Tiriamoci su il bavero della giacchetta, che le giornate si accorciano, le ombre calano in fretta e il vento del nord comincia ad agitare le foglie e a gettarle per strada. L’autunno è alle porte e abbiamo bisogno di forza, fede e coraggio, visto che l’oscurità che cala non è solo un fenomeno meteorologico. Ci vuole qualcosa di forte, di puro e di onesto, come un vecchio bourbon del sud degli States. Come un abbraccio di un amico, come la carezza di una amante.
Ci vuole un disco come “Fireworks for Lonely Hearts”, che noi siamo tutti cuori solitari alla fine della giornata. Ci vogliono quella manciata di canzoni, nove come i vecchi vinili, nessun pezzo inutile in più schiaffato dentro perché i cd di spazio ne hanno tanto. Ci vuole del rock’n’roll duro e romantico come quello che si sente dall’inizio alla fine in questo disco: il cavo della chitarra attaccato a vecchi amplificatori Marshall che quasi senti il crac dell’accensione, il riff incalzante che picchia preciso, la sezione ritmica che entra poderosa come una vecchia locomotiva dell’Amtrak, direzione nord, verso i Grandi Laghi e le buie foreste. Ci vuole una tastiera Hammond a sostenere il ritmo e poi c’è solo bisogno della voce di Luca Milani, rotonda e solida come una quercia rossa, bella ed emozionante. E le sue canzoni naturalmente.
“Fireworks for Lonely Hearts”, a firma Luca Milani & The Glorious Homeless è già disco italiano dell’anno, anche se cantato in inglese, ma una volta tanto bene. Viene da chiedersi chi sia davvero Luca Milani, anche se la sua eccellente storia discografica la conosciamo bene (un esordio promettente con i File, band di post grunge, poi un paio di dischi acustici di american country gothic quindi il ritorno al rock con il precedente “Lost for rock’n’roll”).
Perché se gli chiedi se si è ispirato al disco più rock dei Wallflowers di Jakob Dylan, “Rebel Sweetheart”, lui ti dice di non averlo mai ascoltato. Allora “Smoking in the Fields” dei Del Fuegos? Manco quello. Ma lo sai che la tua voce assomiglia a quella di John Gorka? Vado ad ascoltarmelo non l’ho mai sentito. Mi stai prendendo in giro? Ma no, ridacchia, lì dentro ci sono solo i Clash, Springsteen e Hank Williams, dice facendosi scudo. Hai detto niente.
Nove pezzi che si susseguono senza respiro e che respiro non ne lasciano, impossibile interromperli come si fa quasi sempre con i dischi di oggigiorno, saltando alla traccia successiva. Dalla doppietta iniziale da knock out The Road-Jukebox fino all’esplosione di rabbia di Heroes Have Gone bisogna ascoltarlo tutto di seguito e dopo riascoltarlo ancora.
Sono autentici fuochi d’artificio sparati da un jukebox abbandonato, quello che si vede in copertina, a ricordarci che siamo vivi e che essere felici non è un peccato, anche se la malinconia non ci lascia. Luca Milani ha l’impareggiabile dote di scrivere rock’n’roll ma con una vena melodica quasi pop che ti entra sotto pelle, accattivante: Ecco perché il paragone con quel disco dei Wallflowers.
Nelle corde vocali ha quell’high lonesome sound di chi vede oltre alla notte e nella notte ci abita; il disco scorre come una sola potente bevuta di moonshine whiskey, quello dei contrabbandieri, come un treno del mistero della notte che brama un’alba impossibile. Un disco da mettere nel motore, al posto della benzina, per viaggiare ai confini del dolore e oltre la nostalgia.
Giacomo Comincini alla batteria, Enrico Fossati al basso e Federico Olivares alla chitarra sono i suoi “gloriosi senzatetto” con l’aiuto in alcuni brani delle tastiere di Riccardo Maccabruni. Niente è fuori posto, tutto è compatto e solido, ogni assolo di chitarra è dosato per sottolineare il pathos e non per prendersi le luci dei riflettori come fanno i chitarristi italiani di oggi. Qua è davvero “uno per tutti, tutti per uno”.
La giusta pausa arriva solo alla fine, con la bella Every Godnight is a Goodbye: solo voce, chitarra acustica e pianoforte. Se è scesa la notte, noi vogliamo tornare a far casino. Basta schiacciare replay e ripartire dall’inizio.