Seppelliti sotto una montagna cd fisici e liquidi e oscurati dalle ombre dei soliti noti ogni anno rimangono montagne di album inascoltati messi da parte, scartati a prescindere. Difficile o impossibile orientarsi in questo mare, bisogna appoggiarsi a fidati consiglieri o alle fonti fidate e ancora tanto sfugge. Un periodo di calma apparente come la fine dell’anno, in cui si è più interessati a stilare classifiche che ad ascoltare qualcosa di nuovo, mi sono arrivati in mano (sì fisicamente!) i tre album di cui parlerò brevemente qui sotto. Sono usciti così, un paio con un “passamano” e il terzo da un consiglio di un amico fidato.
Tre piacevoli scoperte, tre lavori molto diversi tra loro che spero stuzzichino l’interesse di qualcuno. Non è necessario avere il supporto fisico, ho scoperto dopo, infatti che sono disponibili sulle piattaforme di streaming (Spotify,deezer, soundcloud…), quindi non ci sono scuse (tutti comunque distribuiti comodamente nei negozi italiani grazie a Ird distirbuzione).
Parsons Thibaud – Eden (2014). Si sono incrociate diverse volte negli anni le chitarre e le voci di Joseph Parsons e Todd Thibaud. Il primo è il frontman degli US Rails mentre il secondo è un eclettico cantautore di stanza a Boston. Insieme danno vita al loro terzo lavoro assemblando dieci (cinque a testa) preziosi brani, semplici e armoniosi, tanto da ricordare certe armonie andate, lontane ma sempre piacevoli da ascoltare.
La ricerca della salvezza di “Cost of Eden” e le speranze di “Dreams We Dare and Hollwyood” si intevallano con i brani da manuale come la delicata “Everything is changed” e la corale “When Nothing Left Is True”.
Un disco per le serate davanti al camino e la neve fuori, adatto per scaldare il cuore e l’anima.
The Parson Red Heads – Orb Weaver (2014). Attivi dal 2007 questa band originaria dell’Oregon poi spostatasi a Los Angeles, cavalca l’onda (ri)aperta e aggiornata dalla Chris Robinson Brotherhood del folk di marca psichedelica.
I brani ricordano tanto le tonalità fine anni 60 californiane senza dilatarne i contenuti all’infinito e cercando direttamente il cuore senza cercare di strafare. La mano di Scott McCaughey (R.E.M., Minus 5) dietro al mixer cesella i suoni rendendo gli assoli taglienti al punto giusto e non invasivi.
Le registrazioni sono state fatte in presa diretta senza fronzoli e si sente. Sarebbe bello vederli dal vivo, pare siano impressionanti.
Da ascoltare in una giornata spensierata e godersi (l’immaginario) sole della California.
Basko Believes – Idiot’s Hill (2014). Johan Örjansson cantautore svedese ispirato dalla nuova leva di autori americani, Ryan Adams in testa senza disdegnare Bon Iver o Damien Rice dà alle stampe un nuovo lavoro con il suo nuovo progetto: Basko Believes.
“Idiot’s Hill” vuole essere un salto verso nuovi orizzonti musicali prima solo accennati. L’aiuto degli amici Aaron McClellan dalla band di Israel Nash Gripka, Evan Jacobs e Jesse Chandler dei Midlake si sente così come la rottura rispetto ai lavori solisti. La scrittura rimane cristallina e piena di immagini suggestive che Johan ha colorato aiutandosi con archi e fiati, che ben si intersecano alla sua duttile voce. Si passa dai brani evocativi come “Wolves” alla trainante “The waiting” alla stupenda “Rain song”. Non mancano i momenti intimistici che completano il quadro di un album complesso e multistrato come pochi si sono sentiti in questi anni. Una bella scoperta!