Professor Bertagna, la proposta di reintrodurre la figura del cosiddetto “maestro unico” sta facendo molto discutere: come giudica il dibattito che si sta svolgendo su questo tema?
Ci sono due questioni opposte: le critiche da sinistra, per cui si dice che questa proposta sarebbe la fine della scuola pubblica, della qualità, del tempo pieno, e altro. Da destra invece si dice che si ritorna a una sorta di maestro che va nella sua aula alle 8.30 e ne esce alle 12.30, dopo aver regnato sulla sua classe come un monarca di altri tempi. Paradossalmente, sia le critiche da sinistra, sia i compiacimenti da destra contengono un elemento comune che ne è il presupposto implicito: che per pensare al maestro unico nel 2008 ci si debba rifare solo al modello che c’era prima dell’introduzione dell’autonomia nella scuola nel 1989 e nel 2001, e prima della riforma del 2003. Si pensa cioè a una corrispondenza assoluta fra il maestro e la sua classe dal primo giorno di scuola fino alla fine. Invece, con l’autonomia delle istituzioni scolastiche, la classe non è più l’elemento organizzativo unico. Le scuole se vogliono possono benissimo lavorare superando le rigidità della classi e anche prevedere momenti di superamento per livelli e per compiti diversi.
Quindi il punto è che bisogna tenere conto dell’autonomia scolastica?
Se ci mettiamo dal punto di vista che oggi tutta la responsabilità organizzativa e anche di produzione dell’apprendimento è affidata alle organizzazioni scolastiche, credo allora che sia il momento di affrontare questo tema non più immaginando che la storia possa tornare indietro per recuperare il vecchio modo di lavorare, ma invece in un modo diverso e nuovo.
Qual è invece l’importanza dal punto di vista strettamente educativo- pedagogico della figura del maestro unico?
Metterei in evidenza il fatto che la reintroduzione del maestro unico, anche solo per il recupero della parola maestro, metta in luce il bisogno di testimonianza personale ed educativa che manca oggi nella scuola. Si parla giustamente di emergenza educativa, che diventa emergenza di avere figure significative che incidano sulla crescita e sulla formazione delle persone. Questo bisogno di significatività pone il maestro unico in una dimensione tutorale molto importante. Il recupero di questa figura è dunque l’affermazione che occorre una figura che faccia da tutor ai ragazzi con continuità, non solo culturale ma anche educativa e personale, e che garantisca l’unità organizzativa. La classe potrà anche lavorare in gruppi separati con altri docenti; però questi ragazzi sapranno che avranno sempre un punto di riferimento nel maestro.
Guardiamo la cosa dal punto di vista delle famiglie: che novità c’è per loro con questa nuova impostazione?
Non è possibile introdurre questo cambiamento se non c’è la fiducia, la stima e la cooperazione delle famiglie. Nessuna famiglia affida in maniera delegata i propri figli a una persona di cui non ha stima, di cui non ha condiviso il progetto educativo, e di cui non sa che lì non verrà tradita nelle cose che ritiene importanti e utili da dare ai suoi figli, e che la Costituzione e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo affida alla famiglia come responsabilità. Questo per le famiglie responsabili; per i genitori poco responsabili, invece, è un’occasione per far capire che loro non possono con il maestro unico sbarazzarsi di una responsabilità di valutazione e di cooperazione, di fiducia personale e di coinvolgimento con il maestro stesso. È un modo per collegare scuola e famiglia.
Questo implica anche una valorizzazione della libertà di educazione, che forse oggi non è del tutto assicurata alle famiglie.
Certamente: per fare questo occorre anche fare in modo che non rimanga handicappata la scelta fra scuole statali e scuole non statali. Se io non vado d’accordo con il maestro, devo poter rivendicare il diritto di cambiare e di assumermi la responsabilità e la libertà di poter instaurare un colloquio educativo, profondo e testimoniale, con una figura che mi soddisfa. È molto avanzato immaginarlo anche nella scuola statale, però certo anche lì il problema del maestro unico pone la necessità che i dirigenti si interroghino sul fatto di non poter dare un maestro a una classe di cui i genitori hanno espresso profonde e motivate perplessità, con mancanza di fiducia e stima.
Cosa implica questo sul versante della formazione e del reclutamento dei maestri?
Da questo punto di vista noi veniamo da un ventennio in cui tutta la formazione dei maestri si è giocata sullo sbaraccamento della figura del maestro di un tempo, e sulla figura del maestro specializzato, con la sottolineatura delle questioni disciplinaristiche e settoriali, piuttosto che la sottolineatura della dimensione culturale complessiva che deve uniformare in modo interdisciplinare, aperto, alto e colto le varie discipline. Questo si è accompagnato con il disconoscimento dei motivi educativi che intercorrono nel percorso di formazione dei maestri. Così come anche il rapporto di fiducia con le famiglie è stato eliminato dagli elemento formativi dei maestri stessi. Certo, non sarà facile riconvertire persone che hanno una conoscenza troppo settoriale. La legge Moratti dava una grandissima opportunità per la formazione dei maestri, e purtroppo è stata cancellata dalla finanziaria dello scorso anno. Mi auguro che il parlamento approvi una legge sulla formazione dei docenti. Questo poi, come lei ricordava, si ricollega al discorso relativo al reclutamento e alla costruzione di scuole che condividano un progetto unitario educativo, oppure con più progetti educativi anche nella stessa scuola, come indicato dalla legge sull’autonomia.
Un’altra critica che si fa a questo progetto è il fatto di andare a stravolgere la scuola elementare che è l’unica a godere di buoni risultati nei confronti internazionali: cosa ne pensa?
L’impostazione modulare in realtà ha lasciato invariata la qualità della scuola fino alla terza elementare, mentre ha aumentato il problema dell’abbassamento della qualità dopo la terza, che era proprio l’elemento per risolvere il quale il pedagogista Mauro Laeng aveva introdotto la nuova impostazione. Questo cambiamento avrà avuto effetti positivi sull’aumento del tempo scuola, e quindi sulla possibilità per le famiglie di organizzarsi meglio, ma ha invece prodotto effetti ancora peggiori sul problema della diminuzione delle prestazione dei ragazzi dalla IV elementare alla I media. Alla luce di questo bisogna recuperare la proposta fatta dalla Moratti, perché non abbandonò il principio di Laeng della pluralità, ma aveva sostanzialmente detto: siccome il team non funziona bene, facciamo un perno, un docente coordinatore che abbia una responsabilità diretta, e che sia il garante della funzionalità del team. In più questo coordinatore trascorreva 18 ore su 27 nella stessa classe con gli stessi alunni, perché la moltiplicazione delle figure di riferimento creava problemi educativi notevoli. Proposta che però fu seppellita dalle critiche dei sindacati.