La tornata elettorale è ormai alle spalle e di governi possibili (per ora) nemmeno l’ombra. Le urne hanno scodellato in grembo al parlamento un rebus che metterà alla prova il pensiero politico di Mattarella, nel senso che il pensiero non è solo una presa d’atto della realtà — la famosa contemplazione su cui si è adagiata la filosofia greca —, ma una comprensione di essa che avviene attraverso la sua trasformazione. Pensare la realtà significa trasformarla.
Sulla riservatezza di Mattarella non serve spendere parole, difficilmente verremo a sapere qualcosa dei suoi sogni o dei suoi incubi di questo periodo. Eppure potrebbero avere un certo rilievo, non solo per la parentela tra rebus e sogno già sottolineata da Freud a suo tempo, ma anche perché i primi sogni interpretati in chiave razionale e non magica sono stati i sogni (preoccupati) di un politico, assillato “da vacche grasse che diventavano magre”. Si è poi detto (e scritto) che la corretta interpretazione di quel sogno faraonico da parte del Giuseppe biblico, abbia garantito all’Egitto (la superpotenza dell’epoca) un lungo periodo di prosperità.
Alcune persone che mi fanno visita nella mia veste (personal/professionale) di psicoanalista, si stanno svegliando in questi giorni con un’ansia strana, quasi fossero immedesimati in tanti presidenti della Repubblica. Un’ansia che non provavano da tempo e iniziavano a pensare che se ne fosse ormai andata. Invece no. Eccola che lì che bussa di nuovo alla porta di casa, turbando, allarmando, preoccupando.
I mercati dal canto loro non hanno battuto ciglio, e anche chi aveva scommesso allo scoperto sta già ridefinendo i propri piani di investimento. Ma al singolo individuo la calma della finanza, come rassicurazione, non basta. Allora meglio tenersi la melatonina sul comodino per aiutare il sonno e, se non basta, qualche “goccina” da portare con sé anche di giorno (alla bisogna), non si sa mai. Intanto però l’ansia si è svegliata di nuovo e tocca farci i conti. Ed eccoci di nuovo in seduta.
— Ma è proprio sicuro che qualcuno abbia bussato alla sua porta? — domando —. Ha controllato andando ad aprire?
— Ma no, dottore — mi si risponde —. Era una sensazione, ma così veritiera, come dire? Come quando al risveglio si fatica a dipanare il sogno dalla realtà. E poi lei non dice sempre che quando una sensazione è molto intensa è per ciò stesso reale, anche se fatichiamo poi a collegarla con qualche fatto esterno?
— Perché poi esterno? — Replico gentilmente.
— Già. Ma in questa situazione esterna è come se mi rispecchiassi. Forse è per questo che si riattiva l’ansia. D’altronde, ma lei già lo sa, la tengo a bada cercando costantemente rassicurazioni. Mentre adesso fuori c’è il caos.
— Si ricorda che ho usato con lei la metafora del Governo, dicendole che mettersi in analisi sarebbe stato come aprire un intenso periodo di riforme personali, correndo ai ripari prima che le vacche magre l’avessero vinta su quelle grasse?
— Sì, avevo anche pensato che voi psicoanalisti siete gente strana. Poi mi aveva fatto leggere quel testo del dott. Contri: La prima costituzione, dove parlava “dell’individuo umano come amministratore della realtà”. Mi aveva detto che la realtà non è solo quella che sta fuori di noi, ma è fatta dalle spinte, dagli obblighi e dai conflitti che sperimentiamo dentro di noi, che poi si amplificano in rapporto alla realtà esterna, che se non ricordo male è rappresentata dagli altri singoli come me, ma anche dalla società come insieme delle logiche che la governano. Poi mi aveva detto che Lacan chiamava questo insieme “campo freudiano perché Freud ne ha disegnato per primo la mappa”.
— Nient’altro?
— Come nient’altro? Mi stupisco di ricordare tutto questo e lei mi dice nient’altro? Ah sì! C’era quell’altra cosa. Che l’individuo umano è lui il ministro del “campo”, per rimanere nella metafora. È lui a dover amministrare la propria realtà. Né più né meno di come fa un buon governo. Che idiota! Mi aveva parlato anche dell’affresco del Buon governo di Lorenzetti nel municipio d Siena, dicendomi che sarei stato io il primo ministro di me stesso. Che lapsus! Avevo dimenticato tutto. O forse non ci ho mai creduto di dovermi mettere a governare me stesso con la stessa determinazione con cui si governa uno Stato, una città, un paese. Sto rinviando di continuo, con le mie riforme personali sono più indietro del governo italiano. La situazione politica attuale mi rappresenta alla perfezione, anche il mio personale Palazzo Chigi non ha un inquilino: non ho un governo, non ho un programma, non ho ministri a cui affidarlo, sono in balia degli eventi… e per fortuna è arrivata l’ansia a darmi la sveglia…
Fermiamoci qui.