Tra le 27 opere verdiane (o 29 se si includono Jerusalem e Aroldo, meri adattamenti di lavori precedenti) Simon Boccanegra può essere definita tra quelle “di tarda popolarità”. Verdi la amava moltissimo, tanto che lavorò al testo e alla partitura per circa 25 anni, dal 1856 al 1881, producendone tre edizioni. Solo la terza, anche grazie all’apporto di Arrigo Boito alla drammaturgia, ebbe un fugace successo. Sparì, però, dai repertori alla fine dell’Ottocento e i tentativi di Gino Marinuzzi (nonché – si dice – di Benito Mussolini in persona) di rilanciare l’opera nel 1934 ebbero scarso esito. Solo alla fine degli Anni Sessanta venne appropriatamente riproposta grazie alla testardaggine di Gianandrea Gavazzeni che la “impose” in vari teatri e ne fece due edizioni in studio. Nel 1971, grande ripresa alla Scala: Claudio Abbado ne propose una lettura densa di colori chiari e di volumi leggeri (impareggiabili le evocazioni marine) che in un allestimento indimenticabile di Strehler e Frigerio ha viaggiato il mondo (non solo tutti i maggiori teatri italiani ma anche Londra, Parigi, Mosca, Washington e Vienna) ed è disponibile in cd e in video.
Ora è sulla cresta dell’onda. Simon Boccanegra ha aperto il primo ottobre il Festival Verdi a Parma e il 9 ottobre ha inaugurato la stagione del Teatro Regio di Torino. In primavera 2014 si vedrà a Roma, diretta da Muti, e andrà in Giappone con in complessi del Teatro dell’Opera. In ottobre 2014, chiuderà, con Barenboim sul podio, la stagione della Scala – e gli anni di Lissner alla guida del teatro milanese.
Su questa testata, le ragioni della “maledizione” di Simon Boccanegra sono state esaminate più volte, in particolare nel novembre 2012 in occasione del debutto, a 71 anni, di Riccardo Muti nella concertazione del lavoro al Teatro dell’Opera di Roma. Per chi vuole saperne di più, ho anche affrontato il tema in un breve saggio apparso sul fascicolo di giugno de La Nuova Antologia.
Nel commentare allestimenti recenti, occorre partire dal fatto che Boccanegra è un uomo (venticinquenne nel prologo, cinquantenne nei successivi tre atti) di mare: viene dal mare, dove ha eccelso nella sua professione di difensore delle coste tirreniche dai pirati arabi). E’ costretto ad entrare in politica, ma vuole tornare alle sue navi, almeno per morirvi. Senza questa chiave è difficile carpire il significato del testo e della partitura.
Al Teatro Regio di Parma, “Boccanegra” è stato presentato con un allestimento monumentale di Hugo De Ana, già visto una diecina di anni fa. Grandioso e imponente, gli manca però il mare – così essenziale al lavoro. Buono il cast vocale: Roberto Frontali, Carmela Remigio, Giacomo Prestia, Marco Caria e Diego Torre Sul podio della Filarmonica Arturo Toscanini e del Coro del Teatro Regio di Parma, l’emergente Jader Bignamini, bravo nelle tinte scure che richiede il lavoro ma con difficoltà a concertare le voci.
“Boccanegra” non è lavoro per giovani: lo ha riconosciuto una delle migliori bacchette italiane, Michele Mariotti (a 34 anni grande star internazionale), quando debuttò a 27 anni proprio con “Boccanegra” al Teatro Comunale di Bologna.
Molto differente il Simon Boccanegra di Verdi che ha inaugurato la stagione 2013-2014 del Regio di Torino il 9 ottobre. E’ in scena a Torino sino al 23 ottobre. Il Regio è un teatro ben gestito ed attento a non sforare i budget, presenta pochi nuovi allestimenti, molte co-produzioni e titoli per lo più tradizionali. E’ stata un’ottima idea quella di riproporre l’allestimento firmato da Sylvano Bussotti nel 1979; vistosi all’epoca, anche in altri teatri, pareva sparito dalla metà degli Anni Ottanta. Pone il Medio Evo genovese in grandiose e luminose scene su tulle e bellissimi costumi; uno stile analogo a quello utilizzato per mettere in scena il Medio Evo nelle tragedie di Gabriele D’Annunzio. Soprattutto, meglio di produzioni più recenti, afferra il carattere “marino” dell’opera . In tal senso appare l’unica vera sfida a quello del 1971 di Strehler e Frigerio alla Scala. La concertazione di Gianandrea Noseda riflette il carattere “marinaro” del lavoro: le onde del Tirreno sembrano far da contrappunto alla tragedia dei protagonisti; molto curati gli “a solo” di strumentisti o loro gruppi in momenti quasi cameristici. Il 9 ottobre, il punto debole sono state le voci: imponente il Boccanegra di Ambrogio Maestri (con poca cura, però, alle mezze voci), efficace il Fiesco di Michele Pertusi (che ha scansato i registri più gravi), probabilmente in serata poco fausta il Paolo di Alberto Mastromarino, Maria José Siri, e in difficoltà nell’avvio della cavatina “Come in quest’aura bruna”. Infine, nell’impervia aria “Cielo, pietoso”, Roberto De Biasio è stato aiutato da Noseda che ha abbassato la sonorità dell’orchestra. Grande successo, però, attribuito allo spettacolo dal pubblico delle prime. Mi auguro che nelle repliche vengano fatte correzioni di tiro.