Si è spento, alla veneranda età di 104 anni, Kazou Ohno uno dei più importanti artisti del ‘900, vero caposcuola, personalità unica, poeta del movimento. Insieme con Tatsumi Hijikata, all’inizio degli anni Cinquanta, sull’onda emotiva seguita al disastro atomico, che genera una particolare inquietudine tra gli artisti giapponesi, inventa la danza Butoh di cui diventa l’interprete sicuramente più significativo.
Kazou Ohno nasce a Hakodate (Hokkaido, Giappone) nel 1906 da una famiglia tanto povera quanto originale, considerando i tempi. Il padre era un pescatore che amava parlare il russo mentre la madre aveva la passione per la musica, suonava la cetra giapponese a tredici corde e l’organo, ed era brava a cucinare piatti della cucina europea. Viene affidato a dei parenti che gli permettono di diventare insegnante di ginnastica. Nel 1929, per caso, scopre la danza: assiste a uno spettacolo di una famosa ballerina spagnola La Argentina, al secolo Antonia Merce, detta anche la “regina delle nacchere”, e ne resta folgorato.
Da quel momento la danza diventa la sua vita e fondamentali sono stati gli studi intrapresi con due pionieri della danza moderna giapponese, Baku Ishii e Takaya Eguchi, entrambi influenzati dalla danza espressionista tedesca, la Neue Tanz di Mary Wigman, che apre l’arte coreutica a nuovi orizzonti: non più virtuosismo fine a se stesso, ma gesto denso di significato attraverso il quale si esprime il mondo dell’inconscio, le sofferenze terrene e l’indissolubile legame tra corpo e madre Terra.
Kazou Ohno debutta sulle scene nel 1949 e poco dopo, grazie al decisivo incontro con Tatsumi Hijikata, dà vita alla “Danza delle tenebre”, il Butoh appunto, forma peculiare della danza moderna giapponese.
Pur condividendo molti dei principi tecnico-epressivi della tradizione del Butoh, Kazou Ohno elabora una propria originale espressività dal segno più lirico che, a tratti, rasenta il mistico determinato, forse, anche dalla sua conversione al Cristianesimo. Per lui la danza deve comunicare l’universale e rivelare “la forma dell’anima” all’insegna della purezza. Le sue creazioni hanno alla base due assunti che si possono dire filosofici: quello di “corpo morto” e quello di “libertà”.
Nella visione coreutica di Kazou Ohno il corpo del danzatore deve staccarsi dalle logiche dinamiche di un corpo “vivente” e deve invece imparare ad esprimere in piena libertà le emozioni: l’anima deve dominare il corpo come un burattinaio muove la marionetta. E a tal proposito il Maestro dice: ”Se vuoi danzare un fiore puoi mimarlo e sarà un fiore qualunque, banale e privo di interesse. Ma se metti la bellezza di quel fiore e l’emozione che esso evoca nel tuo corpo morto, allora il fiore che crei sarà vero e unico e il pubblico ne sarà commosso”.
La carriera di questo straordinario artista è stata lunghissima, ed è diventato una vera leggenda vivente. Ha continuato a ballare anche quando il suo corpo lo ha tradito e lo ha costretto su una sedia a rotelle, da quel momento la sua danza è nelle mani. A 90 anni compiuti fa la sua ultima performance a New York dove, nel dicembre del ’99, presenta il memorabile “Requiem for the 20th Century”. Nello stesso anno a Venezia riceve il Premio Michelangelo Antonioni per le Arti ed è lo stesso regista a premiarlo. Lascia definitivamente le scene in occasione del suo 95° compleanno.
Con l’Italia Kazou Ohno, che naturalmente è stato chiamato ed è stato acclamato veramente in tutto il mondo, ha un rapporto particolare. Non è un caso, infatti, che il Maestro abbia donato una copia dei materiali del suo archivio all’Università di Bologna, Dipartimento di Musica e Spettacolo. La convenzione per questa cessione, per il momento ancora unica al mondo, è stata costituita nell’ottobre del 2001 in occasione del suo 95° compleanno ed è stata firmata a Tokyo da suo figlio Yoshito Ohno.
L’archivio, che copre un arco temporale che va dagli anni Quaranta sino ad oggi, contiene documenti audiovisivi, volumi critici e fotografici, manifesti, fotografie, programmi di sala, rassegne stampa, lettere, scritti e disegni autografi di Ohno. Ed è italiano uno dei suoi allievi prediletti, Pierpaolo Koss, e in Italia ha luogo la sua ultima apparizione sulle scene occidentali come italiano, e realizzato da un regista italiano, Gianni Di Capua, è l’ultimo documentario fatto su di lui.
Pierpaolo Koss, performer di straordinario talento, artista visivo molto apprezzato e non solo nel nostro Paese (tra l’altro, dieci sue realizzazioni fotografiche entrano a far parte dell’Archivio Alinari), è stato il primo danzatore e coreografo di Butoh italiano, cofondatore della prima compagnia europea (1985) che si esprime attraverso questa particolare tecnica.
“Ricordare il mio primo incontro con Kazuo è uno strano viaggio nella memoria della mia ricerca artistica – ci racconta Pierpaolo Koss – lo ho incontrato in occasione del suo primo viaggio in Europa, nel 1980, era stato invitato al Festival di Nancy in Francia con il suo assolo "Admirand La Argentina ", la coreografia creata per lui dal grande Tatsumi Hiijikata che, nel 1977, lo riportò sulle scene a 71 anni, una rinascita artistica dopo un decennio, dal 1967 al 1977, in cui danzò raramente. Da anni conoscevo il nome di Kazuo Ohno, di lui mi parlava spesso Ko Murobushi, il primo danzatore di Butoh in Europa e mio primo maestro di Butoh, nei nostri primi incontri a Parigi.
Passeranno altri cinque anni prima che Kazuo arrivi in italia, al festival di Rovereto, Oriente Occidente, nel 1985. Allora inizia il nostro rapporto di amicizia e di maestro ed allievo. Sono seguiti anni di collaborazione intensa, gli incontri erano molto frequenti, soprattutto a Parigi. Kazou frequentava la Francia sempre più spesso, ospite di festival e teatri. Il teatro della Bastille di Parigi lo vedrà spesso interprete di memorabili performance. Sono anni di incredibile fermento nella danza contemporanea europea e molti coreografi e danzatori si avvicinano alla danza Butoh”.
Nel 1989 Pierpaolo Koss riesce ad organizzare in Italia il primo grande seminario sul Butoh, in occasione dei 30 anni dalla fondazione del movimento. Come sede viene scelta a Venezia. “Kasou Ohno – spiega Koss – adorava Venezia e quello è stato sicuramente uno degli ultimi seminari in Europa dove riusciva ancora a trasmettere con il proprio corpo, e i suoi racconti, il profondo senso della sua arte. Ogni occasione era ideale per danzare perfino nella casa di una mia cara amica veneziana dove lui dedicava la sua danza agli ospiti presenti”.
La danza comincia a considerare il corpo non tanto come mezzo espressivo, ma piuttosto come oggetto di ricerca in sé, il corpo deve imporre il suo linguaggio di verità attraverso l’abbandono di ogni limite. ”Si è spesso parlato della danza di Kazuo Ohno – dice Koss – come la danza dell’anima, e in realtà chi come me ha avuto la fortuna di vederlo danzare in quei primi anni Ottanta, nonostante i suoi settant’anni passati, l’emozione, l’angoscia, la pietà, la gioia, il dolore, tutto questo viveva davanti ai nostri occhi ed entrava nel nostro animo, una vera catarsi. La fragilità apparente di quel corpo in continuo disequilibrio, la sua pelle cadente, il suo volto maschera funerea e, poco dopo, giovane fanciulla. I suoi spettacoli erano vere e proprie esperienze spirituali. La sua è la danza dell’amore e della morte, l’essenza stessa del Butoh”.
Gianni Di Capua, docente presso Dipartimento Arte Musica e Spettacolo dell’Università di Udine, valente filmaker, per anni collaboratore di Raisat, con all’attivo numerosi e bellissimi documentari sulla musica, sulla danza e l’arte in genere, viene invitato a Tokyo dal manager di Kozou Ohno, Toshio Mizoata. Di Capua realizza un documento assai particolare e unico nel suo genere poiché indaga anche nella quotidianità di Ohno. Il filmato viene richiesto anche dalla tv giapponese.
Nel 1999, in collaborazione con la Biennale di Venezia, sempre Di Capua realizza uno special televisivo per la Rai sul Maestro giapponese documentando la sua ultima apparizione sulle scene occidentali.
Così Gianni Di Capua ricorda quella straordinaria esperienza: ”Quando Toshio mi chiamò in Giappone, nell’estate del 2001, per girare un documentario sul venerando maestro, oramai immobilizzato sulla sedia a rotelle, aveva 96 anni, ma la mente ancora era lucida. Quel volto antico e sofferente ti raccontava storie solo a guardarlo. Il gioco coreografico era delle braccia e nelle mani in una perfetta gestione dei tempi che si risolvevano nella sospensione del gesto senza soluzione di continuità. Passammo più di due ore nel teatro di Yokoama, con lui sulla sedia a rotelle al centro della scena portato da Yoshito Ohno, il figlio".
"Scelsi di girare senza accompagnamento musicale, nel più assoluto silenzio. I microfonisti avevano predisposto una ripresa del suono in grado di poter registrare il minimo respiro, il minimo spostamento d’aria che il gesto avrebbe provocato davanti ai micofoni e all’obiettivo della telecamera. Kazou Ohno fu quindi portato nella sala che accolse il suo ultimo spettacolo. Fu lasciato solo al centro del palcoscenico".
"La luce mutò improvvisamente lo spazio scenico inondando la figura del Maestro che, avvertitone il calore sul viso, ebbe un sussulto e da lì a poco diede inizio a una performance senza precedenti (e che il producer volle per intero mantenere nel Dvd che avrebbe poi pubblicato). Un lungo piano sequenza in cui lo spazio e il tempo coincidevano e si risolvevano nel respiro ancestrale del gesto Butho: fu allora che compresi il significato di quel termine… sospensione, attesa, respiro”.