Mettere in scena il “Ring” di Richard Wagner – un prologo- atto unico di due ore e mezzo e tre opere, o “giornate”, di circa cinque ore ciascuna – . è operazione da fare tremare. Il progetto del Teatro Massimo di Palermo merita, quindi, elogio e supporto (sia dal settore pubblico – Stato, Regione, Provincia, Comune, sia da quello privato – dalle banche ed imprese che sono diventate socie della Fondazione). A Palemo, un “Ring” completo in forma scenica manca da 42 anni, quando venne presentato (nell’arco di due stagioni) un allestimento del Teatro dell’Opera di Ginevra presentato nell’arco di due stagioni. Un’assenza troppo lunga per uno dei capolavori più alti non solo della musica e del teatro dell’Ottocento ma (a detta di Theodor Adorno, che non può certo essere tacciato di settarismo di destra) dell’intera civiltà occidentale. Soprattutto in quanto Palermo veniva considerata, a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, una delle due città italiane wagneriane per eccellenza Non sono mancate rappresentazioni di altre opere di Wagner oppure concerti wagneriani. Tuttavia, il “Ring” è stato concepito come musikdrama per la scena ed è unicamente sul palcoscenico che acquista tutto il suo spessore: lo stesso Wagner nel saggio “Musikdrama” (edito in tradizione delle Edizioni Studio Tesi) sottolinea il rilievo dell’azione teatrale per carpirne i segreti.
Il progetto è ambizioso: dato che lo stesso Wagner interruppe la composizione del “Ring” per 12 anni (dubitando di poterlo portare in porto), e compose “Tristano ed Isotta” e “I maestri cantori di Norimberga”) prima di riprendere in mano il terzo atto di “Siefgfried” al punto in cui lo aveva lasciato. Il progetto ha una sua logica musicale, prima ancora che drammatica: con “Tristano”, Wagner cambiò il modo di scrivere musica e ciò si tocca con mano già nell’ultima parte del ”Ring”. Il cambiamento ha aperto la strada alla musica moderna sino alla dodecafonia. “Rheingold”, la cui prima è il 22 gennaio, è, ricordiamolo, la “vigilia”; assaporarla senza che essa venga seguita dalle tre “giornate” avrebbe poco significato. Lo stesso Teatro alla Scala, in coproduzione con lo Staatsoper di Berlino, ha scaglionato su quattro anni la messa in scena del “Ring” su quattro anni prima di presentarne due cicli interi il prossimo giugno.
Il “Ring” palermitano viene allestito con la regia di Graham Vick e con le scene e i costumi di Richard Hudson: uno spettacolo appositamente ispirato e concepito per gli spazi del grande teatro palermitano che saranno coinvolti interamente dall’allestimento. Sul podio dell’Orchestra del Teatro Massimo ci sarà una fra le più interessanti bacchette di oggi, il finlandese Pietari Inkinen già noto al pubblico palermitano per alcuni appuntamenti sinfonici di rilievo. Gli interpreti vocali sono specialisti di questo repertorio; per “Das Rheingold” ci saranno fra gli altri Franz Hawlata (Wotan), Sergei Leiferkus (Alberich), Robert Brubaker (Mime).
Questo nuovo “Ring” è interamente prodotto dal Teatro Massimo e messo in calendario ad apertura e chiusura della Stagione 2013: “Das Rheingold” (22-31 gennaio), “Die Walküre” (21 febbraio-3 marzo), “Siegfried” (19-30 ottobre), “Götterdämmerung” (23 novembre-4 dicembre). Il regista ed il maestro concertatore non hanno fatto trapelare alcuna notizie (né alcuna immagine) del loro allestimento. Vick ha messo in scena un Ring integrale al Sao Carlos di Lisbona , un teatro di dimensioni molto piccole:l’azione si svolgeva nella platea, l’orchestra era sul palcoscenico ed il pubblico dei palchi. Era uno spettacolo mini dai toni scherzosi. Circa vent’anni con il compianto Jonathan Dove (deceduto poche settimane fa) , a Birminghan (un teatro ancora più piccolo di quello di Lisbona), Vick ha messo in scena un’edizione ‘tascabile’ che si è vista in autunno a Reggio Emilia: un organico di 19 elementi, invece dei 150 richiesti da Wagner, e molti tagli per portare il tutto da circa 15 a 9 ore. Scene ed abiti erano moderni: couture britannica Anni Ottanta.
“Mettere in scena il Ring – ha dichiarato Vick ad un quotidiano palermitano – è una sfida che raccolgo sempre con entusiasmo; l’ho già affrontata a Lisbona ma soprattutto nel mio teatro a Birmingham dove ho presentato una mia versione cameristica in due sere che ha avuto molto successo. In più, si aggiunge il piacere di lavorare in un teatro come il Massimo di Palermo che amo moltissimo, che ha dimostrato negli ultimi anni una maturazione artistica e gestionale significativa, che cerca di rinnovare costantemente la proposta culturale e che, alla luce dei suoi traguardi, esige maggiore attenzione da parte delle istituzioni. Considerando le caratteristiche di questo nuovo progetto del Teatro Massimo, sto preparando un “Ring” per un pubblico che non l’ha mai visto, un pubblico fresco, entusiasta e interessato come quello di Palermo. L’idea nasce dal Teatro stesso e dall’atmosfera che sprigiona. Fra gli elementi che mi affascinano del Ring, c’è la possibilità di interpretarne le tematiche in modo cosmopolita, senza tempo, e non soltanto secondo gli stereotipi germanici. Sono poi molto stimolato dai tempi stretti imposti dalle esigenze di programmazione: saranno quattro nuovi spettacoli da mettere in scena in successione e tenere uniti nei significati. Senza contare che è divertente lavorare intorno a una grande “favola sul potere e i soldi” in un momento in cui se ne lamenta ovunque la mancanza” . Poche indicazioni però sui contenuti dell’allestimento.
Siamo quasi a 40 anni dall’edizione “del centenario” (della prima rappresentazione) realizzata a Bayreuth. Nell’agosto 1976, la regia venne affidato all’allora poco più che trentenne Patrice Chéreau (regia) ed alla bacchetta di Pierre Boulez. e segnò un’epoca e dettò uno stile durato sostanzialmente sino ad adesso. Chéreau ed il suo socio e sodale di sempre, lo scenografo Richard Peduzzi (attualmente direttore dell’Accademia di Francia a Roma) buttarono alle ortiche non solo la simbologia nibelungica (pelli di orso, corni, scudi e quant’altro) ma anche le astrazioni di Adolphe Appia che per decenni avevano dominato, più o meno in alternanza, gli allestimenti del “Ring” . Il complicato intreccio ( una visione cosmica dalla creazione del mondo alla palingenesi del crepuscolo degli Dei) venne letto come un dramma di famiglia borghese, decadente e sensuale, all’epoca dell’industrializzazione trionfante. Si avvertiva un tono anti-capitalistico, vagamente marxisteggiante, tipico del periodo tra 1968 e 1977 in Francia ed in Germania (in Italia si era nella “notte della Repubblica”). Inoltre, Boulez dava una lettura nervosa , rapida, alla partitura, accorciandone i tempi.
Senza dubbio, un allestimento che segnò i tempi (e si può gustare in un DvD uscito in Italia solo questa estate). I “Ring” de La Scala, Maggio Musicale, Catania, Trieste, Ginevra, Berlino per non citarne che alcuni visti ed ascoltati in questi anni dal vostro “chroniqueur” seguivano lo spettacolo Chéreau-Boulez. Tra i maggiori teatri, solo il Metropolitan seguì una strada marcatamente differente con l’allestimento grandioso e favolistico con la regia di Otto Schenk, le scene ed i costumi di by Gunther Schneider- Siemssen e la direzione quasi verdiana (per la concitazione) di James Levine , nonché in quella più recente di Robert Lepage e Fabio Luisi
C’è una ripresa dell’ciclo wagneriano, non solo a ragione del bicentenario dalla nascita del compositore. E’ stato messo in scena il primo “Ring” integrale all’Opera Amazonas, a Manaus, nel bel mezzo della foresta tropicale: la saga viene letta in una chiave molto sud americana (tipo il vecchio film tormentone “Amanti Latini” con Ava Gardner e Ricardo Montalban).
Per certi aspetti si riallaccia al filone astratto del 1950-1976, la mirabile produzione di Aix-en-Provence e Salisburgo (con la regia di Stéphane Braunschweig e Sir Simon Rattle alla guida dei Berliner Philarmoniker nella buca d’orchestra: una lettura astratta ma umanissima con una scalinata, un occhio in cima alla scale (del vecchio Dio? o di quello nuovo? L’interrogativo resta senza risposta) e scarne eleganti proiezioni e costumi in gran misura attuali. In breve, l’umanità alla ricerca del denaro e del potere deve lasciare i vecchi miti (ed i vecchi Dei) per costruire il nuovo. Edizione mirabile di cui non esiste né un DVD né un Cd.
Per Vicl e Inkinen, questa è la vera sfida.