Marcello Panni è uno dei maggiori musicisti italiani viventi. Poliedrico: compositore, direttore d’orchestra, organizzatori di eventi musicali. Ha lavorato soprattutto all’estero e alcune delle sue opere per il teatro sono in inglese o in francese. Ha portato la musica contemporanea italiana in tutto il mondo all’inizio degli Anni Settanta con l’Ensemble Teatromusica e musica straniera di pregio. E’ stato direttore artistico di teatri importanti all’estero (ad esempio, Bonn, Nizza) ed in Italia (San Carlo), ma tranne l’Accademia Filarmonica Romana, le principali istituzioni musicali della capitale, dove è nato e cresciuto, lo hanno quasi ignorato. Non è salito per oltre vent’anni sul podio dell’Accademia di Santa Cecilia e da oltre dieci su quello del Teatro dell’Opera di Roma. Quanto il suo ritorno fosse gradito è dimostrato dal fatto che nonostante la sera del 31 gennaio , Roma fosse sotto un vero e proprio alluvione, non mancasse pubblico al concerto da lui diretto nella Sala Sinopoli del Parco della Musica (1200 posti) con un programma improntato alla musica del ‘Novecento storico’ o contemporanea.
Ha iniziato con quel gioiello de L’’Histoire du Soldat di Igor Stravinskij, da considerarsi anche come un omaggio al ricordo della ‘Grande Guerra’ che, in Italia viene associata al 1915-18, ma è in effetti iniziata nel luglio 1914 (questa estate il Festival di Salisburgo avrà una sezione specifica). Il compositore, sempre profondamente anti-comunista, aveva lasciato la Russia alle prime avvisaglie della rivoluzione sovietica. Con l’inizio della prima guerra mondiale su suolo francese, emigrò povero in canna in Svizzera dove composti lavoro proprio allo scopo di girare per città e villaggi a costi bassissimi: comporta un attore – voce recitanti (nelle versioni più elaborate – ne ricordo una alla Piccola Scala nel 1980 ed uno all’Orchestra Sinfonica di Roma nel 2011- vengono utilizzate marionette) ed un ensemble di sette strumentisti (violino, tromba, clarinetto, fagotto, trombone, percussioni, contrabbasso). E’ una micro-opera. Verso schemi simili andò Britten dopo la seconda guerra mondiale a ragione delle sempre maggiori difficoltà di allestimento di opere tradizioni che il compositore preconizzava a causa delle crescenti restrizioni economiche e dell’aumento di offerta in altri settori (cinema, televisione, viaggi). L’ Histoire è, quindi, lavoro che apre un solco nel “Novecento storico”: l’abbandono delle opere post-romantiche e veriste con enormi organici ed il ritorno all’opera da salotto della Camerata Bardi. Il musicologo Giovanni Gavazzeni ricorda un altro aspetto importante de L’ Histoire: è il lavoro con cui Stravinskij effettua una sbalorditiva virata al periodo russo alla poetica neoclassica sino ad approdare in vecchiaia alla dodecafonia in un’operina per la televisione finanziata da una casa di dentifrici.
La trama è di un’innocenza al limite dell’ingenuo ma i versi di Charlez Ramuz messi in musica da Stravinskij ne fanno un’ironica ma profonda considerazione sulla condizione umana. Oppure una parabola: il diavolo, subdolo ed ingannatore che promette ricchezza e felicità al povero soldatino, viene da quest’ultimo sconfitto. E’ anti-comunista perché il diavolo è – lo ha detto lo stesso compositore – il Soviet che tutto promette e nulla dà. Attenzione pochi sanno che Stravinskij, morto nella propria villa vicina a New York, chiese di essere sepolto in Italia per (lo è nel cimitero di Venezia) e che, nonostante la sua avversione al comunismo, era assolutamente apolitico, come rivela un’intervista data in Francia, durante il Fronte Popolare, in cui dice di “aborrire” la sinistra, “detestare” la destra e che il centro gli “fa semplicemente schifo”.
Panni non ha presentato un’edizione scenica ma la suite da concerto articolata in sette brevi momenti orchestrali per un totale di una mezz’ora circa di musica. Il direttore ed i solisti hanno, però, dato agli ascoltatori l’intero significato artistico e musicale del lavoro dalla marcetta iniziale del buon ed ingenuo soldatino alla maestosa (ma ironica marcia trionfale del Diavolo, passando da aspetti melodici-armonici ed anche un breve episodio cromatico.
Nel resto del concerto due composizioni di Panni (la prima commissionata dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ed in prima esecuzione assoluta) e la seconda un lavoro recente in prima esecuzione nella capitale. Le Vesti della Notte è una cantata di 12 minuti per mezzosoprano e 12 esecutori. Mette in musica tre ‘quartine’ di Omar Khayyàn con una forte tensione ritmica e tali da richiedere vere e proprie acrobazie vocali al mezzosoprano (Cristina Zavalloni). La seconda un trittico La Terra del Rimorso che utilizza lo stesso organico strumentale de L’ Histoire e cita musiche molto note con affettuosa ironia in un contesto rurale salentino .
Conclusione allegra con le Folk Songs per mezzosoprano e sette esecutori. Bis e grande successo. Mentre fuori pioveva, pioveva