Ogni volta che viene scoperto e rivelato qualche nuovo particolare di Ötzi, venuto dal ghiaccio trovato sui monti dell’Alto Adige nel settembre 1991, si diffonde sempre grande interesse ed emozione. è stato così anche nei giorni scorsi, quando i ricercatore dell’Istituto per le Mummie e l’Iceman dell’EURAC hanno pubblicato sul Journal of Cultural Heritage i risultati degli ultimi studi sui nuovi tatuaggi scoperti sul corpo dell’uomo preistorico mummificato. È un’emozione particolare, derivante dal fascino che sempre suscita ogni rivelazione sui nostri antenati e che si collega al desiderio che una maggior conoscenza del modo di vivere degli uomini preistorici non solo possa farci capire chi erano ma possa in qualche misura aiutarci a capire meglio chi siamo noi.
Così si giustifica l’analisi dettagliata di ogni particolare della mummia altoatesina e l’impiego di tecniche avanzate per non lasciarsi sfuggire neppure il più piccolo particolare; come ha spiegato a ilsussidiario.net Marco Samadelli, uno degli autori delle nuove scoperte: «In collaborazione con uno studio di Roma, abbiamo modificato una tradizionale macchina fotografica Reflex e l’abbiamo resa sensibile praticamente a tutta la gamma delle lunghezze d’onda che vanno da 400 a 1000 nanometri, vale a dire dagli infrarossi agli ultarvioletti passando per la luce visibile; quindi siamo andati oltre i limiti di quello che può vedere l’occhio umano».
Qual è il vantaggio di questa estensione di frequenze? È che permettono agli scienziati di andare più in profondità nelle loro osservazioni come quelle su un corpo mummificato: gli ultravioletti danno la possibilità di vedere nei primi strati della pelle, mentre gli infrarossi penetrano ulteriormente e consentono di osservare ancor più in profondità. «Questa è stata la tecnica che abbiamo pensato di utilizzare; ed è la prima volta che viene impiegata per questo scopo. In genere queste tecniche multispettrali vengono utilizzate, da pochi anni, per le opere di restauro dei dipinti e per varie analisi sulle opere d’arte. Ed è una tecnica di tipo non invasivo, perché sono tutte radiazioni non ionizzanti, che permettono semplicemente di ottenere delle fotografie che poi vengono elaborate con i nostri software per rendere ben evidenti i tratti lasciati dai tatuaggi nella pelle».
I tatuaggi dell’Iceman erano stati notati fin dal giorno del suo ritrovamento e sono tra i più antichi al mondo presenti su un corpo mummificato; da allora sono stati svolti diversi studi per cercare di identificarli e di contarli. Ora la ricognizione può considerarsi completata: i tatuaggi rinvenuti sul corpo di Ötzi sono 61, sono linee lunghe dai 7 millimetri ai 4 centimetri, nella maggior parte dei casi disposte parallelamente in gruppi di due, tre o quattro linee; tra questi anche due croci.
La questione interessante che si pone ora è capire il perché dei tatuaggi: se avevano una valenza terapeutica, come nella maggior parte dei casi si è ritenuto, oppure si potessero esservi anche significati simbolici o religiosi. «Noi come tecnici siamo riusciti a identificare i tatuaggi, a mapparli in modo accurato e a fotografarli in modo efficace. Per quanto riguarda l’interpretazione, toccherà poi agli antropologi associarli agli usi e costumi delle popolazioni dell’epoca e del luogo. Il nostro lavoro ha comunque riaperto la discussione: abbiamo trovato infatti un nuovo gruppo di tatuaggi sul torace, nella parte frontale, con un tatuaggio a destra in basso, in una posizione insolita rispetto agli altri tatuaggi collocati soprattutto sugli arti inferiori, nella zona compresa tra il ginocchio e il piede».
Perché questo riapre il dibattito delle interpretazioni? Finora si era pensato che i tatuaggi nelle parti inferiori delle gambe fossero una sorta di trattamento terapeutico, quasi una agopuntura, per alleviare il dolore alle articolazioni. «Il fatto di averne trovati sul torace riporta alla ribalta l’interpretazione che vede nei tatuaggi un significato simbolico – religioso».
In queste valutazioni gli antropologi potranno avvalersi anche dei confronti con altri casi analoghi, anche se non sono molti e in genere sono più recenti rispetto a Ötzi che, ricordiamo, è vissuto fra il 3350 e il 3100 a.C. «Ci sono tuttavia anche esempi di mummie sudamericane tatuate più antiche. Quindi saranno possibili ampi confronti e ci aspettiamo di avere presto nuove ipotesi interpretative».
Ora questa parte dell’indagine può ritenersi conclusa; ha occupato quasi due anni e non senza difficoltà: «anche perché quando siamo partiti non eravamo affatto certi di poter trovare qualcosa di nuovo. E non nascondo la soddisfazione per aver scoperto questo nuovo gruppo di tatuaggi e tanti piccoli altri».