Come al solito, ma come al solito sempre in maniera più sorprendente del previsto, la buona musica te la fanno scoprire gli amici. Magari una canzone che hai sentito tante volte, magari una canzone che è una delle tue preferite. Eppure quando un amico che se ne intende ti racconta quella canzone, la riscopri in modo imprevisto, la vedi con gli occhi di un altro e ti si spalanca un mondo. Non solo, in modo meravigliosamente virale i suoi occhi sulla “tua” canzone, aprono i tuoi occhi su altre canzoni. Come le ciliegie che fiducioso attendo, una buona canzone tira l’altra. Real time playlist. Una delle cose buone e democratiche della rete.
Le due canzoni sono dello stesso autore, Vinicio Capossela, un mio feticcio, su di lui sono estremamente di parte e così come non nascondo la mia invidia, con cui ho un ottimo rapporto, non nascondo la mia preferenza. Parlo di “Una giornata senza pretese” e di “Una giornata perfetta”. Lungi da me spiegare le due canzoni, così come non intendo farne esegesi testuale. Voglio solo raccontare due canzoni.
Una giornata senza pretese (All’una e 35 circa, 1990).
Sotto un cielo di nebbia / che cielo non è / è un altro giorno insicuro / che io passo con te /… / È stato forse per noia / o per mancanza di vino / siamo usciti di casa / e andati incontro al destino / destino normale / fatto di punch e giornale / di risate spremute / e di parole taciute. / È una giornata / senza pretese / e non ci succede / una volta al mese. / Stiamo qua / abbracciati / ad aspettare la sera / e se mi guardi / io non ti vedo / ma mi ricordo / del nostro amore / stiamo qua / messi qua / ad aspettare la sera.
Canzone malinconica, rispecchia il mood del primo Vinicio, quello che si è formato musicalmente, e forse anche umanamente, in vecchi storici locali in giro per l’Emilia Romagna. Locali fumosi, birrosi, divenuti leggenda anche grazie a lui, quei locali in cui un po’ cupo e tenebroso, spesso gonfio di birra, Vinicio era ricurvo sul piano, così come lo immagino ricurvo sul volante della sua Volvo nel cuore della notte mentre si sposta da un locale all’altro, senza fissa dimora, aspettando la prossima sera e il prossimo locale in cui suonare, tanto che poi uscirà Live in Volvo che guarda caso contiene forse la versione più bella, nuda e cruda al piano, di Una giornata senza pretese.
Proprio per chi non lo conoscesse, Live in Volvo è l’album rocambolescamente e alcoolicamente registrato in uno di quei locali, il Naima di Forlì condotto dal mitico Minisci mi stupisci! (Come lo appella Vinicio, e, con l’ambigua eloquenza che lo caratterizza, non si capisce mai se lo dice per prenderlo per il culo o per affetto, o più probabilmente per prenderlo affettuosamente per il culo). Insomma la canzone racconta una giornata in cui una coppia, vecchia giovane non importa, che ha superato l’entusiasmo iniziale, si trova a fare i conti con le offerte del supermercato, con la temuta routine. Oppure no.
Ovviamente, a modo suo, è la noia, oppure la mancanza di vino che li ha spinti ad uscire dal guscio accogliente della casa. È l’auto che li porta dolcemente, che li fa scivolare nella notte più scura, non ne sono impauriti, anzi, ci scivolano volentieri, forse perché tra le luci delle vetrine e i prezzi delle scarpe non si trovano così a loro agio. Potrebbe addirittura non esserci la coppia, potrebbe essere lui solo, e gli occhi che lo accompagnano sono i suoi riflessi nelle vetrine, nello specchietto retrovisore.
Potrebbe essere semplicemente lui che cerca sé stesso, o una coppia che cerca di riappropriarsi del proprio amore, che alla fine è la stessa cosa. Lui, lei, vanno incontro ad un destino normale, punch, giornale, risate tirate fuori a forza, parole taciute. Saranno quelle che è meglio tacere per non ferire l’altro o quelle che non c’è bisogno di dire perché tanto l’altro ci capisce al volo? Non si sa, forse sia le une che le altre.
È un destino normale, di cui non c’è da vergognarsi, però è un destino che va un po’ oltre le vetrine e le scarpe, è un destino che si avventura nel mistero della notte, e siccome è mistero anche se lo conosciamo non lo conosciamo. Forse ci sta bene così, perché sappiamo che anche da qualche casino che nella notte ci potrà accadere, verrà fuori qualcosa di buono.
Malinconica, dolce, con dentro una promessa. La promessa che lo scontato e il comodo quotidiano in realtà non sono scontati, perché c’è il mistero della sera che viene, c’è la notte che contiene un mistero, mistero che è dolce attendere insieme.
Vinicio non si sbilancia, rimane spesso volutamente vago, forse perché in un certo senso è vaga la realtà, quella che per uno può essere una monotona quotidianità (punch e giornale), per un altro può essere il luogo straordinario in cui comunque accade il destino. Come in Perfect Day, in cui una giornata al parco bevendo sangria, o dando da mangiare agli animali allo zoo, è qualcosa di straordinario, perfetto. Come a ricordarci che spesso guardiamo a quel che manca e quasi mai a quel che c’è.
Quando esce questo album Vinicio è giovane, 25 anni, la canzone che da il titolo all’album diventa una hit che ancora oggi difficilmente riesce a non suonare. Però è Una giornata senza pretese a rientrare spesso nei bellissimi bis che Vinicio concede da solo al pianoforte alla fine del concertoMarinai, Profeti e Balene con cui Capossela sta girando da più di un anno. Si siede al pianoforte, si fa portare tre birre che si scola una dietro l’altra, nel frattempo con una mano suona le prime note del motivo e racconta, fino a che, dopo diversi lunghi dolcissimi minuti in cui ricrea l’atmosfera, non comincia a cantare. La canzone spesso inizia o finisce con le note di una ninna nanna, come in Live in Volvo, perché è una ballata da cui lasciarsi cullare.Una giornata perfetta (Da solo, 2008).
È una giornata perfetta / passeggio nella strada senza fretta / ascolto Vic Damone / alla radio diffusione / a spasso per la mia città. / … / Fischiare quando passan le ragazze / come primavere / fischiare e rimanere / al tavolo seduto / non inseguire niente / né botole né imbuto / perché… / È una giornata perfetta / … / Non si è fatti per stare a soffrire / andarsene se è ora di finire / affidarsi alla vita senza più timore / amare con chi sei / o dare a chi ti da? / e non desiderare sempre e solo / quello che se ne va…
Prospettiva completamente diversa, melodia scanzonata, atmosfera allegra, eppure sotto sotto cova qualcosa. È scanzonata si, ma non perché superficiale, anzi prende in giro a mio avviso chi aspetta la perfezione, chi si prende troppo sul serio, invita ad affidarsi alla vita, apprezzare quel che si ha e non guardare sempre a quel che non c’è. Vinicio stesso introducendola dice: “È un pezzo per quando bisogna imparare a contare su di sé, provare a fidarsi del proprio buonumore. Trovare la forza di alzare gli occhi, guardare il cielo e scoprirlo color cestino azzurro dell’asilo, solcato da spumoni bianchi. Una canzone anticrisi, un pezzo non dico di autostima, che è un lusso, ma di auto solidarietà”.
Trovare la forza di alzare gli occhi. In queste parole c’è la constatazione che la realtà non è così leggera, nonostante la leggiadria del quadretto dipinto da Capossela, che evidentemente c’è una assenza (d’altro canto è nell’album Da solo), c’è una fatica, ma non è questa assenza, non è questa fatica che deve averla vinta. Fidarsi un po’ del proprio buonumore. Questo buonumore lo canta lo stesso cantautore che canta Corvo torvo, quello dell’Accolita dei rancorosi, quello di Stanco e perduto, quello che canta uno dei più bei capolavori mai scritti che è Le sirene.
Lo canta uno che sicuramente conosce i propri lati oscuri, spesso vi si è rifugiato e spesso vi si rifugia, perché non si può far finta che il proprio lato oscuro non ci sia, certo magari crogiolarvisi può essere vizioso e pericoloso, ma il male c’è. E chi almeno una volta nella vita ha raschiato il fondo del proprio barile può capire bene. La vera libertà è accettarlo e farci i conti. Alcuni versi de Il grande Leviatano sono molto chiari in merito “Io vidi spalancarsi la bocca dell’inferno / Con pene e con dolori d’orrenda privazione / Che solo chi ha provato sa cos’è in eterno / Cadevo nell’abisso della disperazione / Nella disperazione io mi rivolsi a Dio / Quando appena potevo sperar più la pietà / Ed Egli piegò il capo a udire il prego mio / E il grande Leviatano mi gettò in libertà”
L’uomo di Vinicio è buono? Vorrebbe esserlo? Oppure è sporco e cattivo? Ma cos’è poi buono e cosa non lo è? È meglio un buono apparente o un sincero peccatore, oppure, detta meglio, un uomo sincero e onesto con sé stesso, che fa i conti con il male e il bene che albergano in sé?
Non lo so, sicuramente nel suo ultimo capolavoro Marinai, Profeti e Balene si è confrontato con temi profondi come il mare che afferiscono alla sfera del destino (ma come abbiamo visto nei due esempi lo ha sempre fatto), sicuramente la sua è una vita intensa, intensa anche quando non è eccezionale, intensa perché intensamente, almeno nei testi, si confronta con la quotidianità, incasinata o normale, accettandone e riconoscendone i limiti, accettandone e riconoscendone l’eccezionalità.