La Prima serata del Festival di Sanremo 2012 si è appena conclusa. Un inizio anomalo, in cui non sono certo mancati gli imprevisti e le brutte sorprese. Ne abbiamo discusso a caldo con Massimo Bernardini, giornalista e conduttore di Tv Talk.
«Sono due, a mio avviso, gli elementi fondamentali di un esordio molto deludente – spiega Bernardini a IlSussidiario.net –. Il primo, strutturale: non è più il Festival della canzone italiana. È passata un’ora prima di poter ascoltare il primo brano, dopodiché Celentano ha fermato completamente il racconto della gara. L’esibizione degli artisti è stata così continuamente rimandata e spinta verso la fine, come se lo spettacolo fosse solo un gioco tra monologhi e blocchi pubblicitari e la canzone avesse un peso sempre meno incidente nella scaletta. Se queste però sono le intenzioni degli autori, allora non fate più il Festival. Fate un’altra cosa, un varietà. Non vedo perché far investire discografici e artisti in un lavoro creativo per poi mortificarlo in questo modo».
E il secondo? «Le farneticazioni del “Profeta” Celentano. Il monologo di ieri, infatti, è stato uno dei più banalizzanti e inconcludenti della sua storia. Sul piano religioso l’ho trovato di una presunzione sconfinata, come se davvero si credesse Gesù redivivo, anche se, a occhio, mi pare proprio che non lo sia. E devo dire che la marea di stupidaggini che ho ascoltato mi ha fatto pentire…». Di cosa? «Quando, ormai trent’anni fa, fece “Fantastico” io lavoravo ad Avvenire, giornale che lui ieri ha attaccato chiedendone la chiusura per ragioni assolutamente risibili. Ricordo benissimo che la redazione era divisa tra chi lo considerava un incapace e chi, come me, lo difendeva dicendo che era un intellettuale, un outsider che si ergeva a “re degli ignoranti”. Devo ammettere di aver sbagliato: avevano ragione i miei colleghi.
Basta riascoltare il suo lungo sermone. Non si riesce a scovare un indizio minimo di credibilità. Per tanti anni quest’uomo è stato, in un certo senso, l’emblema del cattolicesimo più tradizionale, mentre oggi si presenta come il simbolo del cosiddetto dissenso. Detto questo, ad ogni modo, non emerge la sofferta costruzione di un cristiano che fa fatica a riconoscersi dentro l’Istituzione Chiesa, ma solo parole a vanvera. E non ci si può certo salvare sempre con i soliti due vecchi rock and roll…».
La ciliegina sulla torta di una serata sfortunata è stato poi il guasto tecnico che ha falsato le votazioni. «Certo, anche se a me non è sembrato poi così casuale… C’è stato, a mio avviso, sia un errore tecnico reale, sia l’irritazione profonda del mondo discografico per come si stava mettendo la serata, per cui alla fine si è trovato il modo di azzerare tutto».
Anche se sono state messe in secondo piano, un giudizio finale sulle canzoni? «Non è un discorso slegato da quanto abbiamo detto. Strutturare in questo modo lo spettacolo e la gara ha certamente penalizzato i cantanti. E’ difficile infatti reggere la tensione in un contesto del genere. E per questo, rispetto alle prove, le esibizioni sono state molto più scarse. Male soprattutto quelle del primo blocco, penso a Bersani o a Noemi, mentre nel finale la gara ha ripreso vita e ha fatto registrare le prestazioni migliori: Arisa e il duo Carone-Dalla, forse il momento più bello di tutta la serata…». Una scaletta sbagliata, una conduzione discutibile, cantanti non in forma: a questo punto secondo lei gli ascolti ne risentiranno? «No, questa resta una settimana senza concorrenza per il Festival e gli ascolti pagheranno comunque. C’è un ultimo dato preoccupante che però andrebbe sottolineato a livello televisivo: i nostri autori si stanno abituando ad allungare i tempi, non sembrano avere più quella sapienza che ti permette di costruire idee brevi e ficcanti. E credo che, alla lunga, a perderci sarà la loro professionalità».