In ogni pagina scritta in queste ore per rendere omaggio alla grande figura artistica di Claudio Abbado c’è un aspetto ricorrente: l’evidenza della sua eccezionalità di musicista nel senso più completo e nobile del termine. Direttore dalla memoria prodigiosa, dal gesto elegante ed eloquente, dalla personalità e dalla cultura uniche, fu in gioventù anche pianista dalla tecnica sopraffina e dalla spiccata sensibilità, come ricordano i violinisti Claudio Bellasi e Umberto Oliveti, che hanno avuto il privilegio di condividere con lui negli anni ‘60 i primi successi nelle lunghe tournée europee guidate dal padre Michelangelo.
Personalità e cultura, dicevamo, “che hanno sempre animato”, sottolinea Giovanni Fornasieri, direttore e didatta milanese, “il suo desiderio e la sua la capacità di fare diventare popolare la musica colta, come quando inventò quel vero e proprio evento che fu a Milano l’esecuzione dell’Alexander Nevskij di Prokofiev e dei Pezzi Sacri di Verdi al nuovo Palasport, giungendo così a quelle periferie esistenziali che tanto gli stavano a cuore (le stesse di cui Papa Francesco è diventato infaticabile ascoltatore). E’ bellissimo a questo proposito vedere un uomo come lui commuoversi fino alle lacrime nel guardare i ragazzi venezuelani che suonano con una passione e un ardore raro anche per le orchestre più blasonate“.
Disse lo stesso Abbado parlando di questo: “Il mio soggiorno in Venezuela, dove la musica ha una valenza sociale enorme, e dove sono nate centinaia di orchestre giovanili, mi ha riconfermato che la musica salva davvero i ragazzi dalla criminalità, dalla prostituzione e dalla droga. Li ho visti, facendo musica insieme trovano se stessi”.
Daniele Agiman, titolare della cattedra di direzione d’orchestra del Conservatorio G.Verdi di Milano (lo stesso conservatorio dove Abbado imparava i primi segreti della tecnica direttoriale da Antonino Votto), riassume con semplicità quello che ha reso grande il maestro: “Ogni musicista che ha avuto la fortuna di lavorare con lui gli riconoscerebbe come prima dote la capacità di trasmettere col gesto la sua idea della musica”.
Tutto il bagaglio di conoscenza, di studio e di intenzioni trovava manifestazione nella chiarezza e nell’essenzialità del suo gesto direttoriale. “Per questo non ha mai avuto bisogno di troppe parole per comunicare con l’orchestra e per farsi amare dal pubblico.”
Gli ultimi minuti del requiem di Verdi a Berlino del 2001, il silenzio dilatato e commosso del pubblico dopo l’ultimo accordo, lo sguardo degli orchestrali e dei coristi verso il maestro, così affaticato e segnato dalla malattia, ma così umanamente intenso e coinvolto, sono l’evidenza dell’affetto e della stima vera di cui Claudio Abbado era circondato.
Affetto e stima con cui il suo pubblico e i suoi musicisti non hanno mai smesso di seguirlo. Come compagni di strada, attraverso la dedizione alla Bellezza svelata dalla musica, nell’affascinante e drammatico cammino alla Verità.