Quando si affronta il tema della scuola tutti sono apparentemente concordi nel riconoscere i mali (ma anche possibili rimedi) del nostro sistema formativo: il cambiamento auspicato deve però avvenire senza portare squilibri e, soprattutto, senza modificare sostanzialmente le condizioni gestionali esistenti. Lo hanno imparato a loro spese i due ministri della pubblica istruzione che, nell’ultimo decennio, hanno proposto due progetti di riforma, per molti aspetti diversi e non sempre condivisibili, ambedue però espressione di un’impostazione chiara, presentata e offerta alla discussione, in grado anche di essere integrata dal confronto. Tutti hanno presente gli esiti di questi tentativi, travolti da discussioni e polemiche, rimasti perciò per troppi aspetti incompiuti e quindi incapaci di incidere positivamente, a volte dannosi proprio in ragione dell’incompiutezza dell’intervento. La convinzione dell’impossibilità di perseguire questa strada ha portato il precedente ministro a muoversi con una logica diversa, nota come ‘politica del cacciavite’, attraverso interventi parziali, mirati, immediatamente esecutivi, impiegando i più diversi strumenti normativi (finanziarie, decreti omnibus, regolamenti, circolari, ecc.).
L’attuale ministro pare voler proseguire, forse non solo nel metodo, le orme del suo predecessore e il decreto 1 settembre 2008, n.137 “disposizioni urgenti in materia di istruzione e università” ne è la prova. Tra i molti aspetti che tocca (introduzione dell’educazione civica nella scuola, valutazione della condotta degli studenti del secondo ciclo, reintroduzione di una valutazione numerica nella scuola primaria, regole più stringenti per l’adozione di libri di testo, valore abilitante della laurea in scienza della formazione primaria) particolare scalpore ha suscitato l’art.4 che prevede che “le istituzioni scolastiche costituiscano classi affidate ad un unico insegnante e funzionanti con orario di ventiquattro ore settimanali”.
Il confronto che si sta sviluppando appare però poco attento alle condizioni effettive della scuola, centrato sulla protesta antigovernativa e le sue scelte di bilancio, che certamente hanno un peso nella scelta, ma non ne rappresentano la sola ragione.
Se sul piano scientifico non è possibile dimostrare in modo incontrovertibile il valore di un modello didattico – e quindi del maestro unico o di una pluralità di insegnanti – è però vero che questa scelta trova le sue ragioni nelle condizioni socio-culturali in cui la scuola è chiamata a perseguire i suoi obiettivi formativi e di apprendimento. Due osservazioni sembrano a questo proposito rilevanti: la domanda crescente di risposte educative rivolte alla scuola; la difficoltà della nostra scuola a competere sul piano delle acquisizioni con gli altri paesi industrializzati. La scelta operata appare in grado di offrire alla scuola maggior compattezza sia dal punto di vista del rapporto, in particolare con la famiglia che ritrova un interlocutore, fondamentale soprattutto dove sono molti i frequentanti non italiani, sia dal punto di vista della sintesi che sempre accompagna l’acquisizione di conoscenze e che rappresenta un passaggio ineliminabile verso l’acquisizione delle competenze; l’insegnante unico può meglio accompagnare questo aspetto del percorso di crescita intellettuale del bambino.
Il problema vero, su cui vale la pena di discutere, non sta quindi nel modello didattico astrattamente considerato, ma nelle condizioni e nelle modalità con cui esso verrà attuato.
Due sono i nodi che, a questo proposito, devono essere chiariti.
Il primo riguarda come questa scelta verrà tradotta in concreto. Se questo avverrà con le modalità tradizionali, che affidano al centro le decisioni sugli aspetti attuativi (con circolari, uffici ad hoc, ecc.), essa non produrrà gli effetti sperati, forse neppure sotto il profilo economico; se si imbocca, con decisione e coerenza, la strada dell’autonomia, potrà invece rappresentare una significativa occasione per le scuole. Le norme relative al piano dell’offerta formativa, previste dal decreto n.275/99, sono infatti pienamente sufficienti a guidare queste scelte a condizione che le risorse rese disponibili dal progressivo attuarsi della riforma vengano assegnate, oltre che agli insegnanti, anche ad ogni singola istituzione scolastica, che potrà decidere del loro impiego in relazione alle condizioni effettive in cui è chiamata ad operare.
Il secondo nodo riguarda la formazione degli insegnanti, iniziale e in servizio. Occorre in tempi molto brevi operare un adeguamento del percorso di preparazione degli insegnanti di scuola primaria, attualmente centrato su un baricentro di natura specialistica (didattico-disciplinare) certamente non compatibile con l’introduzione di un maestro unico, anche solo nella forma di insegnante prevalente.
Su tutti questi punti il testo del decreto lascia ampie ed effettive possibilità che non dovranno assolutamente essere accantonate.
Il confronto, soprattutto nella scuola, dovrà accompagnare questo percorso.