“Se non avessi la mia voce, vorrei avere quella di Mina”. Così Sarah Vaughan, una delle più grandi interpreti di jazz (e non solo) di sempre, dichiarò la propria ammirazione per la cantante di Cremona. E del resto persino Louis Armstrong, che del jazz è stato fra i padri e spesso bazzicò l’Italia nel dopoguerra – gareggiò persino a Sanremo… – aveva detto “Mina è la cantante bianca più grande del mondo”.
A dire però la verità, nel 1976 Anna Maria Mazzini in arte Mina stava attraversando una fase delicata della propria carriera. Discografica di se stessa dopo aver fondato la PDU nel 1967, l’artista era perennemente nel mirino delle cronache, o forse sarebbe più corretto dire del gossip: la sua vita privata aveva fatto molto scandalo, nel ’73 il marito Virgilio Crocco (da cui peraltro si era appena separata dopo soli tre anni di matrimonio, e che non era stato il padre di suo figlio) era morto in un incidente, lei spesso appariva trasandata (lo stilista Versace lo disse chiaro, che a suo parere Mina non vestiva affatto bene) e grassa. E del resto, a parte un’intensa attività discografica che la vedeva realizzare due dischi l’anno dal 1972, Mina artisticamente faceva sempre meno, sotto i riflettori.
Aveva diradato le sue performance in televisione, cui si concedeva pochissimo da “Milleluci” del ’74 (e proprio nel 1976, alla Tv svizzera, avrebbe fatto l’ultima apparizione sul piccolo schermo) e teneva pochissimi concerti: anche se nessuno, nel ’76, avrebbe immaginato che la sua rentrée live del 1978 alla Bussoladomani sarebbe stata anche la sua ultima apparizione pubblica in assoluto. A Mina iniziava a rimanere solo un modo, insomma, di sottolineare la propria grandezza artistica: restando libera da convenzioni e condizionamenti come avrebbe voluto essere sin da inizio carriera, e facendo sì che di sé parlassero solo le opere, il canto e non le interviste, quella voce intonatissima che difficilmente non incideva “buona la prima”.
Il modo erano i dischi, ovviamente: dall’indipendenza discografica in poi sempre più belli, “I discorsi”, “Canzonissima 68”, “Bugiardo più che mai… più incosciente che mai”, “Mina canta ‘o Brasil”, “Quando tu mi spiavi in cima a un batticuore”, “Cinquemilaquarantatre”, “Baby Gate”. E nel 1976 la tigre di Cremona lasciò il segno dei suoi artigli in modo indelebile, nella storia della canzone italiana. Con un doppio disco uscito in ottobre e costato moltissimo (si stima sia stato il più costoso dell’intera sua produzione, vedremo presto il perché) che in pratica fu, dell’artista lombarda, apice, passo d’addio e premonizione.
Che “Singolare / Plurale”, di tale disco si tratta, sia l’apice della discografia minesca, apparirà palese sviscerandone i contenuti: spesso Mina aveva dato alle stampe grandi dischi e ancora lo farà sino a oggi compreso, però è difficile nel suo repertorio scovarne uno altrettanto completo e a tratti inarrivabile per bellezza, specie dell’uso della voce. L’album fu poi passo d’addio perché uscì, appunto, nel periodo dell’addio alle scene: fra residui programmi radio, un paio di ultime comparsate televisive, alla vigilia dell’ultimo concerto live, con sulle copertine due bellissime fotografie che rimangono fra le ultime non rubate a Mina.
Ancora un paio di dischi e al suo viso di classe sofisticata e insieme acqua e sapone si sarebbero sostituiti disegni, rielaborazioni, mascheramenti, provocazioni visuali. Da metà anni Settanta in poi sarebbero rimaste quelle, le uniche immagini che avremmo avuto di Anna Maria Mazzini, a parte quelle rubate alla sua vita luganese di casalinga, mamma e nonna che una volta all’anno concede la propria voce a un album (doppio, almeno sino a non molti anni orsono). E poi “Singolare / Plurale” fu premonizione, o se preferite summa, delle tre anime artistiche di Mina: la Mina interprete, la Mina giocherellona, la Mina sperimentatrice. Mai, in altri dischi, queste tre anime sono state espresse al meglio come in questo doppio Lp del 1976: dove l’interprete sceglie benissimo (spaziando in epoche e lingue differenti come sempre aveva fatto e sempre farà, unica in Italia) e interpreta meglio; la giocherellona non scade nel becero; la sperimentatrice osa laddove nessuno ha mai osato, sempre a partire dalla propria voce, firma spettacolare quanto ormai unica del suo essere artista.
“Singolare”, il primo dei due capitoli del disco del ’76, è soprattutto uno dei capisaldi della Mina interprete. Che non si cura dei nomi ma solo della qualità della scrittura: del resto così, nel tempo, lancerà molti nuovi autori; qui sceglie dieci grandi canzoni senza far mai calare d’intensità il lavoro. Le firme, peraltro, sono eccellenti quanto variegate: “L’ultima volta” è di Fausto Leali, “Triste” con il suo sbarco nei ritmi sudamericani è di Gianni Ferrio, “Io camminerò” (con l’orchestra che ben si mesce all’elettronica, in un arrangiamento che pare di stamattina) è uno dei primi successi dell’allora imberbe Umberto Tozzi, “Terre lontane” conferma la qualità compositiva non di rado sapiente, anche se mai purtroppo gli è stato riconosciuto, di Mino Reitano. Poi c’è il Brasile di Edu Lobo tradotto da Bruno Lauzi (“Devo dirti addio”), e una spettacolare “Ancora dolcemente”, con i suoi scarti improvvisi dentro una melodia che apre il cuore, firmata da alcuni fra i più noti autori di hit degli anni Settanta, Cantini, Lopez e Cassella.
E infine ecco i due brani di Don Backy, posti in apertura e chiusura del disco. Chissà quanti li ricordano, eppure… Eppure “Nuda” è l’autobiografia di Mina, che si sentiva sempre più indifesa davanti allo sguardo di telecamere, giornalisti, opinione pubblica. In “Nuda” Mina canta il proprio disagio, anticipa che sta per fuggire dagli sguardi indiscreti. E “Sognando”, attenzione, è una canzone sui malati di mente nei manicomi. Un brano coraggioso sicuramente ante litteram, cui Mina dona una forza drammatica immensa: Don Backy, lui, era stato costretto a incidersela quasi artigianalmente nel ’71, prima che Mina con la propria intelligenza e l’indipendenza editoriale che si era costruita la rendesse di dominio pubblico proponendola in “Singolare”. Ripetutamente scartata a Sanremo, “Sognando” parla di camicie di forza ed elettrochoc, dell’evidenza allora negata che anche i malati hanno diritto di amare nonché bisogno di essere amati, e lo fa prima dell’analisi della faccenda compiuta da Gaber e Luporini in “Far finta di essere sani” (spettacolo scritto due anni dopo questo brano), decisamente prima che fosse consentito parlare di queste cose al Festival per magari vincerlo come accaduto a Simone Cristicchi nel 2007. Senza contare che Mina canta “Sognando” quando era ancora lontana la libertà – figurarsi la consacrazione poetica – di Alda Merini. In “Singolare” Mina osa anche cantare un brano del genere, che reinciderà live nel suo ultimo live del ’78.
E poi c’è “Plurale”. Un disco interamente curato da Gianni Ferrio, storico ed elegante sodale sonoro di Mina, e interamente realizzato sovrapponendo più tracce vocali tutte cantate dalla tigre di Cremona. Avete letto bene: Mina possiede infatti tre ottave di estensione, come Roy Orbison e pochissimi altri, e queste tre ottave furono perfettamente sfruttate facendo cantare alla sola Mina tutte le parti vocali del disco, che a tratti è corale e polifonico, da tre a sedici voci in contemporanea, ma con voci che sono sempre e solo quella di Mina. Perciò, “Plurale” passò alla storia come il disco più costoso di Mina; ma soprattutto è stato anche uno dei primissimi album a sfruttare al meglio la tecnica della sovraincisione, e a dar risalto alla voce umana quale strumento prima delle ricerche di Demetrio Stratos e prima che personaggi internazionali come Al Jarreau o Bobby McFerrin sublimassero l’uso della voce nel cosiddetto vocalese, adoperandola quale strumento puro.
La tecnica della sovraincisione, o overdubbing, era nata negli anni Cinquanta e avrebbe anche causato cali della qualità dei dischi, quando usata per risparmiare sugli organici o coprire buchi di verità artistica usando la tecnologia; Mina qui però non la usa, ce la dona, semmai. Lei che l’aveva spiegata in televisione già nel 1961, lei che nella “Intro”, brano “finto” – non è una canzone – che testimonia i dialoghi in studio prima delle registrazioni, fa capire quanto sia complesso e rischioso cantare così. Certo, il risultato è sublime: dalla Mina che fa eleganti cori a se stessa in “My Love” del McCartney solista alla versione a cappella – tutte voci di Mina – del coro alpino “Il testamento del Capitano”; dai vocalizzi de “El porompompero” allo stile Trio Lescano per divertirsi ma con classe in “C’è un uomo in mezzo al mare” (il brano che Carosone aveva parodiato per “…E la barca tornò sola”). In “Plurale” Mina, mettendosi in gioco come mai ha fatto né farà, lei che comunque ha sempre poi proseguito a sperimentare anche se in altri modi, incide pure Glenn Miller e Duke Ellington, regala una maestosa versione jazz con continui cambi di ritmo di “Michelle”, gioca col Dixieland di “Pennsylvania 6-5000” concedendosi anche il vezzo di cambiare la pronuncia dello storico refrain nella prima parte della sua versione. Insomma, in “Plurale” Mina fa la Mina. Anzi, La Mina con la maiuscola anche all’articolo.
Sta per abbandonare le scene pubbliche, ma la sua arte non è allo stremo, proprio no. E scelte, coraggio, interpretazioni di “Singolare / Plurale” lo vanno a chiarire bene, togliendo anche ogni dubbio sull’unicità della vocalità di Mina se si pensa che nel tempo solo Mango ha osato qualcosa di simile, perché veramente pochissimi si possono permettere di incidere un coro di più di dieci proprie parti vocali, da quelle più profonde a quelle altissime.
“Plurale” si chiude col gioco di otto secondi di “Good Evening Friends”, saluto polifonico che è il brano più corto della storia della canzone italiana; e i due dischi del ’76 messi insieme totalizzarono dieci mesi di permanenza nelle hit (sei a quattro per il più “normale”, ovvero “Singolare”), arrivando entrambi sino al secondo posto; poi via via Mina avrebbe lasciato le scene. Ma con questo disco aveva fatto capire dove sarebbe andata, cioè a valorizzare sempre più e in almeno tre differenti modi la propria vocalità; e già che c’era lo faceva capire segnando la storia della canzone nostrana. Non sempre, ovviamente, ormai lo sappiamo, Mina ha realizzato dischi-capolavoro: però la voce, quella era e resta unica anche ora che Mina non ha più vent’anni. Nel 1976 lo gridava al mondo: e poi del resto, per citare Paolo Poli, il grande attore fiorentino, “Mina sta bene con tutto”, anche con le cose minori. “Quando una donna è bella e intelligente (e così tanto dotata, aggiungiamo noi)… Si può arredare in mille modi”.
Singolare / Plurale (PDU, 1976)
Singolare: Sognando / Devo dirti addio / Colpa mia / L’ultima volta / Terre lontane / Ancora dolcemente / Io camminerò / Triste / Cablo / Nuda
Plurale: Intro / Moonlight Serenade / C’è un uomo in mezzo al mare / My Love / Il testamento del Capitano / El porompompero / Michelle / Pennsylvania 6-5000 / Scettico Blues / Mood Indigo / Good Evening Friends