Davide Van De Sfroos arriva all’ex ippodromo di Milano per presentare il nuovo album di inediti, “Goga e Magoga”, il sesto della sua discografia, contando anche l’esordio autoprodotto e ormai introvabile di “Manicomi”, quando ancora era solo il cantante e chitarrista di una band chiamata De Sfroos.
Atmosfera delle grandi occasioni, pubblico numeroso, variegato per look e per età, cosa ormai normale per uno che, partendo dal lago di Como, è riuscito a passare in pochi anni da misconosciuto artista locale con la fissa del dialetto “padano” a uno dei più importanti esponenti della nostra scena nazionale. Se si pensa che, a inizio carriera, c’era chi lo associava alla Lega Nord, ci sarebbe da rabbrividire. Ma oggi, dopo due sold out al Forum d’Assago e un’apparizione di ottima qualità al Festival di Sanremo, certi stereotipi si sono dissolti come fumo nell’aria.
Stasera si riparte da qui. Da un nuovo disco che, pur senza essere un capolavoro, risulta più fresco, scorrevole e interessante del precedente “Yanez” e un tour di cui la data milanese costituisce una sorta di “prima” per testare dal vivo la qualità dei nuovi brani.
Alle 21.15 precise, col cielo che minaccia tempesta, gli schermi ai lati del palco trasmettono il videoclip di “Goga e Magoga”, con le sue atmosfere stregonesche di ambientazione lacustre. La band fa il suo ingresso proprio in quel momento, prende posizione e attende pazientemente la fine del pezzo. Solo a quel punto arriva Davide a prendere possesso dello stage e si può veramente iniziare. Si parte con “Yanez”, il pezzo sanremese che ha reso meno esotici gli eroi di Salgari per evocare un divertente e commosso ricordo del padre di De Sfroos. Un brano che è ormai trattato alla stregua di un classico, a giudicare da come il pubblico si scatena e lo canta parola per parola. Suoni nitidi e piuttosto amalgamati, a dispetto del vento che ogni tanto si fa sentire, volumi non eccessivi e una band ormai decisamente rodata, tra i quali compaiono, tra gli altri, i fidi Maurizio Glielmo alle chitarre, Davide Brambilla, che si alterna tra fisarmonica e tastiera, Diego Scaffidi alla batteria e “Anga” Galiano Persico al violino.
Si continua con “Gira Gira”, un pezzo vario e divertente che nel ritornello gioca a citare Bob Marley e David Bowie. È il primo estratto dal nuovo album e la resa è decisamente alta.
Siamo all’inizio del tour, il disco è uscito da pochissimo, è un lavoro in cui Davide crede fortemente ed è normale che la voglia di suonarlo sia tanta: dopo “Ki”, “El Calderon De La Stria”, e “Cinema Ambra” si capisce che la scaletta dello show sarà pesantemente incentrata su questi brani. Poche, anzi pochissime concessioni al repertorio del passato: una splendida versione de “Il costruttore di motoscafi”, che è purtroppo l’unico estratto da “Pica!”, il disco probabilmente più maturo di De Sfroos, quello dove la sua arte di raccontare storie e presentare personaggi paradossali, curiosi e affascinanti, ha raggiunto il livello più alto. Poi arriva “La Machina Del Ziu Toni”, altro estratto da “Yanez”, che sembra anch’esso ormai assurto al ruolo di classico, pur senza averne del tutto la stoffa.
Il resto è tutta una lunga, intensa celebrazione di “Goga e Magoga”. E proprio qui sta, probabilmente, il fattore che ha reso questo show meno interessante di quel che ci saremmo aspettati: i brani del nuovo disco sono belli ma sono anche lenti e riflessivi, hanno dei testi quasi sempre poco immediati e hanno bisogno di numerosi ascolti per essere recepiti in pieno. Certo, alcuni funzionano già a dovere: è il caso delle già citate “Ki” o di “Cinema Ambra” (che gioca, seppur piacevolmente, con certi stereotipi dei primi dischi), ma colpiscono anche “Mad Max”, durante la quale l’atmosfera diventa psichedelica, compare un flauto traverso e la band si concede una delle pochissime improvvisazioni della serata. Non è male neppure quando, con “Il viaggiatore”, si vira leggermente verso il blues. O ancora, “Angel”, il brano con cui si apre il disco, forse un po’ scontato nella costruzione armonica, ma comunque dotato di un ritornello davvero interessante.
Il resto, dispiace dirlo, in sede live risulta un po’ pesante. Troppi brani lenti, troppe ballate dalla cifra acustica che difficilmente entrano al primo ascolto e che risultano poco adatte ad essere suonate in una cornice del genere, dove il pubblico ha soprattutto voglia di saltare e ballare. E difatti, pur concedendo fiducia a prescindere a lui e alla band e pur non risparmiando applausi tra un pezzo e l’altro, il pubblico appare piuttosto annoiato, qua e là il chiacchiericcio si fa sempre più insistente e l’atmosfera generale non può che risentirne.
A questo aggiungiamo che il gruppo, di solito lanciato a briglia sciolta con assoli, lunghissime improvvisazioni e diverse licenze poetiche negli arrangiamenti, questa sera sembra avere il freno a mano tirato e suona i brani in versioni talmente simili a quelle in studio, da risultare quasi pedante.
Nel frattempo inizia anche a piovere ma per fortuna smette presto: a giudicare dal colore del cielo, l’abbiamo davvero scampata bella. Davide, dal canto suo, ci scherza su: se alle prime gocce appare un po’ teso e invita a resistere dicendo che “in fondo sta piovendo solo acqua”, in seguito dirà divertito che “con le vostre ascelle avete mandato via le nuvole!”.
L’atmosfera cambia completamente con “Pulenta e Galena Fregia”, introdotta da un “Ed eccoci qui” che fa capire quanto l’artista comasco sia stato tutto il tempo cosciente della fatica dei presenti a seguire la proposta della serata. È un breve attimo, ma tutti finalmente hanno la possibilità di scatenarsi su ciò che conoscono e amano di più.
Nel finale arrivano “Goga e Magoga”, cadenzata e insieme esplosiva e la splendida ballata acustica “Il Dono del Vento”, probabilmente l’episodio migliore del nuovo disco, commosso invito ad accettare quel che viene e ad abbandonarsi alla natura delle cose (“I giunchi oscillano, che altro non possono fare. E qualcuno di loro ha maledetto il suo ballo, qualcuno ha perfino pregato di esser tagliato, ma in molti accettano il dono, il dono di farsi cullare, in molti accettano il dono di farsi cullare”).
È ormai il momento dei bis: la band esce e Davide si presenta da solo sul palco, con la chitarra acustica. Attacca “De Sfroos” ed è il tripudio, considerato che in molti l’hanno richiesta a gran voce per tutto il tempo. Nonostante l’esecuzione in solitaria, il ritmo non manca e la gente non si risparmia per niente. Poi rientra la band e non poteva che essere “La Curiera” a chiudere lo show, il brano con cui tutto è iniziato, più di vent’anni fa.
Si va a casa dopo due ore piene di spettacolo ma i fischi sporadici che sentiamo mentre ci avviamo verso l’uscita dicono di una scelta che, sebbene sia comprensibile e da rispettare, non è stata recepita dai più. Se consideriamo la vasta discografia di Van De Sfroos e il fatto che dischi meravigliosi come “Breva e Tivan” o “E Semm Partii” siano stati completamente ignorati, si può capire come la delusione dei presenti sia ampiamente giustificata.
Una sufficienza raggiunta in pieno grazie all’esperienza ma ci auguriamo davvero che, col prosieguo del tour, prevalga la voglia di offrire uno spettacolo più bilanciato in fase di setlist e dove la dimensione più autenticamente live la faccia da padrone…