Da questa serata non sappiamo cosa aspettarci. Qualcosa di diverso, molto diverso rispetto a cinque anni fa? Era a Villa Arconati, quando dopo una spumeggiante Camille, Cat Power non ne uscì molto bene. Fu uno spettacolo che stancamente si trascinò brano per brano: sembrava aver voglia solo di finire. L’anno prima nel 2007, andò molto meglio. Era il momento di “The greatest” , l’album della consacrazione e della riconciliazione con qualche demone che fino ad allora aveva portato solo a grandi bevute e apparizioni al limite dell’accettabile. Poi ci furono le (quasi tutte) cover di “Jukebox”, non era tutto a fuoco e solo una ottima backing band riuscì sopperire a qualsiasi difetto. Quella era la “Dirty Delta Blues Band”, formata da membri della Jon Spencer Blues Explosion , Delta 72 e Dirty Three, ma erano altri tempi.
Ora Chan Marshall ha tagliato i bei lunghi capelli castani preferendo il capello corto e ossigenato, sembrano scomparse le delicate lentiggini che hanno lasciato posto ad un viso ceruleo e gonfio, come la silhouette, più curvilinea di qualche anno fa. Saranno state probabilmente le medicine che, a cavallo d’anno ha dovuto prendere per curare una forte forma di angioede che l’hanno portata ad annullare il tour europeo oppure (a sostegno dei soliti bene informati ) per il vizio mal celato dell’alcol ma in ogni caso non è più lei, almeno il contenitore non lo è più.
Il resto non è variato molto: movenze irrequiete, il continuo voler interpretare fino in fondo ogni singolo brano, il continuo dialogo (ok monologo) con i fonici per la voce che non arriva o la chitarra che non si sente, quella è lei. Chan Marshall non è mai contenta come le persone che vogliono sempre il meglio. Nella sua vita il meglio credeva di averlo stando con l’attore Giovanni Ribisi, rivelatosi solo ultima delle grandi illusioni/delusioni e si sa che dalle delusioni amorose gli artisti si mettono (o rimettono) a fare l’unica cosa che sanno realizzare: musica. Alle volte ne escono dei veri capolavori altre volte lavori minori, l’importante è trovare sempre uno scopo per ricominciare e rimettersi in gioco.
Con “Sun”, ormai a dieci mesi dalla sua uscita, Chan Marshall è ripartita. Un pugno di fedeli amici, uno studio homemade, qualche sampler e ovviamente la sua eccezionale voce e il gioco è fatto. Un disco onesto, non un capolavoro come “You are free” o “The greatest” ma zeppo di quella ritrovata fiducia e voglia di rilanciarsi che altrimenti si sarebbe, con ogni probabilità, materializzata in fondi di bottiglie vuote.
In apertura di serata, ancora all’imbrunire, il buon Scott Matthew che a differenza della sua ultima prova da studio di sole cover, dal vivo rivela una buona dose di magnetismo (il pubblico in totale silenzio/ammirazione) e le sentite versioni di ‘Harvest moon’ di Neil Young e ‘Smile’ (portata al successo da Nat King Cole) presentata come la “best song ever” , rendono piacevole l’attesa, che poi si è rivelata lunghissima, del main act.
Finalmente alle 22.45 sale sul palco la band capitanata dal fedele tastierista Gregg Foreman unico superstite della succitata “Dirty Delta Blues Band”, in compagnia di un polistrumentista (chitarra, percussioni e basso) e un paio di ragazze: una timida chitarrista e una energica batterista.
La cantante si presenta in giacca di pelle salutando in un ottimo italiano, iniziando con “The greatest”, completamente stravolto, che fa intravedere qualche cedimento nella voce e così accade anche per la trascinante “Cherokee”. Vista la composizione della band tutte le canzoni sono riarrangiate , spesso la band, soprattuto la batterista, perde qualche colpo, ma la presenza scenica e la potenza dei brani riesce a mitigare qualche difetto sonoro.
La martellante “Silent Machine”, la sognante “Manhattan” e la sorprendente “Human Being” anch’essa totalmente rivista in una nuova veste molto più essenziale e senza troppi orpelli evidenzia come se non fosse stato così urgente fare uscire ‘Sun’ il livello dell’album sarebbe potuto essere un altro. Altra prova vocale di rilievo è l’ottima “Bully”, brano inedito proposto in questo tour e dal sapore decisamente diverso dagli altri pezzi di ‘Sun’. La sciamanica “Angelitos Negros” (cover del traditional di Pedro Infante) chiude la prima metà dello show che riparte decisamente con un’altra marcia con la veloce “Always On My Own” e la sincopata “3.6.9” che priva dei campionamenti rivive di nuova energia. “I Don’t Blame You” e “Metal Heart” ci riportano a vent’anni fa e soprattutto la seconda, stravolta, assume una veste totalmente diversa: meno disperata e aspra e benchè resti il suo brano più rappresentativo, Chan riesce a renderla meno spigolosa. Chiudono set, concerto e partita : “Peace & Love” e “Ruin” che sicuramente a stento riusciranno ad andarsene dalle setlist in futuro, un finale che per forza e intensità fa raggiungere alla performance il suo massimo emotivo e sonoro. Prima di andarsene Chan regala delle rose ad ognuno dei suoi musicisti, a qualche tecnico e a qualche amica/groupie poi lancia le scalette al pubblico appallotolandole, il tutto sorridendo e continuando a salutare soddisfatta. Ormai è mezzanotte e insieme al gruppo lascia il palco per prendere la strada della prossima tappa a Roma.
Di rinascita si tratta ed è sicuramente guidata dall’accecante luce del sole (“Sun” appunto) che può confondere ma anche illuminare e Cat Power è sembrata pronta per risalire la china della vita e le doti le ha tutte. Ora si tratta solo di evitare altri abbagli che ormai la sua esistenza le ha già riservato numerosi.