Ci è voluto un assalto di quelli senza precedenti perché canzoni e pensieri di Enrico Ruggeri si rigenerassero con la forza intima e irripetibile di storie che si raccontano da sé. Rivolgimenti esistenziali che nessuno si augurerebbe senza tradire una punta di autolesionismo ma che – una volta accolti – possono svelare la segreta mappa di un tesoro che si pensava inesistente o perduto.
Problemi di salute, rischi concreti di degenerazione per fortuna scongiurati, angosce annesse, tutto ciò si è tradotto in un’inesauribile fonte di spunti per un reload esistenziale e artistico del tutto inaspettato.
Quel mistero da sempre connaturato all’autore tanto da essere messo a tema e titolo di una delle sue più celebri canzoni, sempre rincorso tra feconda curiosità e ansia di presenzialismo, si è rifatto sotto con nuove e oscure vesti bussando alla porta a chiedere il conto. E proprio in quel vortice – secondo le modalità indecifrabili di un fatto senza precedenti – ha smesso di essere inseguito per essere piuttosto assecondato con un senso tutto nuovo del tremore e del desiderio.
I moventi artistici che ieri riposavano sui malesseri giovanili di “Tutto Scorre”, sulle rivelazioni affettive di “Enrico VIII” piuttosto che sugli slanci entusiastici di “Peter Pan” e le incisive sintesi di percorso de “Gli Occhi del Musicista” fino a un episodio in sé splendido come Leggo le carte – rivivono grazie a quell’assalto con l’impatto tremendo di giornate dove prolungate intemperie concedono infine tregua svelando come nuova la bellezza di fatti, cose e volti.
“Pezzi di Vita” pubblicato nello scorso aprile e seguito da un primo breve tour in alcuni grandi centri della penisola, è questa storia fatta di momenti, scoperte e secondi incontri dove persone e cose sono fatte nuove in tempo reale, in cui scrittura dell’autore e ascolto viaggiano di pari passo come in una sorta di dialogo serrato e senza schermi protettivi.
Sono io quello per strada in apertura del disco sinterizza e riassume questa nuova vita che si riscopre viva e forte di un nuovo respiro dopo quella che aveva tutta l’aria di essere una resa dei conti. Il tono è confessorio e senza fronzoli, il tappeto musicale azzarda soluzioni ritmiche che sembrano retaggio di epoche sorpassate (il programming tipico a cavallo delle decadi ’90-anni zero). L’incedere è tutto giocato in sospensione come un autentico prologo legato a doppio filo alla conclusiva Perdersi nel tempo, soluzione finale sulla scia della memorabile L’ultimo pensiero.
Fatti rispettare riporta Ruggeri sui territori del rock vitaminico anni’90 con una convinzione che sembrava smarrita da tempo. Tastiere viscerali, chitarre fragorose e ritmica arrembante con il referente ovvio di cavalcate come Volti perduti ma comune quanto a spirito e genuinità alle felici intuizioni di allora. E la stessa dignitosa e schietta espressività si riflette nei robusti mid-tempo de Il treno del nord e de La statua senza nome, nel divertente hard rock sfottò di Hai ragione! o ancora nell’impareggiabile ironia fiabesca de Il Re lucertola.
Un bel lavoro che – come nel Ruggeri d’annata – si avvale di tre episodi di in grado di lasciare una traccia importante, in primis Un pezzo di vita, battere e levare impaziente ed enigmatico nel suo apparente declinare l’abbandono di antiche certezze per un futuro tutto da decifrare. Ma soprattutto di due brani differenti ma molto simili nel loro affacciarsi su una sorta di soluzione estrema, quasi una stretta finale con il tempo e la storia. Centri commerciali è la ballad di resistenza umana e passione che spesso fa capolino sotto diverse forme e intenti nella produzione ruggeriana, non a caso l’unica scritta a quattro mani con uno Schiavone – qui e altrove – mai così vigile, essenziale e funzionale al tutto.
Un piano climatico si avvolge su suoni stralunati di synth e brucianti accordi di chitarra servendo un perfetto assist a una voce intima, ispirata e in vena di confessioni ultime. Ruggeri scandisce frasi e parole che sintetizzano in maniera esemplare uno spaccato di vite e parvenze esistenziali del frenetico mondo d’oggi quasi inerti in attesa di un ipotetico eroismo del domani.
La già nota Tre signori – su un delizioso incedere tra cantastorie e umori jazzy – mette in scena il nuovo sé stesso svelato nel disco, spettatore stupito e commosso di un paradiso che riunisce lo spettacolo umano e artistico di Gaber, Jannacci e Faletti, tanto da volerne condividere il destino.
A supportare Il cantautore milanesi oggi come ieri Luigi Schiavone autentico alter ego di avventure, alchimie musicali e suoni insieme al resto della band, musicisti vecchi e nuovi come Fabrizio Palermo al basso, Marco Orsi alla batteria e Francesco Luppi alle tastiere. L’album include un bonus CD che assomma una lunga selezione di classici risuonati con la strumentazione aggiornata negli anni nel corso dei tanti tour al netto di poche e ragionate variazioni di arrangiamento che preservano la forza degli originali.
A coronamento di questo bel ritorno Ruggeri si è ripresentato al Teatro Nazionale di Milano il 27 aprile scorso con un recital teso e vibrante come nei giorni migliori, esibendo una voce limpida e precisa, una band solida e versatile e un repertorio che oltre ai migliori estratti dal nuovo album ha riportato alla luce l’antica irruenza di una splendida Confusi in un playback e l’intatto lirismo de Il mare d’inverno. Capolavori vecchi e nuovi per una grande e ritrovata intesa con se stesso, il pubblico e un mistero della musica ancora tutto da vivere e decifrare.