È notizia di qualche giorno fa l’operazione di infiltraggio telematico ai danni della Climatic Research Unit (CRU), presso l’università East Anglia (UEA). Diverse centinaia di megabite, fra mail e algoritmi usati per le ricostruzioni storiche delle temperature del nostro pianeta, sono state immesse nella rete e poste sotto la lente di ingrandimento dell’opinione pubblica. Il problema è scottante, perché rivela come la scienza del clima si muova e come quindi influenza le azioni politiche di cui il prossimo convegno di Copenhagen ne è il più chiaro risvolto.
Essendo del settore, ma soprattutto essendo un appassionato di meteorologia e clima, ho l’abitudine di dare uno sguardo a blog e forum dove si discute in materia, e cosa scopro? Scopro che, come d’abitudine, coloro che sostengono l’Antropogenic Global warming (AGW) minimizzano l’accaduto, affermando che nelle mail non è contenuto nulla di compromettente. Vado poi dall’altra parte della barricata, e trovo che gli “scettici”, coloro cioè che pensano al riscaldamento terrestre come causa della variabilità naturale, hanno trovato la prova inconfutabile per negare il GW di origine antropica. Quindi, mi domando, chi ha ragione? Cosa trapela da questi files? E soprattutto, che giudizio si può trarre da tutta la vicenda?
Il problema è essenzialmente di due ordini, uno prettamente scientifico, l’altro etico. L’IPCC (Intergovernal Panel for Climate Chage – una commissione composta da migliaia di scienziati dell’atmosfera che dagli anni ’90 studia il clima e i suoi cambiamenti, suggerendo alla politica le scelte da adottare per ridurre il riscaldamento in atto) ha da tempo rimarcato il fatto che l’uomo è il maggior responsabile dell’aumento delle temperature globali. La causa è l’immissione in atmosfera di quantità così pesanti di CO2 che la natura non riesce più ad assorbirne come invece faceva in periodo pre-industriale. La CO2 filtra i raggi solari, ma intrappola le radiazioni riemesse dalla superficie terrestre (terre, oceani, ghiacci), muovendo l’equilibrio termico verso temperature più alte. Per cui, ad aumento di CO2, corrisponde un aumento termico. Uno dei punti cruciali, quindi, è dimostrare che in passato tale aumento non si è mai verificato così intenso e così veloce, e questo è infatti uno dei cardini su cui poggia la teoria dell’AGW.
Ecco il perché dell’importanza delle ricostruzioni con dati proxy, come i carotaggi in Antartico, e i famigerati tree ring, che si basano sulla misurazione degli anelli di accrescimento degli alberi. Da qui seguono per tutti gli anni ’90 e gli anni 2000 diverse ricostruzioni che indicano come il riscaldamento attuale sia non paragonabile a precedenti rialzi termici, come il famoso optimum medievale, fino ad allora considerato decisamente più caldo dei nostri giorni. Dove sta l’inghippo, quindi? Ad una lettura delle e-mail e dei dati, appare che la correlazione fra densità degli anelli e trend delle temperature non regge per le decadi più recenti (dagli anni ’60 in poi). I primi indicano un trend di forte diminuzione, mentre le seconde dicono il contrario. È infatti evidente l’indiscutibile aumento termico cui la nostra atmosfera è soggetta, fin dai primi anni del XX secolo. La questione è ormai ben nota, e viene definita come “problema della divergenza”. Il punto è che, come poi verrà ammesso in studi successivi, se i tree ring non sono affidabili nel tempo recente, potrebbero non esserlo nel passato. Ma al momento sembrava troppo scomodo l’ammettere un’incongruenza che sarebbe andata a danno della grande tesi. Per cui si decise di omettere i dati post anni ’60, sostituendoli con i rilevamenti termometrici e passando il trucco sotto silenzio.
Di per sé, questa scoperta non può essere addotta (come molti scettici dell’AGW tenderebbero a fare) per negare un possibile e determinante ruolo umano nel riscaldamento globale. Vi sono non solo altri proxy che rilevano un intenso GW se paragonato ai secoli scorsi, ma vi è anche tutto l’aspetto legato alle previsioni dei modelli a scala globale (GCM), che danno risultati consistenti sul peso dell’azione umana nel processo di riscaldamento. Tuttavia, a mio avviso, il problema rimane tutt’ora parzialmente irrisolto, perché nessuna di queste ipotesi può essere portata come certezza inoppugnabile a dimostrazione dell’AGW.
Altri proxy, come i tree ring, potrebbero essere trovati in futuro inadeguati. Senza contare che lo sforzo modellistico (GCM), su cui peraltro si stanno concentrando le massime energie della scienza del clima a livello mondiale, per quanto intenso, è ancora lacunoso e non può essere usato come teorema inconfutabile. L’atmosfera è un sistema molto complesso e caotico e prevederne il comportamento, seppur in modo generale, è ancora una sfida attuale e apertissima.
Il punto semmai è un altro, e riguarda l’aspetto etico. Come si evince da altre e-mail oggetto dell’attacco hacker, vi è un diffuso senso di sprezzo per chi non si allinea al pensiero dominante (fino a felicitarsi per la morte di un collega), vi è il tentativo, o quantomeno il desiderio, di far respingere le pubblicazioni su journal peer review di chi ha una teoria diversa sul GW (e sappiamo bene che uno scienziato che non pubblica non ha la minima speranza di far carriera). E questo spirito, suppongo, è lo stesso che muove a nascondere dati che non tornano o a plasmare il reale secondo la propria idea. Così è doveroso domandarsi, questa è scienza? Io non ho teorie inconfutabili per rispondere all’annosa questione sul riscaldamento globale, anche se un’idea me la sono fatta. Però sono appassionato di quello che studio e so distinguere fra cosa è scienza e cosa non lo è. La regola è unica. La realtà è oggettiva e uno scienziato dovrebbe farsi determinare da essa. Non l’opposto.