa che lo lascia immobile all’altare. L’immobilità ci dà l’idea che lui sia vittima di un trauma occorso là per là, oltre a essere in balia di una rima (altare/non ho mai saputo cantare) che lo vuole assimilare a una canzone.
L’amore succederà/o forse è già successo/ma tu non l’hai visto/e lo vedi solo adesso.
Se Annalisa avesse parlato anche solo con una buona amica avrebbe potuto risparmiare tempo, denaro e affanno sentimentale. E’ chiara la confusione che non le consente di vedere l’amore né in lei né in questo lui altamente intempestivo. Pesa dirlo ma del diluvio nessuna traccia.
Ma stasera rimango a casa/a cucinare la vita/come fosse un buon piatto da buffet.
Bene, per una volta niente aperitivo fuori ma cucinare la vita ha un imprendibile senso filosofico che poco si concilia con il buffet. È risaputo che i buffet sono posti ancora più affollati degli aperitivi: tutti si accalcano con i piatti in mano e spesso il cibo è freddo o scotto o scarso. Ma nella strofa successiva si intravede un tentativo di ricucire la scollatura iniziale dovuta alla serie di negazioni.
Lo so l’amore è spudorato/l’amore è egoista/l’amore è un atto di necessità di te/e mentre sfoglio uno stupido giornale/penso che in fondo sia tutto regolare.
Finalmente delle certezze e un’ammissione di dipendenza anche da parte di questa donna così imprevedibile che ritiene che la stampa abbia una funzione sociale. Comprendere che non c’è niente di male ad avere la stanza in disordine e a non saper cantare una canzone è un traguardo.
E allora io preferisco sognare/perché da qui la realtà si nasconde meglio/che sotto il diluvio universale/e tu dall’altra parte del mondo/come una stanza da rifare/resti immobile all’altare/sei la canzone che/non ho mai saputo cantare.
Il riferimento al mondo onirico questa volta ci svela un’altra verità: la possibilità che il sogno diventi reale a tal punto da nascondere la realtà perché più potente (non ci crederete) del diluvio universale. In coda la canzone dona all’ascoltatore la pioggia e una confusione di piani tale che quasi passa inosservata. Sogno e realtà, lei di qua lui di là, e forse viene il dubbio che la stanza da rifare e l’uomo immobile all’altare siano parte del sogno dove prendono corpo le paure inconsce di Annalisa. Ce lo auguriamo per lei. Il titolo di un’opera spesso esprime un verdetto, in questo caso pesante come la pioggia di un diluvio annunciato.