Oggi si apre un nuovo capitolo per il teatro d’opera: “diretta” in 3D, non solo HD, con un accordo con Sky, nei principali Paesi di tutto il mondo e, simultaneamente, in 3D in 1500 cinema nel Regno Unito (in diretta) e negli Usa ed Australia/Nuova Zelanda (necessariamente in differita).
L’iniziativa presa in collaborazione con la English National Opera (ENO) ha l’obiettivo di portare un pubblico nuovo (e si spera più giovane) nei teatri. In Italia, pare che il duopolio sia televisivo sia della distribuzione cinematografica e i “micro-cinema” collegati ad alcune fondazioni liriche abbiano, per ora, bloccato l’accesso all’esperimento. Quindi, il vostro “chroniqueur” è andato a Londra a vedere il 9 febbraio al “Coliseum” a St.Martin’s Lane, dal vivo, lo spettacolo (in scena dal 31 gennaio al 3 marzo) che verrà trasmesso oggi (23 febbraio).
In passato per i primi esperimenti di cinema in 3D negli anni Cinquanta e nella loro ripresa recente all’inizio del 21simo secolo, si è puntato su argomenti spettacolari (tipo “La Guerra dei Mondi”) o fiabeschi (ad esempio “Avatar”) – quelli che un tempo venivano chiamati “per famiglia”. Per questa “prima mondiale”, invece, è stata scelta un’opera di Gaetano Donizetti (“Lucrezia Borgia”) non certo per educande.
Il testo teatrale di Victor Hugo (da cui Felice Romani ha tratto il libretto, smussandone certi aspetti) contempla omicidi plurimi, incesto, ubriacature, orge, rapporti omosessuali e anche torture efferate.
L’allestimento scenico, affidato a Mike Figgis, regista cinematografico della “nuova scuola” britannica noto a livello internazionale, non soltanto è stato concepito per il tridimensionale ma non lascia nulla all’immaginazione: i cantanti sono stati scelti anche perché hanno le physique du rôle, l’impianto scenografico accentua prospettive profonde e brevi filmati illustrano l’antefatto.
Soprattutto, mostrano ciò che sul palcoscenico è difficile fare vedere. Visto dal vivo, lo spettacolo ha senza dubbio una presa sul pubblico. “Lucrezia” è uno dei titoli meno rappresentati della vasta produzione di Donizetti e ha un intreccio difficilmente plausibile. È però un capitolo importante nella storia della musica: per la prima rappresentazione dell’opera alla Scala nel 1833, l’orchestra venne sistemata in buca, per la prima volta, come lo è adesso.
La vicenda si dipana , tra una Venezia e una Ferrara dove la bella gioventù passa il tempo a gozzovigliare, l’ormai 40enne Lucrezia, sposata a Filippo d’Este, ritrova il giovane figlio Gennaro (toltole alla nascita), ora affettivamente e sessualmente legato non solo a belle fanciulle ma anche al suo compagno d’armi Maffio Orsini.
Al termine di un complesso intrigo, senza volerlo, lo fa avvelenare con i suoi compagni di festini. Difficile comprendere la logica dell’intreccio; in particolare perché Gennaro, dopo essere stato torturato e avere scampato un tentativo di avvelenamento, invece di scappare da Ferrara abbia la forza e la voglia di cedere agli inviti di Maffio a partecipare a un festino-trappola nel palazzo della principessa Negroni dove avviene la strage finale.
Importante, la partitura cupa nonché contenuta negli imbellimenti belcantistici, prossima al melodramma verdiano. Paul Daniel scava l’eleganza della scrittura orchestrale (specialmente i fiati e gli ottoni), Claire Rutter scansa le difficoltà più impervie della coloratura. Grande promessa è Micheal Fabiano (giovane tenore lirico a tutto tondo e attore superbo, pur se in un ruolo improbabile). Tra gli altri, spiccano Elizabeth DeShong (Maffeo Orsini) e Alastar Miles (Filippo d’Este). Tre ore (intervallo compreso) di grande tensione anche grazie all’efficace traduzione ritmica in inglese.
Comprensibile che per lanciare l’opera in 3D si voglia scioccare, ma forse se si fosse scelto un lavoro più noto, e con meno sangue e meno sesso, si sarebbe aumentata pure la potenziale audience.