Non ho mai capito perché le gite scolastiche si concentrino nel periodo marzo-aprile. Sembra che tutte le scuole d’Italia si diano appuntamento in alcuni luoghi tipici, fino a renderli impraticabili: persino Praga diventa detestabile, quando ad ogni angolo trovi branchi chiassosi di studenti italiani, con accompagnatori rassegnati ad esser lì perché tanto ci vanno tutti. E scappa la poesia anche a chi, come me, è un sostenitore della grande importanza ed utilità di una gita fatta come si deve. Poche settimane fa, invece, abbiamo fatto una esperienza molto particolare che mi sento di condividere con i nostri lettori.
Di solito quando parlo di classi preferisco restare nella generalità; stavolta è necessario entrare nei dettagli. L’istituto tecnico è il Paolo Carcano di Como, ovunque noto come “il Setificio”, come quando era Regio Istituto Nazionale di Setificio (est. 1868, per darsi un tono british). Le classi, quarte e quinte degli indirizzi chimico tintoriale e tessile. Accompagnatori, alcuni dei relativi insegnanti, più un esponente di Confindustria e un docente del Politecnico: le realtà produttive del Comasco, tramite la Fondazione Setificio, hanno infatti contribuito anche a sponsorizzare il viaggio. L’occasione, infine, è stata l’Itma, il summit mondiale quadriennale delle aziende e dei centri di ricerca legati al tessile; nel 2015 sarà in Fiera a Milano.
Scopo del viaggio non era quindi la banale “gita a Barcellona”, che suona ovvia e un po’ losca quasi quanto la “gita ad Amsterdam”, ma una reale, partecipata ed avvincente Visita di Istruzione, tutto maiuscolo proprio come da definizione protocollare.
Due dei sei giorni sono stati dedicati full time ai padiglioni fieristici; da un lato, per esaminare le più recenti innovazioni tecnologiche direttamente legate alla produzione, con la possibilità di scambio incrociato tra le competenze dei diversi settori di specializzazione degli studenti e dei docenti; dall’altro, per momenti di approfondimento scientifico con ricercatori, esperti di innovazione, tecnologi dei diversi settori. Molti degli appuntamenti erano stati prenotati con settimane di anticipo, ed il vantaggio rispetto alle normali conferenze organizzate nell’istituto è stato quello di poterli affiancare e confrontare; diversi altri, come solo la dimensione fieristica consente, sono nati dalla curiosità passando tra i padiglioni; inutile dire che gli studenti non avevano sottomano solo la fotocamera ma anche penna e quaderno di appunti. Un ulteriore giorno, a seconda dei programmi concordati, ha visto le classi o tornare ancora in fiera, o spostarsi a Terrassa per visitare il museo del tessile e i dipartimenti universitari che, nel settore, sono tra i più avanzati dell’Europa mediterranea.
Per il resto del tempo, una “normale” gita in una città fascinosa, tra le meraviglie di Gaudì e la Cattedrale; Mirò, Picasso e i ristorantini del Barrio Gotico. Il fastidio di dover dormire in un albergo sulla costa a un’ora di pullman, dato il sovraffollamento di quelli cittadini, è stato compensato dalle serate sulla spiaggia, in un ambiente più “rilassato” rispetto alle Ramblas. Questa la cronaca, che fin qui interesserebbe solo il notiziario scolastico.
Proviamo a leggerla per un’analisi delle ragioni che portano gli insegnanti ad accompagnare le classi in questi momenti, e di quelle che al contrario li sconsigliano da farlo (anche quando non ci sono dei tafazziani “scioperi contro il ministro”, come è successo un paio di volte in tempi recenti).
Tra i lati negativi, la difficoltà di gestire il branco, di giorno e soprattutto di notte. Ma questo capita quando la gita è un rito comandato, con certi insegnanti interessati solo a un momento di vacanza a spese dell’organizzazione, scarsa o nulla preparazione logistica e didattica, bighellonando durante il giorno tra le mete elencate dall’agenzia di viaggi e lasciando poi che nelle camere succeda di tutto. E qualche volta si sa che succede anche il peggio. È inutile nasconderci che troppe gite sono di questo tipo, e capisco i colleghi e le famiglie che non vogliono assumersene oneri e rischi, per di più aggràtis.
L’antidoto è far capire con largo anticipo alle classi che la meta non deve essere scelta a caso o perché evocatrice di sballi, ma finalizzata a un progetto preciso, chiarendo che potranno parteciparvi solo classi che diano una sufficiente fiducia. Stabilire poche regole, ma chiare e inesorabili; richiedere a tutti responsabilità ed autocontrollo, che portano anche ad una vigilanza reciproca, perché dalla negligenza o dalla stupidità di uno possono derivare fastidi e problemi per tutti. Creare un programma motivato e dettagliato, spiegato in anticipo, con l’impegno della puntualità negli orari. Spiegare che quando passi di ronda nei corridoi hai udito ed olfatto sensibili.
Tra i lati positivi, per i quali credo che la gita sia una esperienza didattica insostituibile, c’è innanzitutto il rafforzamento di un rapporto reciproco di fiducia fra persone, quel rapporto maestro-allievo basato sull’autorevolezza (diversa da autoritarismo e da lassismo) che è insostituibile in una crescita educativa. Se ci si intende, l’esperienza sarà indimenticabile – su queste colonne avevo già usato una metafora alpina: quando la missione e i ruoli sono chiari, è bello condividere marcia, tenda e rancio.
Poi, nel caso di un viaggio all’estero, ci si deve confrontare con lingue, cibi, orari differenti: sembra poco, ma per quanti di loro è la prima esperienza, che poi li porterà ad aprire i propri orizzonti? Inutile dire che il viaggio all’estero ha il duplice vantaggio di un rapporto qualità/prezzo assai migliore, e di poter meglio gestire un gruppo che, nelle strade di Roma o di Firenze, potrebbe essere più difficile da controllare che ad Arles o a Norimberga.
Mentre la gita primaverile spezza il ritmo della chiusura d’anno, e con una quinta è un addio anticipato dopo il quale resta poco da dirsi, lo scorso settembre ho fatto la prima conoscenza di due classi che non avevo mai avuto: bel problema, pensavo, se non altro con la fatica che faccio ad imparare i nomi. Un forte impatto reciproco, facilitato dal contesto e dal vedere che “conoscenze e competenze” scolastiche possono non essere solo pagine stantie, ma una cultura viva, arte e scienza, le sfide del futuro… io stesso ne sono stato piacevolmente sorpreso. Tornati a scuola, vedo che il rapporto tra noi – in aula e in laboratorio – ha già una sicurezza che fa ben sperare per i due anni di lavoro insieme.
Insomma, dopo una lunga carriera come accompagnatore di gite primaverili, penso che nel futuro caldeggerò l’ipotesi settembrina. E se poi ci scappa un tuffo notturno in un mare ancora estivo, evviva.