Una pre-sigla che contiene un po’ di quello che è disponibile sui vari DVD antologici, compreso lo sketch più divertente estrapolato dal Gaber e dalla Melato de “ Il caso di Alessandro e Maria”, poi una breve Com’è bella la città in veste di sigla vera e propria. Ecco Fazio, inizio posato e funzionale seduto a un tavolo essenziale sulla falsariga degli show di Celentano o delle stesse sedie di scena di Gaber, accompagnato dal portamento grande e sobrio di un Sandro Luporini quieto e sornione.
Si parte, viene introdotto il duo Paolo Jannacci / Claudio Bisio con Far finta di essere sani, il primo sicuro e sfavillante al piano, mentre Bisio – diverso dall’istrione ironico e autorevole che conosciamo – appare qui spaesato, debole e schiacciato dal paragone con l’intonazione perfetta del maestro. Ecco Rocco Papaleo in una Shampoo accompagnato da Gianni Martini chitarrista storico della band del Signor G. E anche qui la resa personale appare sfilacciata e sventrata del grande senso dei tempi comico-recitativi. Il bravo attore lucano complica le già serie conseguenze della sua esibizione con una impresentabile Destra Sinistra. Ed ecco allora la band di Gaber introdurre alla grande Le mani con l’irresistibile passo del piano boogie, mentre al canto arrivano Luca e Paolo. Sono quelli più vivi fino a quel momento e centrano in parte il bersaglio fallito dagli altri, con i tempi e la forza certo non esaltano ma non se la cavano malaccio mostrandosi discretamente a proprio agio anche nello sberleffo di Al Bar Casablanca. Dal suo canto Jacchetti con il pretesto di chiedere scusa al Signor G, non perdona tutti noi con la sua svaccata e superflua Barbera e champagne.
Fazio cita con precisione e introduce senza indulgere sotto lo sguardo attento e custode di Luporini. Arriva il Ruggeri graffiante ed esemplare di Un’idea sputata alla sua maniera con ironia, flemma apparente e sottile veleno. Ancora Fazio che introduce la Qualcuno era…. breve prequel della celeberrima Qualcuno era comunista che annovera un Paolo Rossi che sembra imploso, un Bertinotti che sembra rivelare insospettate doti recitative e un Veltroni che ammicca come un grigio lettore di notizie, fino al ritorno di un Paolo Rossi espressivo ma non troppo nel finale drammatico. Sempre il prezioso tappeto fornito dalla band di Gaber per un Samuele Bersani che, forte della sua ironia vocale a strascico, conferma la buona prestazione del triplo tributo con Il conformista.
Insomma lo show è discontinuo. Con il minimo comun denominatore dell’autorevole canovaccio musicale della Gaber band, si passa dalla non minore autorevolezza dei musici di professione e di passione al rischio della rievocazione ad minchiam proprio di certo approccio da parvenu a un passo dalla mistificazione. In piena sintonia con quest’ultimo l’esibizione di una Littizzetto che per l’appunto porta l’argutissima “Secondo me la donna” sul personalissimo terreno della resa sbracata. Torna il duo Jannacci/Bisio con una divertente Tintarella di luna e un’ottima Il pelo/Il mercato dove gli stessi componenti della band forniscono il loro apporto nel gioco recitativo a cerchi continui. E’ quindi il turno di una Emma meno incisiva che nel tributo con una La libertà in cui eccede nell’alternanza tra Nannini e tipici smottamenti vocali fuori giri, mentre Jacchetti imperversa malamente in una Le elezioni polverizzata dalla tiepida forza scenico/vocale dell’onnipresente showman.
Ci benedicono vivaddio una Rossana Casale che sembra letteralmente immedesimarsi nella sofferenza del tardo Gaber con una versione scoscesa e ferita di Quando sarò capace d’amare e il vecchio adorabile filibustiere Vecchioni ad addobbare con il suo inconfondibile piglio metropolitano La ballata del Cerutti. Si riscatta parzialmente un Paolo Rossi nel duetto (con il proprio cognato?) de La strana famiglia mentre la buona voce di Neri Marcorè non riesce a scalare l’ironia frammista a drammaticità de La paura mostrandosi altro verso dignitoso ma senza l’implacabile realismo onirico sotteso al qui e ora de L’illogica allegria.
Una lezione a tutti nessuno escluso viene dalla potenza lirico-evocativa della Patti Smith che dirotta il Gaber diIo come persona (I as a person) nel suo mondo di lucide discese e risalite, tra recessi e voli sul filo del rasoio, ebbrezza del cuore e sogno americano lacerato a mezza via. Fazio scade nella tappezzeria che non fa che esaltare l’epifania di grandezza della poetessa. Manca come aria pura la grandissima Syria di Se io sapessiper quanto Arisa si confermi brava e diligente come interprete di Non insegnate ai bambini.
Ed è proprio ai bravissimi bambini del medley Com’è bella la città / Goganga / Barbera e champagne che viene affidata la sigla finale di uno show un po’ sfilacciato tra (pochi) grandi picchi e buone intenzioni non benedette dal fuoco di un talento che possa veramente smuovere i cuori e le inveterate sicurezze di dotti medici e sapienti della cultura dissimulata in sedicesimi. Pillole di cultura, forse in formato gigante ma con la tipica consistenza passeggera della compressa effervescente.