A distanza di un anno e mezzo tornano al Blue Note di Milano gli Stickmen la formazione di Tony Levin allo stick, Pat Mastellotto alla batteria e Markus Reuter alla touch guitar. Il locale si riempie di affezionati fan e volti che incominciano a riconoscersi, in totale spregio al divismo i musicisti si aggirano per la sala a parlare affabili con il pubblico, ma alle 21 in punto salgono sul palco e colpisce subito l’intensità del sound che riempie la sala. Vista l’ampiezza del repertorio composto in questi pochi anni la scaletta si concentra sui brani dagli ultimissimi dischi ‘Deep’ e ‘Open’ e pochi ricordi crimsoniani ‘Vrooom Vrooom’ da Thrak, ‘Breathless’ da Exposure di Robert Fripp e in chiusura ‘Lark’s Tongues In Aspic Part 2’ dall’omonimo disco oltre ai ripescaggi dai precedenti Absalon e Soup con la suite de “L’uccello di fuoco” di Stravinski che chiude il concerto prima dei bis.
Rispetto l’anno precedente sembra che spesso la musica si costruisca su poliritmiche sostenute dai due strumenti tenuti insieme dal ritmo della batteria: una regia di controllo della tensione tra le parti di stick e touch guitar ora trattenute con un ritmo più regolare ora assecondate nelle forze centrifughe con variazioni ritmiche sempre più libere. Il drumming di Mastellotto sembra più concentrato sull’uso di batteria tradizionale piuttosto che sui campionamenti elettronici usati solo come elementi di colore, prendendo parte al farsi di quel suono che permea così tanto lo spazio tramite un costante uso dei piatti.
Tony Levin presenta i brani, declama versi in italiano, con le molteplici linee di stick guida le partiture dei brani giocando con ritmiche matematiche sui toni alti e sostenendo sui toni bassi l’impalcatura sonora con giri sempre solidi e movimentati, senza trascurare parti soliste in dialogo con Markus Reuter.
Il gruppo sa modulare bene ampie dinamiche come per esempio nel brano da Open: un’atmosfera molto rarefatta acquisisce impercettibilmente sempre più densità fino a prendere corpo e incominciare a sanguinare nel lirismo della touch guitar di Markus Reuter. Ecco; l’elemento forse preponderante nell’evoluzione della band è la confidenza che Reuter ha preso col progetto: ha trovato il suo spazio e ha incominciato a spaziare veramente. Ora fa da spalla al dialogo con lo stick, ora da strumento lirico, ora da tessitore di atmosfere in cui si muovono gli altri componenti, portando il progetto in ambito sempre più crimsoniano (ormai è da considerare parte dei ProjeKCt dei King Crimson). Una rivelazione. Tutto ciò ha inevitabilmente stemperato quel suono cubista intagliato nel legno degli stick, ma ha portato una tavolozza di colori che rendono molto più vivace la musica sprigionata dal trio.
Direi che forse questa è la differenza sostanziale nell’evoluzione del repertorio, complice la famigliarità cresciuta nel tempo tra i musicisti e la musica, sembra che i componenti non debbano più pensare all’esecuzione, ma siano liberi di giocare con essa rendendo tutto più brillante e vivace. Tutto ciò è evidente soprattutto sui ben conosciuti brani crimsoniani che non fanno rimpiangere le esecuzioni della formazione ‘ufficiale’: suonati in trio permettono un gioco agile sulle partiture soprattutto da parte di Tony Levin con abbellimenti, sottolineature e chiose che rendono l’avvenimento musicale sempre più fresco e libero. Un’ora e venti passata senza accorgersene.
Finito il concerto il trio si concede senza soluzione di continuità al pubblico firmando autografi e posando per le foto ricordo con lunghe chiacchierate in totale disponibilità.
Lungi dal riciclarsi un po’ annoiato tipico di musicisti di vecchia data, gli Stickmen con il tempo che passa rivelano una fioritura inaspettata.
(Pierluca Mancuso)