“La creazione non è un evento ma è un rapporto”: è un’idea molto efficace che aiuta a fare chiarezza su un dibattito che quasi sempre è condotto in modalità riduttiva, sia che si voglia esaltare le potenzialità della scienza, sia che si voglia far intervenire Dio ad ogni passo dell’evoluzione dell’universo. L’espressione citata è di William Carrol ed è stata una delle chiavi di lettura del suo contributo al Meeting di Rimini, dove è intervenuto mercoledì scorso insieme all’antropologo Ian Tattersal; ma anche dei suoi interventi al “San Marino Symposium – Biological Evolution and the Nature of Human Beings”, organizzato nei tre giorni successivi dall’Associazione Euresis in collaborazione con lo stesso Meeting, con la Fondazione Ceur e con la Repubblica di San Marino.
Carrol, docente per oltre 30 anni di storia della cultura al Cornell College, è ora professore di Scienza e Religione presso l’Università di Oxford. I suoi studi approfonditi sui temi tipici del rapporto tra scienza e religione sono imperniati sul pensiero di San Tommaso D’Aquino, che Carrol considera particolarmente adeguato per un serio discorso sulla scienza.
La sua riflessione prende spunto da alcune delle posizioni ancora dominanti nel mondo scientifico per le quali «sia che parliamo di spiegazioni del Big Bang stesso (come l’effetto tunnel a partire dal nulla), o di qualche versione dell’ipotesi del multi verso, o dei principi di auto-organizzazione nel mutamento biologico (tra cui gli appelli al caso), la conclusione che a molti sembra inevitabile è che non ci sia bisogno di fare ricorso all’idea di un creatore, ossia di una qualsiasi causa esterna all’ordine naturale: le scienze naturali e in particolare la biologia ci dicono tutto ciò che dobbiamo sapere sulla natura dell’essere umano». Sembrerebbe quindi che le scienze moderne possano sfidare i tradizionali concetti filosofici e teologici di natura, di natura umana e di Dio. Secondo Carrol – e non solo secondo lui – queste presunte sfide non sono altro che l’esito di grande confusione: non considerano infatti la fondamentale distinzione di piani e la differenza sostanziale tra le spiegazioni di tipo biologico e quelle filosofiche.
All’interno di questa distinzione, il punto cruciale della riflessione di Carrol è la ulteriore distinzione tra mutamento e creazione; distinzione per la quale siamo debitori proprio a Tommaso e ai suoi contributi alla discussione medievale sulla creazione e la scienza. Il punto centrale dell’analisi dell’Aquinate è la distinzione tra l’atto di creare e il mutamento: «le scienze naturali hanno come loro oggetto il mondo delle cose che mutano: dalle particelle subatomiche, alle ghiande, fino alle galassie. Ogniqualvolta c’è un mutamento ci deve quindi essere “qualcosa” che muta. Gli antichi avevano ragione: dal nulla non deriva nulla se s’intende il verbo “derivare” come indicante un mutamento. Tutti i mutamenti richiedono, quindi, una realtà materiale sottostante». Al contrario, creare significa essere la causa radicale di tutta la realtà, di qualsiasi cosa esista; significa portare qualcosa ad esistere e tutte le cose dipendono da Dio per quanto concerne la loro esistenza. «La creazione, quindi, non è esclusivamente e neppure primariamente un evento distante; l’atto creatore di Dio consiste, invece, nel continuo, completo causare l’esistenza di ogni cosa che esiste».
È interessante ed efficace l’osservazione di Tommaso, ripresa da Carrol già qualche anno fa su Revue des Questions Scientifiques, secondo la quale la relazione che sussiste tra una casa e il suo costruttore è molto diversa da quella tra la creatura e il Creatore. Infatti, «una volta che la generazione della casa è completata, la casa cessa di avere ogni relazione di dipendenza dal suo costruttore, il costruttore può morire e la casa continuerà in ogni modo ad esistere. Il caso delle creature in quanto tali è, invece, piuttosto diverso. La causalità del creatore deve essere continua e dello stesso tipo durante tutto il periodo dell’esistenza della creatura. Secondo Tommaso, infatti, tutte le cose cadrebbero nel non essere se l’onnipotenza di Dio non le supportasse».
Non c’è quindi nessun conflitto tra la dottrina della creazione e le teorie scientifiche: infatti, le teorie delle scienze naturali si occupano del mutamento, non della creazione; non parlano del perché esista qualcosa piuttosto che il nulla: quindi «nessuna scoperta biologica può negare il fatto che gli esseri umani siano creati». Lo stesso tipo di errore di prospettiva, con argomenti diametralmente opposti, è quello degli anti darwinisti sostenitori del cosiddetto Intelligent Design (ID). Biochimici anche quotati come Michael Behe, assumono l’argomento della “irriducibile complessità” degli esseri viventi per dedurne l’esigenza di un intervento diretto di Dio a colmare le lacune. Con ciò non fanno che ripetere l’errore di quei cosmologi che, dall’impossibilità di spiegare il Big Bang deducono l’evidenza di un Creatore. Ma il Creatore di Behe – sostiene Carrol – non è il Creatore descritto da San Tommaso. «Se riconosciamo valore alle scienze naturali, allora dovremo considerare quelle lacune come difficoltà epistemologiche da superare. Se la natura è intellegibile in termini di cause che si possono scoprire, non possiamo pensare che i cambiamenti nella natura richiedano una speciale azione divina. Il “dio” che agisce come “dio delle lacune” è certamente molto più potente di qualsiasi altro agente naturale, ma non è il Dio del Cristianesimo, dell’Islam e del Giudaismo. Un tale dio può facilmente diventare un dio che scompare non appena la nostra conoscenza della natura chiude quelle lacune».
Resta la delicata questione di quella caratteristica distintiva dell’uomo che è l’anima. Anche qui basterebbe dire che «la scoperta dell’esistenza dell’anima umana cade nel dominio della filosofia della natura, non in quello delle scienze empiriche». E si potrebbe aggiungere, sottilmente, che se le scienze naturali sono competenti per spiegare i cambiamenti che avvengono in natura, non tutto quanto riguarda la natura può essere spiegato in termini di processi materiali: «ad esempio, che ogni cosa sia creata e che dipenda da Dio come causa della sua esistenza, è una verità circa la natura ma non può essere spiegata con la causalità materiale». A partire da queste chiarificazioni, diventa più comprensibile l’argomentazione di Tommaso circa l’esistenza dell’anima dell’uomo e della distinzione ontologica tra l’uomo e il resto della natura: l’anima, dato che la sua funzione propria è diversa da quella di qualunque altro organo corporeo, deve essere immateriale e oggetto di una speciale creazione da parte di Dio.