La riforma dell’università supera l’esame della Camera e con il voto favorevole di 307 deputati, 252 contrari e 7 astenuti torna ora al Senato – dove non sono però previsti emendamenti – per il sì definitivo. Il più, dunque, è fatto. Il ddl ha avuto i voti favorevoli di Pdl, Lega, Fli, Adc, Mpa e Noi sud-Pid. Contrari Pd, Idv, Udc, Liberal democratici, mentre l’Api si è astenuto. Soddisfazione nelle file della maggioranza, al termine di una seduta nella quale la compagine di governo è stata battuta due volte, la prima su un emendamento di Fli all’articolo 19 del ddl, relativo agli assegni di ricerca, e la seconda su tre emendamenti identici di Fli, Pd e Api che hanno votato la soppressione della cosiddetta “clausola di salvaguardia”, una norma che prevedeva il “controllo” del ministero dell’Istruzione da parte del ministero dell’Economia nel caso di una mancanza di copertura nella spesa prevista.
Questi due inconvenienti non hanno tuttavia impedito alla maggioranza di portare a casa il risultato, proprio mentre nelle maggiori città del paese le proteste degli studenti e dei ricercatori contro la riforma hanno segnato il picco, con cortei, blocchi di strade e ferrovie, e anche con alcune cariche da parte delle forze dell’ordine contro i manifestanti. «Ma ci sono state evidenti strumentalizzazioni» concordano nel dire l’on. Valentina Aprea, del Pdl, presidente della Commissione cultura della Camera, e il sen. Giuseppe Valditara, mente di Fini e del Fli sul tema università. Entrambi commentano con soddisfazione la giornata, che chiude un travaglio durato giorni, nei quali si era temuto perfino il ritiro della riforma da parte del ministro Gelmini.
«A parte qualche emendamento, non sostanziale, che è stato votato da Fli con l’opposizione – dice al sussidiario Valentina Aprea -, direi che il provvedimento è stato discusso e approvato nel modo più positivo possibile, con modifiche che sono state ampiamente condivise. Sono stati respinti, o ritirati in certi casi, alcuni tra gli emendamenti più “pericolosi”, come quelli che proponevano ope legis per la stabilizzazione dei ricercatori, presentati dall’Udc, qualcuno dal Pd e anche da Fli. È stato un bene, perche il sistema non li avrebbe potuti sopportare. Sono soddisfatta del lavoro fatto in commissione, e di quello svolto dal Comitato dei nove, che ha permesso di dare una versione accettabile ad alcune criticità emerse, come quelle relative alle misure anti -parentopoli».
«Ora l’autonomia sarà legata alla responsabilità» le fa eco il sen. Giuseppe Valditara, che proprio al sussidiario, meno di un mese fa, aveva annunciato la linea dura dei finiani se non fossero state accolte le loro istanze. A cominciare da quelle sugli scatti meritocratici e sull’assunzione di una quota di associati, per la precisione 1500 docenti l’anno dal 2011 al 2013. «È stata una buona giornata – dice Valditara -. Si tratta di una riforma importante, che mette il nostro sistema universitario al passo con quello delle migliori esperienze europee. Anche se il problema vero della politica universitaria di questo governo – affonda subito dopo il senatore di Futuro e libertà – è la scarsa attenzione al tema delle risorse e questo va detto in modo molto chiaro: se una riforma come questa in futuro non sarà finanziata non darà i suoi frutti».
Che la politica di Tremonti fosse uno dei vostri punti di maggior contrasto con Berlusconi, lo si sapeva, senatore. «Noi come Fli abbiamo preteso che il governo ci desse una risposta positiva sul tema delle assunzioni dei professori associati e sul tema degli scatti meritocratici. Il reclutamento è uno dei passaggi fondamentali della riforma, è evidente che se si fanno le abilitazioni e poi non ci sono i soldi per assumere gli abilitati, di che riforma parliamo?». Anche gli scatti stipendiali sono passati per un emendamento voluto da Fli. «Sì. Li abbiamo voluti perché incidono sulla motivazione dei ricercatori e dei professori bravi, premiandoli. È stata una delle cose sulle quali ho più insistito perché venisse inserita nella legge: i tagli agli scatti operati da Tremonti quest’estate frustravano questo aspetto fondamentale». La razionalizzazione delle risorse, spiega Valditara, non può essere il principio unico che informa una politica universitaria, e se quegli emendamenti vengono incontro alle richieste oggettive del sistema universitario, oltre che alle legittime aspettative di chi lavora bene, è merito della formazione di Fini.
Smorza le differenze coi finiani, Valentina Aprea: «io non li ho mai considerati fuori dalla maggioranza. E non mi è sembrato strano che condividessero il nostro percorso, invece continuo a stupirmi tutte le volte che si dissociano dal voto di Pdl e Lega. Mi auguro che ci possa ancora essere la possibilità di camminare insieme di raggiungere insieme altri obiettivi importanti».
Dai banchi della sinistra è arrivata una critica molto severa alla riforma, che finirebbe per aumentare enormemente il tasso di burocrazia di cui è ingolfato il nostro sistema universitario. Un argomento che trova il consenso di tutti coloro, non solo a sinistra, che accusano il ddl Gelmini di eccessivo centralismo, e di autonomia sbandierata sulla carta ma inesistente nei fatti, dovendo gli atenei regolarsi secondo una legge dell’autonomia di fatto imposta dall’alto. Un’accusa che Aprea respinge al mittente. «La realtà è che la nostra università è in una situazione disastrata, quasi fuori controllo, ed è per questo necessario che scelte strategiche come quelle che presiedono alla fusione di atenei, o ai nuovi criteri per le sedi universitarie, siano ben regolate. Non possiamo ignorare – continua Aprea – di essere in un momento delicatissimo dal punto di vista dei conti pubblici, e quindi sicuramente alcune scelte – e saranno soprattutto quelle di natura finanziaria – andranno sottoposte anche all’autorizzazione del ministero, ma solo perché ci troviamo in un momento come questo. Non è intaccato l’impianto liberale della riforma, che punta a migliorare la qualità diminuendo la quantità». «Sono convinto che l’autonomia abbia spazio – risponde a sua volta Valditara -. Abbiamo cercato di far sì che gli impulsi ministeriali verso una burocratizzazione dell’università fossero in qualche modo molto contenuti, e credo che ci siamo riusciti. Staremo a vedere».
E le proteste? Mai nessuna legge di questo governo è stata così avversata dalla piazza. «Questo conferma che si tratta di una riforma complessivamente buona – ironizza Valditara -. Le strumentalizzazioni ci sono state e in modo evidente. Si è tentato bloccare una riforma che mette in discussione i pilastri più importanti di quell’università corporativa che rappresenta il retaggio più gravoso del secolo scorso». «Più che di un’azione diretta – è l’impressione di Aprea – parlerei di
Strumentalizzazione degli scenari che vengono prefigurati: tagli, disoccupazione di massa, morte dell’università pubblica. Questo è, dipinto a tinte fosche e ingigantito a dismisura, solo un piccolo pezzo del quadro. Ma della riforma beneficeranno tutti. Merito, ricambio generazionale, codice etico, l’istituzione del comitato dei garanti per la ricerca… tutto questo ci permetterà di rilanciare sul piano dell’efficienza.
Quando la riforma sarà legge, si tratterà di attuarla, a cominciare dagli statuti che dovranno dettagliare la governance. E a quel punto non è scontato che tutti gli atenei saranno pienamente collaborativi, come ha mostrato il caso di Firenze, dove il rettore ha “schierato” i docenti contro la riforma. Non ha dubbi però Valditara: «Ci sarà la valutazione dei risultati: chi rimane indietro sarà penalizzato nell’attribuzione delle risorse». «C’è una richiesta precisa di risultati – concorda Valentina Aprea – che gli atenei devono dimostrare di aver raggiunto per poter avere i soldi e finanziare l’università e gli aumenti di stipendi per i docenti. La parola d’ordine diventa responsabilità».
Intanto l’Anvur – l’agenzia nazionale di valutazione – aspetta ancora di funzionare a dovere.