“Accidenti Davide: ai tempi del vinile questo sarebbe stato un triplo ellepì”. “Esatto, come Sandinista dei Clash!”. Scherza e ride Davide Van De Sfroos, è decisamente di buon umore e soddisfatto del suo nuovo disco, il primo dopo tre anni, e ovviamente la prima cosa che gli viene in mente è uno dei suoi gruppi preferiti, i Clash. Chi scrive lo ricorda sul palco pochi minuti prima di una esibizione, intento ad attaccare con cura sulla sua chitarra un adesivo dei Clash. Le radici musicali di quest’artista sono profonde e diverse, ma tutte sanamente rock. Lo si sente in questo disco, “Goga e Magoga”, ricchissimo di spunti, di citazioni, di una varietà sonica come non era mai successo prima. E allora ci sta un’altra citazione: “Potrebbe essere un ‘freewheelin’ Van De Sfroos, un Van De Sfroos a ruota libera, che ne dici?”. Annuisce ridacchiando.
Anche liricamente è un disco ricco come non mai, un disco “bipolare” lo ha definito lui con una delle sue tipiche irresistibili immagini, che racconta “un’epoca che con il bipolarismo e la confusione interiore ed esteriore ha imparato a convivere con apparente rassegnazione”. Un’epoca dove l’io dell’uomo è devastato, annichilito e addormentato, e lui lo dice benissimo, ma non per questo bisogna arrendersi. “Le mie canzoni cercano di comunicare comunque speranza” sottolinea. Ed è vero: immagini di luce appaiono e scompaiono qua e là nelle canzoni. Maria, la madre di Dio, per cui una preghiera vale sempre la pena, l’infermiera davanti alle atrocità della guerra che diventa un padre nostro. E alla fine quella dichiarazione bellissima, che la vita è un dono, che la vita è appartenenza, che la vita è affidarsi: “Qualcuno di loro ha maledetto il suo ballo, qualcuno ha perfino pregato di esser tagliato ma in molti accettano il dono, il dono di farsi cullare”.
Ci siamo dentro tutti in questo disco: depressi, devastati, incazzati, sconfitti, ma alla fine redenti. Dalla positività che la vita ha sempre con sé: “In queste canzoni c’è tutto l’amore del mondo”, dice. Aggiungendo: “E’ un buon segno che siamo così tanti oggi a essere turbati da questa vita, da tutte queste cattiverie e dolori, perché è il segno che la nostra natura desidera altro, desidera la felicità, quella vera”.
Cè un sacco di musica in questo disco, un sacco di spunti, ci toccherà ascoltarlo a lungo per scoprire tutto quello che c’è.
Non sono stato su a pensare devo fare un disco da cantautore o chissà cosa. E’ stato invece come se degli affreschi del passato che avevo nella mente si fossero risvegliati, uscivano fuori i suoni di un’epoca e non avevo nessun problema ad affrontarli tutti pur rimanendo fedele a me stesso e questa è una cosa fondamentale del disco.
Ci sono brani più rock e brani meno rock, questa se non sbaglio è stata una intenzione voluta, è così?
Ci sono otto pezzi più aggressivi e provocatori con al centro la voglia di risvegliare e di non deprimersi e poi altri otto dentro ai quali c’è tutto l’amore del mondo, quelli più belli e più anziani come suono perché è comunque il disco di uno che non ha più venti, trenta o neanche quarant’anni.
Come sei arrivato a metterlo insieme? Tre anni dall’ultimo disco non sono stati pochi.
E’ un disco che è nato dalle mie inquietudini, una inquietudine che c’era già in Yanez che ritengo un disco malinconico più di questo pur non essendo una rottura di palle. Questo è il disco di uno che si sveglia la mattina, mette gli occhiali che vedi nella foto di copertina, si dipinge la faccia e dice: io esco.
E dove va quest’uomo quando è uscito? Cosa trova?
Gli succede un po’ come nel film Un giorno di ordinaria follia, ma non vuole fare male a nessuno, vuole invece abbracciare tutti quanti e dice: sappiate che io ho un passato doloroso, non nascondo più niente sulle mie ansie e le mie paure. Le canzoni sono tante ne ho anche lasciate fuori tre o quattro perché ne preferivo sedici esatte: sono più comode, uno si becca tutta la storia senza cambiare disco, altrimenti avrei dovuto fare un doppio cd.
Dacci qualche indicazione, come possiamo muoverci anche noi in questo splendido carnevale di musiche?
Ci sono tante musiche che guardano alle mie passioni di sempre, ma anche la componente più intima ma orchestrata come negli anni 70. Ci sono strumenti come le tubular bells e il mellotron che non sono certo di questa epoca.
Ricordo che l’estate scorsa ti ho visto in concerto, quando hai fatto per la prima volta dal vivo il pezzo Goga e Magoga. Fu davvero una esplosione fantastica di suoni e tu sembravi a tuo agio come non mai. Esagero se dico che questo disco è un po’ una sorta di liberazione musicale?
No, direi di no. Quel pezzo e altri permettono alla fine di esplodere positivamente e urlare quello che stai pensando. La curiera l’abbiamo cantata e la canteremo ancora però adesso canto quello che sento oggi, vedo la gente stanca e depressa ma che dentro resta viva. Ecco di cosa canto. Siamo in tanti a vivere questa fatica, nel disco c’è uno sguardo al passato ma non come rimpianto ma piuttosto come ricordo di quello che eravamo perché dal passato all’ipotetico futuro non è che c’è un baratro, ci potrebbe invece essere un ponte.
Mi piace l’espressione di disco bipolare, lo siamo un po’ tutti davvero. Che cosa ci ha portati a essere così inquieti e depressi? Abbiamo cercato di liberarci da tutto e da tutti, poi alla fine siamo rimasti da soli su facebook.
Non solo, anche al lavoro, anche nel cercare un parcheggio. Da quando l’uomo è sulla terra ha cominciato a creare strutture e sovrastrutture. La danza di Goga e Magoga che si vede nel video è la definizione del caos, tanta roba e tante cose controverse fra loro. Bipolare proprio perché da una parte sogniamo di essere in un certo luogo e dall’altra remiamo in senso opposto. Perché ci fanno credere che la confusione è la soluzione. Alla fine nella vita hai fatto tante cose importanti, hai avuto potere e successo e ti trovi vecchio e solo nascosto in una baita a dire: ecco qua finalmente sto bene. Non sto dicendo che dobbiamo rifugiarci nel passato come gli Amish, ma non possiamo nemmeno dimenticare quello che in origine eravamo e come sapevamo vivere in armonia. L’uomo dov’è finito? Siamo ancora capaci di scegliere? Passare le ore a scrivere su facebook: ok è comodo perché raggiungi tante persone, ma è giusto vivere su facebook e non andare al bar dagli amici? La domanda è questa.
Qua e là nelle varie canzoni emergono immagini, preghiere, la canzone Infermiera peraltro bellissima che diventa una specie di Padre nostro.
C’è qualcosa di spirituale che trasporta in una dimensione superiore alla tempesta mediatica esistenziale costante. Le preghiere, i santi e i demoni sono sempre stati presenti in tutti i miei dischi. Uso questi termini perché vivo in Italia e prego dentro una chiesa ma se vivessi altrove userei altre espressioni che significano lo stesso. Infermiera è un miracolo venuto di getto come se era già scritta nella mia testa e dovevo solo trascriverla su carta, una cosa che non mi è mai successa prima. E’ la dimostrazione come anche dentro una cosa come la guerra, ci si possa innamorare e far battere il cuore più forte delle bombe.
Che cosa è che muove il cuore anche dentro una guerra?
Mi vengono in mente i versi de Il dono del vento che chiude il disco: accettare il dono della vita è difficile, io ad esempio come dici nella canzone sono uno di quelli che taglierebbe via ogni cosa, anche me stesso, invece di accettare questo dono così faticoso.
Credo sia salutare il tuo atteggiamento, anche se può sembrare una bestemmia dire così. E’ un buon segno che siamo in tanti a essere così, tanti a essere turbati, a far fatica. E’ la dimostrazione che la nostra natura non vuole questo. Se fossimo invece felici di quello che siamo allora sarebbe davvero grave. Sarebbe un problema devastante perché significherebbe che siamo diventati qualcosa d’altro, vittime di una de-evoluzione, quello che dal punto di vista biblico erano Gog e Magog, il male che si metteva in moto. Ma che non può vincere perché Dio non è il male.
A proposito di facebook, poco tempo fa hai scritto una cosa molto bella, che mi ha commosso: “Sono occhi che si tengono da conto nell’attesa di vedere una bellezza non ancora rivelata, Quando tutto questo amore avrà perfino un volto”. Credo che sia un po’ il senso di tutto il disco, una bellezza che oggi vediamo solo a tratti, confusa nel dolore quotidiano, ma che un giorno ci sarà rivelata nella sua completezza. E’ così?
Direi di sì. Passano gli anni e cominci a dire, tanto ormai quello che dovevo fare l’ho fatto, quello che dovevo sbagliare l’ho sbagliato, ma cammini ancora, come dico nella canzone, “in mezzo alla pioggia con stivali improbabili”. Vai avanti perché nessuno è arrivato e ti capita di vedere cose che non ci sono ancora nella loro completezza, il viaggio non è mai finito. Nel momento in cui completi questo viaggio, quando finisci la tua esistenza qua, dall’altra parte ti verrà fornita una libertà assoluta.
Che adesso non è ancora tangibile.
Adesso, in questa vita, non devi pensare anche io mi lascio andare, crollo, cado e mi rinchiudo, perché anche quella crisi ti trasforma, emani una energia dolorosa, ma riprendi e riparti da lì. Stiamo male perché là fuori c’è qualcosa di male ma anche tantissima bellezza. Il futuro non è ancora scritto, lo diceva Joe Strummer, e tu non hai ancora vissuto il minuto che vivrai dopo. Accetta la danza del vento, non subire la curvatura che ti impone, vivere è faticoso ma se vivi la vita come una danza sei tu che danzi.