Può un appuntamento musicale di 2 ore e 40 minuti di assalto sonoro ai nostri timpani iniziare con le soffici onde dei soundscapes di Markus Reuter? Può calarsi nella materialità di un brano per solo due batterie, come se niente fosse, ad inizio concerto? E può immettersi subito nello tsunami di una Thrak che devasta il materiale sonoro lasciandolo poi galleggiare a brandelli fino a stroncarlo nella furia finale del brano?
Non equivale ad un suicidio un incipit di concerto di questo genere?
No, se la musica è quella dei King Crimson e a farla accadere sono i corpi e le menti dei Crimson Projekct.
Ai fan la storia è nota: nel periodo di latenza dall’ultimo disco dei King Crimson risalente al 2003 i vari membri della famiglia cremisi non se ne sono mai stati con le mani in mano. Il cantante, autore, chitarrista Adrian Belew investe le sue energie con l‘Adrian Belew Power Trio assieme alla giovane Julie Slick al basso, e, alla batteria, prima suo fratello Eric e successivamente il tocco fantasioso e variegato di Tobias Ralph. Mentre dall’altra parte il bassista, stickista Tony Levin con il ‘nuovo batterista storico’ Pat Mastellotto assieme al membro della scuola della Crafty Guitarrist di Robert Fripp, Markus Reuter, alla touch guitar tracciano il loro percorso con gli Stickmen.
Ma gli anni passano e dopo 30 dal primo incontro tra Belew e Levin nei King Crimson, perché non unire ancora le forze, per riportare sul palco in giro per il mondo quella musica più unica che rara del quartetto degli anni ’80 e del doppio trio degli anni ’90? In fondo abbiamo tra le mani proprio un doppio trio. L’operazione è rischiosa perché la tentazione di una celebrazione nostalgica, ma morta, è sempre incombente, rischio che ha sempre tenuto lontano Robert Fripp il detentore dell’ultima parola sui King Crimson.
Lunedì 31 marzo all’Auditorio laVerdi a Milano i Crimson Projekct hanno vinto la scommessa: sul palco i due trio si sono uniti; si sono alternati; hanno creato dei duetti (oltre al succitato B’Boom iniziale tra la batteria sovraccarica di idee di Mastellotto e quella più leggera e snella di Ralph, abbiamo avuto anche la ballata Matte Kudasai supportata da solo stick e chitarra); si sono presi spazi di improvvisazioni e lanciati nei brani più strutturati; inserito brani della propria attualità e rivisitazioni moderne di vecchi brani, che vecchi non sembrano per niente. Anzi. L’aspetto più impressionante è proprio l’entusiasmo e la freschezza della resa di canzoni e strumentali di venti o trent’anni fa che suonano come se fossero composti ieri. Belew scherza col tecnico che gli porge il panno per lo scranno da cui governa l’incredibile apparato di effetti sonori, mettendoselo come mantella e accennando un’imitazione di James Brown, Levin introduce la cover Breathless di Robert Fripp presentandola come “un brano che non è dei King Crimson, ma di un loro grande fan”, Mastellotto e Ralph giocano a sorprendersi nel duetto/duello finale di ‘Indiscipline’, con trombette zappiane…
A proposito di Zappa, se ne sente l’eco nell’opera solista belewiana soprattutto nello strumentale ‘E’ (ma non aveva suonato solo un anno con lo zio Frank?), la sua opera spazia su più registri ora più melodici, ora più potenti con la tendenza ad indulgere alla gigioneria chitarristica del nostro, mentre la parte più Stickmen si riserva anche umori più contemplativi e ipnotici, maggiormente vicini al lirismo di certo jazz oltre che un più ricercato rigore nelle architetture dei brani movimentati. L’alternanza rende il concerto molto equilibrato senza dare mai la possibilità di stancare il pubblico. dopo l’incipit citato infatti partono brani di ’ben ritrovati’ con le ‘hit’ degli anni ’90 e ’80.
Nel continuare con il power trio Belew propone Madness forse il più crimsoniani dei suoi brani solisti e ancora un’agile lettura di Neurotica per ritornare in zona cremisi. Passa poi la palla agli Stickmen che rilassano il clima per poi lanciarsi nel primo brano dei ’70 (Larks’ Tongues In Aspic Part 2) a cui si aggiunge a metà anche Belew per l’assolo. Ripartono tutti da centrocampo per il trentennale di Three Of A Perfect Pair, per poi lasciare un momento al duo chitarra e stick di cui detto sopra; un altro paio di brani del Belew solista ed è tempo per l’improvvisazione degli Stickmen. Dopo l’omaggio a Fripp parte il rush finale con il doppio trio al completo per One Time, e vanno in rete con Red, il secondo brano dei ’70, e il brillante finale per ‘duello di batteria a ruota libera’ introduttivo di ‘Indiscipline’. L’entusiasmo del pubblico trascina sul palco i Projekct per i bis finali, i due classici ‘Elephant Talk’ e ‘Thela Hun Ginjeet’. Nostalgia zero, tutto scorre come il concerto di una band che suona come un bambino entusiasta dell’ultimo giocattolo ricevuto, la scommessa è vinta, ma come è possibile vivere così? Probabilmente la differenza dai cosiddetti ‘dinosauri’ del rock è il coinvolgimento sempre entusiasta nel presente, da cui traggono costanti frutti sonori, attraverso il quale possono rileggere le vecchie canzoni con gli occhi dell’attualità.
Così come diceva il compositore amato dai nostri: “E’ impossibile per un uomo comprendere appieno l’arte di un’epoca anteriore alla propria e penetrarne il significato, al di là delle apparenza cadute in disuso e di un linguaggio che non si parla più, senza avere un sentimento comprensivo e vivente dell’attualità e senza partecipare, in modo cosciente, alla vita che gli palpita intorno. In realtà, solo coloro che sono veramente vivi sanno scoprire la vita presso coloro che sono “morti”. Ecco perché ritengo che sarebbe più giusto, anche da un punto di vista pedagogico, cominciare l’educazione di un allievo dalla conoscenza dell’attualità, per poi risalire, solo in un secondo tempo, i gradini della storia” (Igor Stravinskij – Cronache della mia vita).
(Pierluca Mancuso)