Chi scrive recensioni musicali di solito non utilizza espressioni esageratamente positive poiché dovrebbe essere consapevole che per comprendere e valutare un album al meglio (ma anche una sola canzone, in realtà) occorre un tempo di sedimentazione storica e cdi onseguente distacco emotivo. Questo al fine di evitare che il trasporto della novità, a volte aumentato dalla preferenza personale per l’artista in questione, non consenta un giudizio oggettivo che non tenga presente di tutte le circostanze di rito (contesto, radici estetiche, citazioni culturali e paragoni obbligati).
Con il peso specifico di questa premessa, penso sia però corretto dire fin da subito che il nuovo album di Paolo Benvegnù, “Hermann”, è un autentico capolavoro. Capolavoro come si possono considerare album quali “Discanto” di Ivano Fossati o “La Voce Del Padrone” di Franco Battiato o allo stesso modo “Linea Gotica” dei CSI o “Dentro Me” dei La Crus.
Esempi di come musica e testi a volte possano insieme creare forme artistiche di sublime bellezza. “Hermann” da oggi rappresenta un nuovo capitolo di questa lista di opere italiane uniche e difficilmente eguagliabili. Un album che si dichiara pubblicamente come colonna sonora di un film non realizzato: un film che racconta del mondo presente e passato, dell’uomo al centro della storia, ma incapace ancora di conoscersi fino in fondo, del bene così difficile da trattenere e del male che nasce, circonda e ferisce, delle voci incapaci di tacere e del cuore sofferente nella necessità di amare (e essere amato).
“Hermann” risulta impossibile da descrivere nelle sue parole perché troppi sono i rimandi alla tradizione letteraria, ai pensieri associativi, alle figure ancestrali, alle voglie sorprendenti, al sangue riverso, alla natura terrena e alla vita di ognuno. E le stesse parole giungono in modo diverso a chi è ancora disposto ad ascoltare senza pretendere di capire tutto o vedere solo confermate le proprie certezze.
L’arte esiste in quanto qualcuno dotato di talento riesce a “raccontare” di noi più di quanto riusciamo noi stessi; è il miracolo di trovarci improvvisamente stupiti della realtà (e oltre), di quello che i nostri occhi possono vedere, le orecchie sentire e le mani percepire; è la meraviglia a volte dolorosa di scoprire di quale sostanza sono fatti il nostro presente, le nostre emozioni e le nostre azioni.
Paolo Benvegnù e i suoi virtuosi compagni hanno esplorato i confini intorno e dentro di loro, all’umanità da cui provengono e ai mezzi che hanno a disposizione per esistere e creare. E poi ci hanno donato il risultato di tutto questo.
Musicalmente l’album non sfigura davanti alla meraviglia dei testi: impossibile (almeno per il sottoscritto) entrare nello specifico delle singole canzoni. Dalle ballate pseudo orchestrali ai pezzi più pop/orecchiabili, dai momenti di puro cantautorato all’elettronica minimale di stampo wave, dagli slanci rock alternative a brevissime illuminazioni jazzistiche.
“Hermann” non può essere “sentito” distrattamente, non è il sottofondo durante l’aperitivo, non è la chiave pseudo/intellettualistica del disagio esistenziale indie, non è lo stupido passatempo danzereccio di trentenni/quarantenni imbevuti di mojito, non è l’emo svilito da troppi urletti di inutili invettive.
Se donerete a “Hermann” la concreta possibilità di essere ascoltato questo vi ripagherà in maniera totale: troverete quello che vi piace e quello che non vorreste durasse, il sound che vi rappresenta intimamente e l’ostacolo meritevole di essere affrontato, la semplicità che vi corrisponde e il necessario sacrificio per gioire di voi e degli altri.
Troverete l’esatto luogo dove dovrebbe risiedere la vostra sensibilità. 13 canzoni e 13 storie vi aspettano per rapirvi e rendervi, se non migliori, per lo meno più consapevoli di chi potreste essere (e siete!) nei vostri gesti e desideri quotidiani. E in qualche modo anche più felici.