Così come non tutte le ciambelle riescono con il buco, non tutte le riscoperte di teatro in musica del passato hanno successo. Ne abbiamo parlato un paio di mesi fa in occasione de Il Trionfo di Clelia di Gluck presentato al Comunale di Bologna in occasione dei 250 anni dall’inaugurazione; era stata l’opera inaugurale e sarebbe stata ricordata meglio se coperta da una coltre di oblio. La prima esecuzione mondiale di Elena di Francesco Cavalli, a oltre 300 anni da quel 1659 in cui venne rappresentata al Teatro San Cassiano di Venezia, significa probabilmente l’inizio di una nuova carriera per il lavoro.
In primo luogo, l’allestimento che ha debuttato al Festival di Aix-en-Provence (dove è in scena sino al 27 luglio) è una coproduzione tra otto teatri francesi e portoghesi, dove la si vedrà, quindi, nel 2013- 2014, in un pacchetto di una cinquantina di repliche. Dato che Cavalli è uno dei maggiori compositori veneziani (ha guidato per lustri la Cappella Ducale per componendo cinque opere l’anno per teatri commerciali) è auspicabile che lo spettacolo, godibilissimo, arrivi nel Veneto e nel resto d’Italia. Richiede un ensemble di undici musicisti (nell’edizione vista ed ascoltata in Provenza, la Cappella Mediterranea diretta da Leonardo García Alarcón) 12 cantanti-attori (in grado di interpretare 26 ruoli e fare piroette cantando), una scena unica (molto efficace quella di Laure Pichat dell’allestimento varato a Aix). Sovrintendenti, invece di piagnucolare perché gli anni delle vacche grasse sono finiti, fatevi avanti.
In secondo luogo, occorre chiedersi perché questa Elena piace anche a un pubblico giovane, quello che spesso si tiene alla larga dai teatri d’opera. Nella Venezia del Seicento, i teatri commerciali non ricevevano sussidi, ma puntavano a spettacoli che fossero divertenti e anche irriverenti (tali da mostrare in teatro ciò che avveniva nelle alcove dei Palazzi, nonostante i divieti dell’Inquisizione). Questa Elena è molto più castigata di altre opere di Cavalli (ad esempio, La Callisto) a ragione della carica pubblica coperta dal compositore. E’ fatta, però, per fare ridere e stuzzicare.
In terzo luogo, alcuni la considerano la prima “opera comica” del teatro in musica. E’, invece, un lavoro eclettico e composito come “The Twelveth Night” di Shakespeare o “L’Illusione Comique” di Corneille. Momenti comici (ad esempio la danza degli orsi) si alternano con scene patetiche (le arie di Menelao) con quadri di guerra (arrivano i “nostri” che sarebbero gli Argonauti ed i Dioscuri) con sequenze vagamente erotiche e via discorrendo. Elena è quella il cui nome è associato alla guerra di Troia ma di Paride e del conflitto in Asia Minore non c’è traccia. La complicata vicenda riguarda un’adolescente abile nella arti marziali; Menelao, innamoratisi alla pazzia, si veste da amazzone pur di corteggiarla. La vuole per se anche Teseo, che lascia la propria compagna (la vera regina delle Amazzoni Ippolita) per rapirla e farla sua portandola nel Regno di Creante, il cui figlio Menesteo tenta anche lui di portarsela via. In breve, tutti vanno pazzi per la fanciulla un po’ come Brigitte Bardot in “E Dieu crea la femme”, il film di Roger Vadim che la lanciò.
Ove la situazione non fosse abbastanza complicata, il braccio destro di Teseo, Peristoo vuole portarsi a letto Menelao, credendolo una bella fanciulla, e Ippolita arriva alla guida delle Amazzoni per riprendersi Teseo, proprio mentre Castore e Polluce sbarcano, con gli Argonauti, per venire in aiuto alla sorellina Elena. Il fine non può che essere lieto: Menelao e Elena si sposano, Teseo e Ippolita si riconciliano, Peristoo apprende che non basta essere vestito da donna per appartenere al gentil sesso e Menesteo viene punito dal proprio Re e padre.
In quarto luogo, sotto il profilo musicale, è un’ulteriore prova di come a Venezia l’opera “commerciale” abbia fatto, in pochi decenni, notevoli progressi introducendo vere e proprie arie, duetti, terzetti, quartetti ed anche concertati. Con pochi mezzi veniva creato uno spettacolo degno di Broadway (l’impresa non era sovvenzionata e viveva di biglietteria e donazioni liberali). L’edizione presentata a Aix è quanto di più filologico si possa mettere in scena oggi: un complesso specializzato in musica antica che suona con strumenti d’epoca (o ad essi simili), uso di controtenori in ruoli scritti per castrati, scene essenziali (e facilmente trasportabili da palcoscenico a palcoscenico), una regia spigliata e piena di trovate (ad esempio, la lotta greco-romana tra i due protagonisti, la danza degli orsi) che rende , se non plausibile, divertente un intreccio complicato che poco ha di omerico e molto di picaresco. Di regia , scene e costumi si è detto (di grande apporto, le luci di Chistian Dube). Tra le voci spiccano i quattro protagonisti Valer Barna-Sabadus (un contro-tenore di cui si parlerà a lungo per il registro che riesce a raggiungere), Ernöke Baráth (la bella Elena), Fernando Guimarãe (il fedifrago Teseo) e Solenn Lavanant Linke (un’Ippolita abilissima a tirar di spada).