Mercoledì 28 ottobre il Consiglio dei Ministri ha varato il disegno di legge di riforma del sistema universitario, che costituisce un tentativo di rinnovamento dell’assetto organizzativo degli atenei. Che ci siano dei segnali nella direzione di una riforma dell’Università dovrebbe essere, di per sé, un fatto positivo rispetto alla situazione di stallo che abbiamo vissuto per anni. Ed è per questo, probabilmente, che le prime reazioni da parte di commentatori e addetti ai lavori a questa iniziativa del Governo sono state per lo più di apprezzamento, salvo alcune autorevoli eccezioni, anche su questo quotidiano. Nel merito le norme di questo ddl toccano diversi temi cruciali relativi all’università: la governance degli atenei, il diritto allo studio, il reclutamento dei docenti, la qualità e l’efficienza del sistema universitario. Eppure l’effetto che si trae dalla lettura dell’articolato è tutt’altro che entusiasmante.
L’intento del legislatore, infatti, non sembra tanto quello di ridare slancio e prospettiva all’università (descritta ormai da mesi come un covo di baroni, di fannulloni, di corrotti e di spreconi), quanto di imbrigliarla ulteriormente, attraverso l’introduzione di una congerie di norme da applicare capillarmente e uniformemente sul territorio nazionale. Il tutto, ovviamente, senza ulteriori oneri per la finanza pubblica! Insomma, siamo alle solite. Ancora una volta solo una grande operazione di facciata, di marca squisitamente statalistica.
Ma non dovrebbe un governo di centro destra, invece che legiferare su tutto, favorire la concorrenza e la competizione attraverso opportuni incentivi? È ovvio che gli incentivi comportano investimenti, in tutti i sensi, ma c’è forse un’altra strada per risollevare la nostra università e metterla in condizione di competere a livello internazionale? O qualcuno si illude che per effetto di questa riforma (ammesso pure che venga approvata e non stravolta da centinaia di emendamenti ad personam) qualche università italiana entrerà magicamente nella top ten della classifica del The Times Higher Education? Non prendiamoci in giro: la serietà di questa iniziativa è sconfessata dalla totale assenza di veri investimenti e incentivi. E non basta al riguardo replicare che le risorse arriveranno dallo scudo fiscale perché quel finanziamento, se arriverà, servirà a coprire un taglio di 700 milioni di euro disposto con la finanziaria dello scorso anno, non certo a promuovere quelle eccellenze italiane tanto invocate nella retorica del merito quanto umiliate dall’assenza di iniziative concrete.
Il documento che da ieri è diffuso in tutte le università italiane (“Università: un problema o una risorsa? Una voce fuori dal coro”) fa il punto sulla riforma universitaria ed è un invito alla riflessione.