È passato poco più di un secolo dall’esordio dell’arma aerea nei teatri di guerra di tutto il mondo. Toccò proprio all’Italia esserne protagonista in Libia, impegnando, per la prima volta nella storia, un pugno di trabiccoli di legno per l’osservazione e il bombardamento delle postazioni nemiche. Parte da qui l’avvincente panoramica realizzata da Mirko Molteni per conto della casa editrice Odoya con il suo nuovo libro Un secolo di battaglie aeree. L’aviazione militare nel Novecento (600 pagine, 28 euro), che viene ad aggiungersi al suo precedente lavoro dedicato all’aviazione italiana nella seconda guerra mondiale (L’aviazione italiana 1940-45, Odoya, Bologna, 2012).
Come scrive, nella prefazione, il professor Massimo Ferrari, membro della Società italiana di storia militare e docente di storia contemporanea alla Cattolica, «la campagna di Libia si inserisce a pieno titolo nel filone di ricerche dedicate al primo centenario del volo in Italia. Dopo i circuiti aerei e le esibizioni pionieristiche, l’aeroplano trovò un suo primo, concreto impiego sui campi di battaglia in un evento, come la guerra italo-turca, sicuramente complesso e ricco di incognite. I buoni esiti di quell’esordio fecero da prologo alle decisioni di molti stati maggiori esteri, ormai sicuri che in futuro la dimensione aerea sarebbe stata il nuovo teatro operativo in cui si sarebbero affrontate le potenze antagoniste che ormai si agitavano sullo sfondo delle crisi europee».
Dalla Libia alla Grande Guerra il passo è breve. E qui la scrupolosa ricostruzione storica di Molteni si arricchisce di una sorta di aura da romanzo, inevitabile quanso si raccontano la vita e le prodezze di giganti della storia dell’aviazione come Francesco Baracca e Silvio Scaroni, non meno eroici del loro più celebre avversario Manfred von Richthofen, «il barone rosso», caduto nel 1918, a pochi giorni dal termine del conflitto, dopo aver raccolto bel 81 vittorie. Non poteva ovviamente mancare, in un libro completo come questo, il capitolo che ha per titolo «Il poeta su Vienna» e racconta, in perfetto stile giornalistico, la memorabile impresa di Gabriele D’Annunzio.
Ma fu la guerra di Spagna a far comprendere che si poteva contare sullo scacchiere bellico internazionale anche soltanto con l’aviazione, ossia lasciando in caserma le fanterie e nei porti i marinai. Fu il caso della Germania e dell’Inghilterra che intervennero nella guerra civile (divenuta rapidamente uno scontro internazionale prologo della seconda guerra mondiale) soltanto con formazioni aeronautiche. Quelle tedesche lasciarono il segno con l’operazione Guernica, molto discussa e tutt’oggi non ancora ben chiara, benché divenuta celebre grazie al dipinto (anch’esso discusso) di Pablo Picasso. Una pagina di eroismo fu scritta, durante quella guerra, dall’italiano Ettore Muti, nome di battaglia Gim Valeri, celebrato dagli inviati di guerra, per il suo indubbio fascino, «Gim dagli occhi verdi». E anche questa è una pagina tutta da leggere.
Per arrivare finalmente alla seconda guerra mondiale, che vedrà – sia pure tra torrenti di sangue – affermarsi il primato dell’arma aerea su tutte le altre forme militari. A partire dalla battaglia d’Inghilterra, persa dai tedeschi perché gli inglesi avevano capito, prima di tutti, che l’aviazione militare – per usare un’espressione di Gianandrea Gaiani − «si era trasformata da fragile comparsa a regina indiscussa dei campi di battaglia». Non per nulla, già a metà guerra il titolo di «regine del mare» passò dalle corazzate alle portaerei e la contraerea divenne la componente più importante dell’artiglieria.
Ovviamente, il lavoro di Molteni non nasconde nulla degli spaventosi massacri portati a termine dalle forze aeree. Le Fortezze Volanti americane distrussero in parte l’Italia, quasi totalmente la Germania e furono infine portatrici di morte a Hiroshima e Nagasaki.
In alcune delle straordinarie fotografie che illustrano il libro di Molteni si capisce al volo la spaventosa forza dell’aviazione. Una marea di resti umani carbonizzati sono – per esempio – il pauroso effetto delle «Feuersturme», le tempeste di fuoco scatenate sulle città tedesche dai radi terroristici inglesi. Per citare un esempio, solo ad Amburgo, la notte tra il 26 e il 27 luglio 1943, morirono carbonizzati quasi 50mila civili tedeschi, tra uomini, donne e bambini. Le bombe incendiarie consumarono infatti tutto l’ossigeno sulla città, attirando violentemente altra aria dalla periferia, con un vento da 250 km/h che risucchiava le persone nella fornace. Non va comunque taciuto – e Molteni non lo tace davvero – il prezzo pagato dai piloti stragisti. Un esempio per tutti: il 1° agosto 1943 i B24 americani attaccarono le raffinerie e i pozzi di petrolio di Plojesti, da dove proveniva un terzo del fabbisogno tedesco di carburanti. Dello stormo di 177 «Liberator» decollati da Bengasi, in Libia, ne andarono distrutti 45, con la maggior parte degli altri crivellati e danneggiati. 31 gli aviatori morti.
Tre intensi capitoli sono dedicati alla guerra nel Vietnam, dove però l’aviazione non fu risolutiva, perché il territorio era dominato da milizie irregolari, e dunque difficilmente inquadrabili nelle tattiche di guerra. Molteni conclude la sua panoramica con la descrizione del conflitto anglo-argentino delle Falkland e da della Guerra del Golfo. A conclusione, riportiamo un condivisibile giudizio di Molteni, contenuto nel suo prologo: «Proprio per il suo essere concentrata in appena un secolo, la storia dell’aviazione mantiene intatto il suo fascino misterioso. L’irrompere delle macchine volanti nel reame antico del guerriero ha mutato gli aspetti materiali degli scontri, moltiplicandone la distruttività a livelli mai visti. La guerra aerea ha offerto ai combattenti del Novecento nuovi territori su cui far spaziare quelle che sono venature eterne dell’animo umano. Ecco perché, come già il mio precedente lavoro, anche quest’opera cerca di raccontare drammatiche avventure equilibrando la trattazione tecnico-militare con l’attenzione per le testimonianze personali dei protagonisti».