Qualche mese fa, nel buio di un minuscolo camerino perso da qualche parte nella bassa padana, parlando di colleghi cantautori che annunciavano il ritiro dalle scene, Francesco De Gregori mi confidava, un po’ perplesso dalla notizia: “Ma come si fa a vivere senza musica?”. Difficile, quasi impossibile, per chi della musica non ha fatto un mestiere come tanti, e neanche una passione, un hobby. Della musica ne ha fatto invece un mezzo, anzi il mezzo, per scrutare la vita, il fascino del suo mistero: come si fa a vivere senza musica? Sarebbe come strapparsi un braccio. Le sapeva bene queste cose un grande amico di De Gregori, e cioè Lucio Dalla, morto nel modo più vero e più bello per chi ha vissuto sempre di musica. La mattina dopo un concerto preparandosi a un altro concerto che avrebbe dovuto tenere quella sera stessa.
Per la prima volta dalla scomparsa di Dalla, Francesco De Gregori, che con lui aveva condiviso canzoni e concerti per molti anni, parla della sua morte e di quanto gli manchi. Quando Lucio è morto, De Gregori aveva rifiutato di rilasciare ogni commento, troppo provato dal dolore di quella morte. Adesso, che qualche mese di distanza ha permesso se non di cancellare il dolore, almeno di metabolizzarlo, lo può fare: “Non c’è solo la mancanza, ma proprio un distacco improvviso, qualcosa con la quale ti sembra di non poter fare i conti. La verità è che tutto è scritto e dobbiamo convivere anche con il distacco e il rimpianto. Ma lui lascia dietro di sé qualcosa di vivo, di non definitivo e quindi di vitale e questa in qualche modo è una consolazione”. In questa intervista concessa in esclusiva a IlSussidiario.net, De Gregori parla anche in anteprima del nuovo disco a cui sta lavorando e dei concerti che terrà questa estate, tra cui alcuni insieme al grande musicologo ed esperto di musica folk Ambrogio Sparagna.
L’estate si avvicina e si torna sulla strada, ai concerti, al pubblico. E’ la tua prima serie di esibizioni dopo la scomparsa del tuo grande amico e compagno di avventure Lucio Dalla. Con che sentimento ti rimetti al lavoro?
Beh, sai, è stato terribile. Io e Lucio avevamo finito di lavorare insieme da pochi mesi quando lui è morto, quindi non c’è solo la mancanza, ma proprio un distacco improvviso, qualcosa con la quale ti sembra di non poter fare i conti. Quando giravamo insieme lui parlava spesso della vita – e della morte – ma senza fare chissà quali discorsi. Ne parlava in maniera semplice. E’ vera questa cosa, che Lucio diceva sempre, che la vita era solo il primo tempo. Ci credeva, era sicuramente un uomo sereno da questo punto di vista, magari su tante cose fingeva, ma non su questo: quando eravamo in tour qualche imbecille mise in rete la notizia che era morto Lucio Dalla e a lui non gliene fregò niente. Io gli dicevo “Lucio io mi arrabbierei moltissimo se lo facessero a me”, ma lui era così, la cosa non lo colpì più di tanto. Lascia un grande vuoto e un grande pieno, mi sento privilegiato ad aver condiviso con lui gli ultimi momenti della sua vita d’artista. Credo che insieme siamo riusciti a scrivere e cantare cose importanti, con una sincerità e un’intensità rara che ha sempre superato diversità di carattere, di stile, di cultura, di educazione.
Come si convive con la perdita di una persona cara?
Banalmente non posso alzare il telefono e dirgli “Ehi, come stai, hai sentito questo, hai sentito quello, quando passi da Roma?”. Non posso più progettare niente di comune, intendo dire nemmeno prendere un caffè insieme, no. Tanto meno scrivere ancora canzoni insieme o salire su un palco. La verità è che tutto è scritto e dobbiamo convivere anche con il distacco e il rimpianto. Ma lui lascia dietro di sé qualcosa di vivo, di non definitivo e quindi di vitale e questa in qualche modo è una consolazione. Sarà difficile che Lucio Dalla possa diventare un santino, la sua musica continuerà a piacere e a influenzare gli artisti più sensibili e innovativi.
So che stai lavorando a un disco nuovo e intanto torni a fare concerti: è difficile?
Credo che mi sia capitato altre volte lavorare contemporaneamente ai concerti e in sala, sicuramente ai tempi di “Rimmel”. Mi ricordo che lasciavo i musicisti in sala con dei compiti da fare e Renzo Zenobi fungeva da produttore mentre io andavo in giro a suonare solo con la mia chitarra. Anche quest’estate andrà così solo che la band è con me e quindi lavoreremo al disco nelle pause fra un concerto e l’altro. L’abbiamo chiamato per questo “Factory Tour”, perché è l’estate in cui stiamo fabbricando qualcosa tutti insieme e quindi ci sarà inevitabilmente un unico suono intorno al nostro lavoro.
Proporrete qualche pezzo inedito in anteprima? Sai che Bob Dylan una volta presentò un intero disco inedito in tour, poi non lo ha più fatto per paura dei dischi pirata. Ti preoccupa che qualche pezzo finisca sulla Rete prima che sul disco finito?
Non so se faremo già qualche pezzo nuovo, forse sì. Del fatto che possa andare in giro sulla Rete me ne frega poco, casomai la preoccupazione è che la gente si affezioni alla versione live e poi non gli piaccia più quella in studio – il contrario di quello che succede di solito! Però suonare i pezzi nuovi dal vivo ci può aiutare molto. Vedremo. In qualche occasione già l’ho fatto, e poi se l’ha fatto anche Dylan… Insomma ci può anche stare. Bisogna vedere però che succede quando dovremo suonare pezzi che magari in studio hanno un arrangiamento più complesso, con gli archi, le sovrapposizioni, sai, quel tipo di problema che ebbero anche i Beatles negli ultimi concerti. Solo che loro smisero di suonare dal vivo e io non vorrei fare quella fine. In molti per risolvere questo tipo di cose usano sequenze e campionatori ma io non li ho mai sopportati.
Quest’estate ti “sdoppierai”. Hai in programma anche una partecipazione straordinaria nel concerto di Ambrogio Sparagna, amico musicale di vecchia data.
L’idea di sdoppiarmi mi piace molto, la trovo caotica e molto promettente sul piano del divertimento. Sparagna sta portando in giro uno spettacolo gioioso che mette al centro alcune sonorità tipiche della musica popolare italiana… Organetti, zampogna, ciaramelle, un cantare molto basato sull’importanza dei testi, sul racconto. Allora un giorno lui mi invita a pranzo, più o meno un anno fa e mi dice che vorrebbe “importarmi” dentro questa cosa, arrangiando alcuni miei pezzi – non molto mainstream, per la verità – in questa veste strumentale. Allora io dico subito di sì e parte questa cosa dove io (ma a volte anche Maria Nazionale, a volte anche un coro di cento persone) interveniamo qua e là con le nostre voci. L’abbiamo già fatto a Roma l’anno scorso e a Barcellona all’inizio dell’anno e adesso faremo altre undici date in giro per l’Italia. Avremmo voluto farne anche di più, ma come ti ho detto io gioco anche sull’altro fronte, quello del “Factory”.
E quali sono queste canzoni “non troppo mainstream” che canterai come ospite del concerto di Ambrogio?
Cose tipo Ipercarmela o San Lorenzo, La ragazza e la miniera o Babbo in prigione e anche qualcuna molto recente come Vola Vola, che per inciso dà il titolo al tour. Sono pezzi che raramente faccio dal vivo e che si sposano bene con la musica di Sparagna. Poi canto anche un paio di cose di Ambrogio e qualche terzina della Divina Commedia, come già ho fatto anni fa alla Notte della Taranta di Melpignano.
E’ difficile sdoppiarsi artisticamente?
Più facile che nella vita.
Nel “Factory Tour”, invece, hai intenzione di ripescare qualche perla meno conosciuta tipo Informazioni di Vincent o Cardiologia?
Sì, certamente ci sarà qualche sorpresa di questo tipo… Magari Informazioni di Vincent non lo so, è un pezzo così vecchio… Non è che non mi piaccia più, ma ho sempre trovato che l’inciso melodicamente è un po’ troppo enfatico, quasi Sanremese per intenderci… Comunque sentirò la band, in certi casi – in molti casi, direi – decidono loro. Fare la scaletta è sempre una rogna, c’è sempre qualcuno che si lamenta perché non faccio Generale oppure perché la faccio. Comunque la gente si deve divertire, e anche noi che suoniamo. Questa è la regola.
Negli anni settanta dicesti che a quarant’anni non ti ci vedevi ancora su di un palcoscenico a esibirti…
Avrò detto questa cosa un sacco di volte, e altrettante il contrario. La verità è che non lo puoi sapere cosa ti andrà di fare domattina, figurati fra un anno o dieci anni. Suonare per gli altri mi ha sempre dato gioia, a questo punto posso solo dire che la mia vita fin qui è stata la vita di un uomo di musica, il mio mestiere è scrivere canzoni e cantarle, se non facessi questo non farei niente, e non ho molta voglia di non fare niente, capisci cosa voglio dire. Cosa dovrei fare, andare a pesca o giocare a golf o chiudermi in casa oppure viaggiare? E’ molto più semplice continuare a fare quello che faccio, finché mi riesce e mi piace.
Per questo novo disco in cantiere hai in mente qualche collaborazione? In passato ne hai fatte diverse.
Ho avuto dei produttori in passato, non troppi in verità, e devo dire col senno di poi che mi pare che nessuno abbia lasciato il segno. Forse un paio, Edoardo De Angelis e Vincenzo Mancuso, loro hanno fatto un buon lavoro, ma gli altri… Un produttore di solito vuole mettere il suo suono al posto del tuo, è convinto che il suo suono sia migliore del tuo, che tu sia un ragazzo alle prime armi. Corrado Rustici mi voleva spiegare addirittura come dovevo cantare. E poi comunque mi sembra che questo nuovo disco mi appartenga in maniera troppo viscerale per farci entrare un altro, ovessi descriverlo in due parole direi che è l’istantanea di quello che sono oggi, del mio modo di stare al mondo. Non credo che ci sia molto spazio per interventi esterni di qualsiasi tipo. E’ vero che sto lavorando con Sparagna, nei concerti, ma credo che neanche lui interverrà in questo nuovo lavoro anche se in passato abbiamo lavorato insieme in studio in qualche occasione.
Come è oggi il rapporto con i tuoi fan? Vedi ancora dei talebani in mezzo a loro? Ci sono un sacco di ragazzi che non erano neanche nati quando hai scritto tante tue canzoni oggi ai tuoi concerti.
Ho sempre pensato che tutti quelli che mi vengono a sentire o ascoltano un mio disco – e in qualche caso addirittura lo comprano – merito rispetto se non addirittura amore. Magari con alcuni di loro potrei anche andare a mangiare una pizza e sono sicuro che mi piacerebbe… Poi ce ne sono altri un po’ maniacali, ma non credo che siano tanti, i famosi talebani. Da quelli uno si deve un po’ guardare perché ti vogliono esattamente come ti immaginano e spesso immaginano cose sbagliate, comunque va bene così, fa parte del gioco. A parti rovesciate credo che anche a me è capitato e capita anche adesso di fare così con gli artisti che ammiro. Dopo un po’ di anni che hai scritto una canzone inevitabilmente non è più solo tua e anche chi l’ha scritta diventa un po’ di tutti. Non è che non ci dormo la notte. Poi il fatto che molti siano giovanissimi mi fa piacere, ma mi stupisce anche un po’ perché non è che le mia canzoni siano mai andate molto per radio… Probabilmente è proprio merito della Rete se hanno potuto ascoltarle, meglio così.
(Paolo Vites)