Caro direttore,
Lunedì si riuniscono le commissioni per gli esami di Stato e così la macchina prende il via, secondo meccanismi tanto consolidati quanto destinati ad incepparsi perché non coerenti con quella che dovrebbe essere una procedura vera di valutazione conclusiva di un corso di studi. Del resto lo stesso ministro Carrozza, nell’augurare un bell’in bocca al lupo a chi farà gli esami, ha detto a chiare lettere che l’esame va ripensato e va fatto per problemi organizzativi in rapporto all’ultimo anno delle superiori e ai test universitari. D’accordo che l’esame va ripensato, ma non per un problema organizzativo; la questione è se abbia ancora senso un esame di Stato e che tipologia d’esame debba essere.
C’è da rimettere in piedi un esame che è decaduto a prova di somme di punteggi, con l’illusione che da queste somme possa derivare un voto oggettivo. Diciamo le cose come stanno, questi esami non verificano nulla, perché prescindono dalla questione seria di una valutazione conclusiva delle scuole superiori. Sono esami che di fatto vanno a riverificare quello che è già stato verificato durante l’anno, vanno a vedere se gli studenti sanno il programma, ma non è questo il fattore di maturità, non se sanno il programma è il problema, ma se hanno imparato a conoscere!
Qui sta la questione seria dell’esame di Stato o meglio tornare a dire di maturità: se uno studente o una studentessa sa dare una impronta propria a ciò che ha appreso, sa paragonarlo a sé, sa identificare tracce critiche e creative personali. Questo si dovrebbe verificare, questo si dovrebbe valutare. E invece spesso tante commissioni si radunano, tutte preoccupate di stabilire griglie e grigliette in cui ingabbiare i malcapitati studenti i quali alla fine debbono solo eseguire un compito senza tentare l’avventura della conoscenza. Se quindi si vuole tenere l’esame di Stato, lo si modifichi in questa direzione, come opportunità per verificare se uno studente o una studentessa sa rielaborare sinteticamente e criticamente quello che ha appreso.
Questo non perché l’esame debba essere così, ma semplicemente perché è ciò che un insegnante cerca di scoprire alla fine di un corso: se ha davanti studenti che non si limitano a ripetere ciò che lui ha fatto loro apprendere, ma studenti che si lanciano in modo appassionato nell’avventura della conoscenza.
Un esame di Stato dovrebbe essere coerente con quello che accade a scuola! E già ora dovrebbe esserlo, per cui le commissioni che si radunano, più che andare a verificare quanto già si è fatto, dovrebbero mettere le condizioni per cercare gli spunti di originalità in ogni candidato. In questa direzione quanto sarebbe importante una verifica seria e approfondita del lavoro che uno studente o una studentessa ha fatto per preparare una tesina in cui raccontare di sé!
Rimane poi aperta la questione di una revisione dell’ultimo anno delle scuole superiori e di trovare il modo migliore per l’ammissione alle università, due questioni di importanza prioritaria e legate, a patto che non si schiacci l’ultimo anno sui test universitari, il che sarebbe la fine della scuola come percorso educativo.
Per quanto riguarda l’ultimo anno di corso, è evidente che lo si debba impostare su un lavoro di ricerca, quindi che le modifiche devono essere fatte in direzione laboratoriale. Bisogna ripensare bene al laboratorio come occasione di educazione e conoscenza, qui sta il problema serio di un ultimo anno in cui ogni studente e ogni studentessa tenti di approfondire qualcosa che gli o le interessi.
I test sarebbero da cambiare: si dovrebbe cercare una via europea ai test universitari e non più quella cui ci siamo adeguati, di matrice anglo-americana. Ma qui la vedo difficile, anche se non impossibile.