«Futuro e libertà si è impegnato ufficialmente ad approvare la riforma dell’università nel corso della votazione che si terrà martedì alla Camera, in cambio dell’inserimento di due loro richieste nel disegno di legge. Se non lo faranno, si assumeranno la responsabilità di non avere mantenuto la parola data in un momento di forti tensioni e scontri, con il pericolo di disordini di piazza». A rivelarlo, nel corso di un’intervista esclusiva a Ilsussidiario.net, è Paola Frassinetti, onorevole del Pdl e relatrice della riforma dell’università a Montecitorio.
Un disegno di legge al centro di un dibattito rovente, dopo che la maggioranza è stata battuta su quattro emendamenti tra martedì e ieri. Al punto che il ministro della Pubblica istruzione, Mariastella Gelmini, ha dichiarato: «Mi auguro che non accada che vengano votati emendamenti il cui contenuto stravolga il senso della riforma, non sarebbe accettabile. Se così fosse come ministro mi vedrei costretta a ritirarla».
Onorevole Frassinetti, esiste realmente questo rischio?
No, perché c’è un accordo della maggioranza che dovrebbe tenere anche martedì quando è prevista la giornata conclusiva per l’approvazione della riforma alla Camera. Sono ottimista, ritengo che riusciremo ad approvarla, è vero che ci aspettano ancora dei passaggi delicati ma gli emendamenti sono stati tutti concordati.
Come farete a convincere il Fli a votare a favore della riforma?
Futuro e libertà ha già deciso di votare sì dopo un vertice di maggioranza che si è tenuto mercoledì alla Camera. Ho il preciso impegno di Italo Bocchino e di Fabio Granata, in cambio dell’inserimento nel disegno di legge di due punti fortemente richiesti da parte del Fli. Entrambi sono stati trasformati in emendamenti da parte della commissione della Camera, li ho firmati io stessa e adesso fanno parte del testo. Non vedo come il Fli possa cambiare idea nell’arco di tre giorni.
Per lo stesso motivo per cui hanno votato contro ieri…
Non hanno votato contro la riforma dell’università, ma solo a favore di un emendamento ininfluente che riguardava un problema lessicale. Invece di scrivere «nuovi oneri», la commissione Bilancio aveva inserito «maggiori oneri» e su questa cosa Granata ha detto no.
Resta il fatto che Granata ha messo in difficoltà la maggioranza…
Effettivamente purtroppo dal punto di vista dell’impatto comunicativo la maggioranza che va sotto ha il suo risalto. Però la votazione di ieri non ha cambiato minimamente la struttura della riforma.
Allora perché la Gelmini ha detto che potrebbe ritirare il disegno di legge?
La Gelmini ha detto un’altra cosa: se invece che su aspetti ininfluenti, dovesse capitare una votazione come quella di ieri su un emendamento che stravolge il testo, allora il Fli si deve prendere la responsabilità di costringerci a ritirare la riforma dell’università. E’ sostanzialmente una preoccupazione che finora non si è avverata. Lei lo ha detto per far capire che se dovessimo trovarci in una certa situazione, a quel punto non possiamo mantenere un provvedimento per farlo impallinare così. Ma non credo sia lo spirito del Fli, perché altrimenti mercoledì non avrebbe concluso l’accordo.
E quali sono state le richieste del Fli che avete accettato?
La prima è la possibilità di avere delle risorse aggiuntive per consentire lo sblocco degli scatti sullo stipendio dei giovani professori e ricercatori. Derogando quindi al blocco degli scatti che vale in generale per tutti i dipendenti del pubblico impiego. E la seconda è la previsione che nei prossimi tre anni 4.500 ricercatori possano fare il concorso per diventare professori associati. Entrambi i punti erano già inseriti in un mio emendamento, poi la commissione Bilancio li aveva cancellati per mancanza di fondi e ora entrambi sono stati nuovamente inclusi.
E se martedì il Fli dovesse cambiare idea?
Non penso che lo faranno, perché prendersi la responsabilità di affossare un provvedimento così importante sarebbe controproducente innanzitutto per loro. Al limite si possono confrontare le forze della maggioranza su altri argomenti, ma non sull’università. Soprattutto in un momento in cui ci sono tensioni, scontri e il pericolo di disordini di piazza, usare questo argomento per fare delle prove di fiducia o sfiducia al governo non farebbe bene all’università, all’Italia e nemmeno a Futuro e libertà. Ci farebbero veramente una pessima figura.
Come valuterebbe il loro comportamento se non rispettassero l’accordo?
Semplicemente irresponsabile.
E l’atteggiamento di Bersani, che in un primo momento ha appoggiato la riforma e ora sale sui tetti?
Bersani deve rincorrere Vendola, e quindi ha i suoi problemi. Ma è anche vero che su molti emendamenti il Pd ha votato insieme alla maggioranza. Non sta certo portando avanti un’opposizione dura e cruenta nei confronti di questo provvedimento. Alla fine quelle di Bersani sono soprattutto parole, dichiarazioni buone per le manifestazioni di piazza, ma che non trovano riscontro in aula dove invece tiene una posizione molto più moderata.
Davvero riuscirete a mettere fine all’università dei baroni?
Chi protesta lo fa appunto per bloccare questo provvedimento, che dopo 20-30 anni è l’unico a invertire la rotta rispetto alla vecchia università dei tagli, degli sprechi, degli atenei in difetto finanziario, di Parentopoli, delle commissioni truccate. Evidentemente chi difende lo status quo lo fa per difendere l’università dei baroni. E’ una cosa che va da sé.
Come cambierà l’università con l’entrata in vigore della riforma?
I punti innovativi di questo provvedimento sono il cambiamento della governance, il senato accademico con poteri di programmazione, il consiglio di amministrazione con delle funzioni più gestionali. Già questa è una trasformazione importante. Il fatto che i rettori non possano ricandidarsi per due mandati, restando in carica per un solo mandato di sei anni, è una grande innovazione che va contro la logica delle baronie. Tra le novità ci sono anche la possibilità delle università di federarsi tra di loro, l’istituzione di un fondo per il merito per sostenere gli studenti migliori, un nuovo reclutamento per l’abilitazione nazionale, un fondo di premialità per far sì che le università virtuose ottengano le risorse. Ma anche la possibilità per i giovani ricercatori di fare contratti a tempo determinato di tre anni, rinnovabili per altri tre anni, e poi di diventare associati, attraverso concorsi sempre più legati alla meritocrazia.
(Pietro Vernizzi)