Quest’anno il festival di Sanremo vedrà un duello tra i cantanti in gara ovvero quello tra i Dear Jack e Alessio Bernabei, ex-cantante del gruppo che a settembre si è separato dal complesso per intraprendere la carriera solista. Tra loro nessuna scintilla, ma di sicuro i fan e gli appassionati giocheranno su una sfida tra le due canzoni in gara.
Bernabei presenta “Noi siamo infinito”, titolo tratto dall’omonimo romanzo di Stephen Chbosky che poi ne ha diretto un film per una canzone scritta da Casalino, Faini e Amatucci che racconta il rapporto sentimentale e passionale tra due persone. Ovviamente, il romanzo di Chbosky è un semplice spunto poetico per il ritornello e dell’inno generazionale non c’è traccia. Che però la canzone possa o voglia essere un inno, perlomeno in senso laico e prosaico, per far cantare le adolescenti ai concerti lo rivela proprio il ritornello semplice e immaginiamo a squarciagola (“Noi siamo infinito, noi siamo infinito, noi siamo infinito”), come da tradizione della musica leggera contemporanea, soprattutto quella di derivazione tv (Bernabei nasce ad Amici).
Il resto del brano però denota scelte poetiche più delicate e sfumate rispetto a quelle tipiche di un autore come Kekko dei Modà: tanto la sensualità dei corpi degli amanti quanto le metafore rivelano una sorta di levità più matura e interessante. La prima strofa chiarisce subito il campo da gioco della canzone (“Il tuo corpo è la somma/Di tutti i desideri/La tua testa il racconto di ciò che sei/E di quel che eri”) ovvero l’unione di elementi differenti per creare l’amore e la seduzione, sentimenti pulsanti ma trattati con cura e che, se sapranno affrontare le avversità, potranno uscire indenni dalla vita (“E non è mica la fine/Semmai dovessimo sbagliare e perché/Le circostanze fanno la differenza/Capovolgo la distanza che si azzera”).
La seconda strofa è quella più comunemente poetica, in cui è la natura a fare da specchio alla passione (“La mia pelle è corteccia/Che si può anche scalfire/La tua giacca s’impiglia ad un ramo/E mi potrò scaldare”), e ricorre a contrapposizioni basilare per sottolineare le contraddizioni dell’amore (“Io ti devo tante cose/La differenza tra luce e ombre/Tra il coraggio e l’istinto/E la paura di non fallire”).
Ne viene fuori un brano liricamente più elegante di ciò che ci si aspetterebbe da Bernabei e soprattutto dal suo background adolescenziale, che si immagina cantato da un quasi quarantenne e che dovrebbe mostrare – da qui l’estrema difficoltà della canzone – di essere adatto a un giovane interprete che ha preferito maturare da solo anziché adagiarsi sugli allori di un gruppo amato dalle ragazzine. Staremo a sentire, più che mai la musica sarà il vero discrimine per la riuscita dell’operazione.