Il Meeting di Rimini è sempre stato ricco di appuntamenti scientifici di primissimo piano: dalle mostre, agli incontri con premi Nobel, alle tavole rotonde sui temi di grande attualità. Quest’anno il calendario è, se possibile, ancor più ampio e articolato, con ospiti internazionali e una serie di argomenti di richiamo, tutti poco o tanto raccordati col tema centrale della manifestazione: “La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito”. Un programma concepito, come ormai consuetudine, in collaborazione con l’Associazione Euresis. Ne abbiamo parlato con Marco Bersanelli, professore di astrofisica all’Università degli Studi di Milano e Presidente del Comitato Scientifico di Euresis, che sarà chairman della maggior parte di questi appuntamenti.
Il tema di questo Meeting di Rimini ci proietta di slancio oltre i confini della nostra esistenza planetaria e uno degli incontri sarà proprio con un uomo come Paolo Nespoli, che il nostro Pianeta ha potuto osservarlo a lungo dall’alto mentre orbitava sulla Stazione Spaziale Internazionale. Cosa si aspetta da questo incontro?
La parola “infinito” facilmente richiama la vastità dell’universo, e fin dall’antichità l’uomo ha vagheggiato di poter volare negli spazi del cielo. Oggi è diventato normale prendere un aereo e spostarsi da una parte all’altra del pianeta, ma è un’esperienza del tutto eccezionale quella di uscire dall’atmosfera e allontanarsi abbastanza da vedere la Terra dallo spazio. È quello che fanno gli astronauti come Paolo Nespoli, che sarà ospite quest’anno al Meeting, testimone di un punto di vista più unico che raro, riservato a pochissimi esseri umani. Ci racconterà in prima persona come vivere in assenza di gravità costringe a tornare bambini, a re-imparare tutto, a non dare per scontato nulla, neanche afferrare un oggetto o spostarsi di un metro… La vista del nostro pianeta dallo spazio è di una bellezza struggente; e mostra tutta l’imponenza e al tempo stesso la fragilità del nostro mondo terrestre. Avremo quindi l’occasione di incontrare un testimone diretto di questa esperienza eccezionale.
Un’esperienza che ci spalanca verso l’esplorazione dell’universo, che sembra sempre più alla nostra portata…
Non proprio: a ben vedere anche questo punto di vista così vertiginoso non è che un piccolo passo, anzi infinitesimo, rispetto alla scala cosmica. Uscire dall’atmosfera, esplorare i dintorni della Terra è un passo gigantesco per l’ingegno e il coraggio umano, ma è nulla di fronte all’universo. È come un bimbo piccolo che per la prima volta esce dalla propria culla e là fuori c’è il mondo intero sterminato e sconosciuto.
Dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo. Il recente annuncio dei fisici del Cern di Ginevra della scoperta del bosone di Higgs non poteva restare senza eco qui a Rimini, dove, l’ultima mattina, potremo ascoltare due italiani, Sergio Bertolucci e Lucio Rossi, protagonisti di punta dell’impresa. Perché avete chiamato questo incontro “il mistero della materia”?
Perché ogni scoperta, come diceva il grande fisico Richard Feynman, apre a “un più insondabile e meraviglioso mistero”. Questa in particolare, ha portato alla ribalta una delle domande più antiche della filosofia, riformulata poi anche nel linguaggio della fisica: “di che cosa è fatta la materia?” E bisogna dire che l’immagine di “materia” che emerge dalla fisica moderna è tutt’altro che scontata.
E cioè?
Noi abbiamo una percezione degli oggetti materiali (una montagna, un tavolo, o questo bicchiere d’acqua) come di qualcosa di “pieno”, qualcosa la cui stoffa è alquanto solida, compatta, autoconsistente. Ma già dal secolo scorso i risultati della fisica hanno incominciato a sorprenderci. Nel 1911 Rutherford dimostrò che la materia è sostanzialmente vuota: se potessimo comprimere il Monte Bianco eliminando tutto il vuoto che c’è al suo interno diventerebbe grande come una moneta. Non solo, nei decenni successivi i padri della meccanica quantistica mostrarono che ogni singola particella materiale non è localizzabile in modo assoluto, ma è associata un’onda che la rende in un certo senso “imprendibile”.
Oggi la scoperta del bosone di Higgs, che Bertolucci e Rossi racconteranno, ci ha portato a rispondere a una domanda ulteriore: Che cosa conferisce a ogni particelle la sua massa? Che cosa dà alla materia quella proprietà basilare che ce ne fa percepire il peso, o la resistenza a un impulso? Perché certe particelle sono più massicce di altre? I risultati degli esperimenti col grande acceleratore LHC del Cern confermano un risultato che i fisici delle particelle, e in particolare Peter Higgs, avevano ipotizzato da decenni: esiste un una particella, appunto il bosone di Higgs, che interagendo con tutte le altre dà loro la massa che le caratterizza.
Un po’ difficile da immaginare…
Secondo la logica della meccanica quantistica possiamo pensare al bosone di Higgs come a una particella, ma possiamo anche immaginarlo come un “campo” diffuso nello spazio, una specie di mare nel quale nuotano tutte le altre particelle (elettroni, quark, fotoni, il bosone W ecc.). Nuotando nel “campo di Higgs” ogni particella subisce una certa resistenza, una specie di attrito che ne rallenta la corsa, le “appesantisce”: è proprio questa interazione che conferisce ad ogni particella la sua massa. Quindi è grazie al bosone di Higgs che le particelle che formano il Monte Bianco, e anche quelle che formano il nostro corpo in questo istante, assumono la loro consistenza.
Che pensiero ispira?
Trovo affascinante questa idea: la massa delle particelle sussiste per una interazione che si stabilisce tra ciascuna di esse e qualcosa di esterno in cui ogni particella è immersa. Anche la proprietà che sembra più intrinseca agli oggetti “concreti” intorno a noi, la loro materialità, consiste alla radice di un rapporto con qualcosa di esterno. La sostanza materiale di un corpo non è autodeterminata dalle particelle che compongono il copro stesso, ma esiste come relazione.
Ma c’è un altro asse d’infinito che la scienza indaga: l’infinitamente complesso. Quindi il mondo degli organismo viventi e in particolare dell’uomo. A questo tema è dedicata la tavola rotonda con Michele Di Francesco, Giancarlo Cesana e Andrea Moro; come pure la presentazione dell’ultimo libro di mons. Fiorenzo Facchini. E poi l’incontro con il celebre paleo-antropologo Ian Tattersall e il teologo William Carroll, che discuteranno di “evoluzione biologica e natura dell’essere umano”. Perché due figure di discipline così diverse?
Per aiutare a chiarire una questione di metodo. Noi possiamo parlare di “origine” a diversi livelli, e bisogna stare bene attenti a non confondere l’oggetto delle nostre domande e quindi il metodo coi cui tentare delle risposte. Questo è ancora più importante quando si tratta dell’essere umano. Se uno mi chiede “qual è la tua origine?”, posso rispondere che sono nato a Milano da mio padre e mia madre; posso rispondere che la mia struttura fisica proviene da una lunga e straordinaria storia evolutiva e, prima ancora, cosmica; posso rispondere che ultimamente il mio io ha origine in un infinito, in Dio, e che nessun antecedente fisico o biologico può definire completamente il mio io. La verità della terza risposta non impedisce che possano essere vere anche le prime due. Viceversa, le prime due non negano la terza, anzi la arricchiscono.
Sembra però ancora diffusa una mentalità scientista per la quale solo la scienza è in grado di fornire risposte valide a domande del genere …
È vero. Anche se oggi un numero crescente di studiosi, specialmente quelli e provengono dagli ambienti più avanzati e culturalmente aperti, riconoscono che occorre guardare a diverse discipline per affrontare adeguatamente certe tematiche fondamentali. Ma talvolta anche una certa idea di “interdisciplinarietà” è essa stessa un concetto piuttosto vago e astratto, soprattutto incapace di una reale sintesi.
Allora, come si può andare avanti?
A me sembra che sia fondamentale la posizione umana della persona, e tra le persone, perché il dialogo sia reale e capace di sintesi. Occorre prendere sul serio l’esperienza che noi facciamo delle cose di cui parliamo per potersi intendere e per comunicare veramente quello che cerchiamo insieme di capire. Occorre che la comunicazione abbia una dimensione di testimonianza. In questo senso il Meeting è una vera scuola. E in questa direzione è anche il tentativo che faremo anche quest’anno con il VI Symposium Internazionale di San Marino, promosso da Euresis, CEUR e Meeting di Rimini, in cui lavoreremo con una decina di studiosi a livello internazionale di diverse discipline sul tema “Biological evolution and the nature of human beings”.
Infine, proprio la domanda sull’uomo ci porta alla mostra curata da Euresis che affronta il tema “genetica e natura umana” e lo fa attraverso gli occhi di un testimone come Jérôme Lejeune. Perché questa scelta?
Lejeune è un esempio straordinario di un uomo la cui fede ha determinato un’intelligenza della realtà che sarebbe stata altrimenti impossibile. In lui la passione scientifica è inscindibile dalla sua visione della natura umana, secondo cui ogni singola persona ha un valore infinito. Per questo non abbiamo voluto parlare di Lejeune come di uno scienziato del passato, ma come di un testimone forte e credibile per il nostro presente; una figura capace di gettar luce sui criteri con cui affrontare i grandi interrogativi che la genetica contemporanea ha aperto.
(a cura di Mario Gargantini)